Fortezza dell'eta' del Ferro, Moel-y-Gaer Bodfari (Galles) - modello texturizzato che mostra le sequenze strutturali del bastione centrale, di Gary Lock e John Pouncett
Oltre al proprio sguardo esperto, allenato a ‘leggere’ la storia nei reperti affiorati dallo scavo, gli archeologi hanno oggi a disposizione ‘occhi’ tecnologici. Satelliti, droni, ma anche realtà aumentata e intelligenza artificiale sono finiti nella ‘cassetta degli attrezzi’ dell’archeologo.
Ma come si possono sfruttare al meglio le potenzialità delle nuove tecniche? Quali i risultati raggiunti grazie al matrimonio tra informatica e archeologia? Se ne occupa una nuova rivista scientifica, Journal of Computer Applications in Archaeology, promossa dalla Computer Applications in Archaeology International (CAA), la più grande organizzazione internazionale che raccoglie archeologi, storici, storici dell'arte, matematici, statistici, informatici, esperti di computer grafica, gaming, database, data mining e molti altri studiosi digitali.
A lanciarla ad Atlanta nei giorni scorsi c’era la cafoscarina Arianna Traviglia, tra i cinque componenti del direttivo CAA, nominata co-editor della rivista e Marie Curie fellow al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari.
Quali sono i più sorprendenti, innovativi, curiosi esempi di applicazioni dell’informatica all’archeologia?
"La scelta è amplissima, dalla modellazione 3D di ambienti virtuali o manufatti, alla realtà aumentata, dalle simulazioni tramite modelli di eventi del passato alla ricostruzione di paesaggi antichi, ma certamente quello che sta cominciando ad emergere e che vedremo sempre di più crescere in importanza nei prossimi anni è l'utilizzo dell'Intelligenza artificiale e dei Big Data. Le possibilità offerte ad esempio dall'uso di grandi quantitativi di informazioni archeologiche sono infinite e questo è reso possibile sempre di più dalla possibilità di mettere a disposizione liberamente on line i dati 'grezzi' estratti dalle ricerche (siano queste scavi o ricognizioni archeologiche o lo studio di manufatti tramite approcci scientifici) che possono essere poi riutilizzati anche da altri studiosi".
Quando e come nasce l’applicazione delle tecnologie in questo campo?
"Per quanto possa sembrare strano l'applicazione dell'informatica all'archeologia ha quasi mezzo secolo. La CAA è stata fondata ben 46 anni fa in Inghilterra da un piccolo gruppo di archeologi e matematici interessati allo studio del passato in modo diverso. Da allora la disciplina si è evoluta in maniera incredibile e gli archeologi sono stati tra i primi ad adottare l'informatizzazione per la raccolta e gestione dei dati necessari al proprio lavoro. Più in là ci si è accorti che l'informatica permetteva di porre domande nuove. Oggi tutte le maggiori università hanno laboratori di archeologia digitale per affiancare la ricerca tradizionale".
In futuro si faranno sempre più scoperte archeologiche stando davanti allo schermo del computer?
"La quantità di lavoro da svolgere al computer diventerà senza dubbio sempre maggiore. Gli archeologi già svolgono moltissimo lavoro 'alla scrivania' in ogni caso prima di cominciare uno scavo, anche solo per determinare dove farlo. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali permetteranno senz'altro di svolgere ancora più analisi a supporto delle fasi 'sul campo', prima e dopo di esse. La condivisione crescente dei dati dei singoli team di lavoro, inoltre, sarà alla base delle grandi scoperte del futuro".
Perché una nuova rivista specializzata su informatica e archeologia?
"Perché si tratta di un campo che ha avuto enorme espansione ma non trova ancora una sede unica formale di discussione a livello globale. L'obiettivo di questa nuova rivista è favorire il dibattito sul ruolo cruciale dell'informatica nell'archeologia del XXI secolo e promuovere un uso consapevole dal punto di vista teoretico dei metodi digitali in archeologia. La rivista è completamente open access e prevede uno scrupoloso referaggio a due livelli. Ci aspettiamo che in meno di due anni possa raggiungere un Impact Factor molto elevato e diventare estremamente 'appetibile' per gli studiosi di fama internazionale".
Si occupa sia di metodi che di scoperte?
"La rivista si occupa di entrambe le cose, quando le scoperte siano rese possibili dall'utilizzo di metodi e tecnologie informatici. Pensiamo, ad esempio, all'elaborazione delle immagini satellitari per scoprire siti archeologici sepolti e ancora sconosciuti o l'utilizzo di strumenti geofisici che ci permettono di ottenere una sorta di 'radiografia' del suolo fornendoci, ad esempio, la pianta di una intera struttura sepolta senza nemmeno dover scavare. Ma nuove scoperte archeologiche sono anche minuscoli o ormai invisibili segni o tracce di incisioni o dipinti su manufatti archeologici non distinguibili ad occhio nudo e che sono invece visibili nelle immagini rielaborate al computer o tramite scansioni con tecniche proprie della computer vision".
Di cosa tratta il numero del debutto?
"Il primo numero della rivista (nell'immagine sotto il sito web) contiene principalmente quelli che si chiamano 'position papers', ovvero scritti riportanti opinioni personali dell'autore su un certo argomento, in questo caso relativamente ad aspetti particolari della disciplina archeologica, forniti dai maggiori esperti mondiali per ciascuna area di ricerca. Le tematiche spaziano dalle ricostruzioni virtuali di ambienti antichi alle scoperte rese possibili attraverso l'elaborazione di immagini riprese dallo spazio, dai big data applicati all'archeologia alla modellazione tridimensionale. Il tutto illustrato da casi di studio pertinenti ad alcuni dei più importanti siti archeologici del mondo".
A che punto è la ‘fusione’ tra competenze di informatici e archeologi?
"In realtà non si può dire ci sia o ci sia mai davvero stata una separazione tra le due figure. Sono stati gli archeologi stessi che per primi si sono messi in gioco per imparare e sperimentare in un mondo che non era il loro. Oggigiorno in moltissime università lo studio dell'informatica archeologica comincia già fin dai primi anni dell'università e diventa parte integrante della figura dell'archeologo fin dall'inizio, ma penso che anche a chi non abbia avuto una formazione di questo tipo siano ormai evidenti gli assoluti vantaggi della creazione, gestione ed elaborazione dei dati tramite sistemi computerizzati".
Enrico Costa
Dagli archivi, un'intervista ad Arianna Traviglia: