Dipartimento di
Economia

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Irene Mammi

Irene Mammi

Scienza delle finanze

Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca. 
Sono Irene Mammi, emiliana di nascita e di residenza, ormai veneziana di domicilio. Sono ricercatrice presso il dipartimento di Economia di Ca’ Foscari. Insegno Scienza delle Finanze ed Econometria in corsi di laurea magistrale e di dottorato. Svolgo principalmente ricerca nel campo dell’economia sanitaria, ma faccio spesso incursione in ambiti diversi, quali la politica fiscale, gli effetti del cambiamento climatico, le scelte delle imprese. Nella ricerca, mi occupo in particolare dell’analisi dei dati: la mia sfida quotidiana è individuare le metodologie statistiche più appropriate per rispondere a domande di ricerca interessanti. Attualmente sto studiando gli effetti della scadenza dei brevetti di farmaci a largo consumo, con particolare attenzione alle possibilità di risparmio per il sistema sanitario.

Qual è stato il suo percorso accademico?
Dopo la maturità classica, ho conseguito la Laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale e la Laurea Magistrale in Cooperazione e Sviluppo Locale e Internazionale all’Università di Bologna. Dal 2002 al 2007 sono stata allieva del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Durante il biennio di magistrale, ho trascorso un semestre a Varsavia grazie a uno scambio Erasmus. Ho frequentato il Dottorato in Economics, Markets, Institutions alla Scuola IMT di Lucca, ottenendo il titolo nel 2011. Sono stata anche visiting student per un anno all’Università di Essex (UK), dove ho conseguito il Master of Science in Statistics and Econometrics. Sono stata assegnista di ricerca all’Università di Bologna dal 2011 al 2017, quando ho vinto il concorso da ricercatrice che mi ha portata a Ca’ Foscari.

Qual è l'aspetto che più l'appassiona del suo ambito di ricerca?
Da diversi anni mi occupo di economia sanitaria, focalizzandomi sull’uso inappropriato dei servizi sanitari e sulle diseguaglianze nell’accesso alle cure. Uno degli obiettivi primari della mia ricerca è dare indicazioni ai decisori pubblici sull’efficacia delle politiche sanitarie. Contribuire alla definizione di politiche e buone pratiche è l’aspetto più stimolante della mia attività. Mai come ora, la salute pubblica e il funzionamento dei sistemi sanitari sono temi prioritari nel dibattito. La possibilità di portare all’attenzione dei decisori pubblici e della comunità scientifica risultati utili a migliorare la capacità di risposta del sistema sanitario ai bisogni dei cittadini è un grande incentivo a impegnarsi nella ricerca. L’auspicio è di aiutare a tutelare il diritto universale alla salute e promuovere una maggiore equità nell’accesso alle risorse.

Ha sempre pensato che questa fosse la sua strada?
A dire il vero no, non proprio, non dall’inizio. Ho sempre amato studiare e sono sempre stata curiosa e tenace: i requisiti per intraprendere un percorso accademico c’erano tutti. Ma, subito dopo il diploma, nell’indecisione tra iscrivermi a medicina o a matematica, sognavo anche di diventare un ingegnere dei materiali e di lavorare in Formula1; qualche tempo dopo, mi immaginavo un futuro nella cooperazione internazionale, in qualche angolo remoto di mondo, una vita da vagabonda. Poi lo studio, l’incontro con alcuni professori divenuti presto mentori, la passione inattesa per materie nuove, come l’econometria… E, così, in breve tempo, la ricerca e l’insegnamento sono diventati la mia passione e il mio lavoro. A distanza di qualche anno, sono pienamente convinta di essere sulla buona strada.

Cosa dice ai giovani che si avvicinano alla ricerca oggi?
Consiglierei di non inseguire le mode e i temi caldi del momento, ma di occuparsi invece di cose che interessino e, soprattutto, piacciano a loro per primi. L’attività di ricerca sa dare grandi soddisfazioni, ma può portare anche momenti di sconforto. Il piacere di occuparsi di temi di interesse e la passione per ciò che si fa aiutano a fronteggiare ostacoli e difficoltà. L’invito è a essere curiosi e determinati, ma sempre umili e aperti al confronto, di essere ricercatori che siano anche “animali sociali”. Dico di non chiudersi nel proprio studio o laboratorio, ma di cercare l’interazione con i colleghi e la società. L’augurio è di saper trasmettere il valore e l’utilità della ricerca a chi non vive l’accademia, di saper comunicare il proprio lavoro a chi avverte una notevole distanza tra l’università e la vita fuori. E, soprattutto, giovani, concedetevi di sbagliare e perdonatevi gli errori.