Dipartimento di
Economia

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Paolo Pellizzari

Paolo Pellizzari

Metodi matematici dell'economia e delle scienze attuariali e finanziarie

Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca.
Sono Paolo Pellizzari e insegno Matematica per le Scienze Economiche e Sociali. M’interesso di simulazione e metodi numerici, modelli ad agenti, metodi computazionali per l’economia e la finanza. Forse parecchi temi si possono anche “riassumere” nello studio dei sistemi complessi, che sono una passione, oltre che un argomento di studio e ricerca. Adoro R e la programmazione, vedi cran.r-project.org/. Fuori dall’accademia sono anche un ex-cestista, ex-ciclista (con l’età, essere “ex” diventa frequente!), giocatore di backgammon e appassionato di Carlo Scarpa e altro. Mi piace insegnare e negli ultimi anni ho tenuto corsi (quantitativi) di metodi decisionali, economia computazionale (con R e NetLogo), sistemi complessi e financial literacy per non addetti ai lavori.

Qual è stato il suo percorso accademico?
Sono laureato in matematica e ho completato un dottorato in matematica applicata (con una tesi su sistemi dinamici non-lineari in economia e finanza). Ho lavorato all’ISTAT e come insegnante di liceo classico per un anno. Era una (mezza) vita fa e, nel tempo, mi sono trasformato probabilmente da ex-matematico ad economista atipico. Di sicuro non mi occupo più di teoremi, ipotesi, tesi e altri oggetti dell’empireo astratto dei matematici propriamente detti. Ma la matematica ti resta dentro, nonostante ora pensi che le scienze sociali/economiche siano le più interessanti perché hanno a che fare con esseri bizzarri e apparentemente tutt’altro che matematizzabili quali spesso sono gli umani.

Le soddisfazioni professionali più grandi?
Certamente ho scritto qualche paper di cui vado fiero ma è anche vero che alcune fra le cose migliori che ho fatto non me le hanno pubblicate. C’est la vie e fa parte dei rischi di scrivere quel che ti piace, su temi interdisciplinari e fuori dalla tua comfort zone. Considero un onore aver ricevuto dei premi per la didattica, che è un fronte su cui mi sono impegnato parecchio, e aver ricoperto incarichi come quello di direttore della School of International Education al fianco di persone belle dentro e brave fuori. Poi, sono soddisfazioni anche aver scalato passo Manghen, aver messo lo zampino nella creazione di un docufilm sull’Aula Baratto di Carlo Scarpa e aver scritto un articolo sul “Domenicale” del Sole 24 ore. Parva sed apta mihi!

Ha sempre pensato che questa fosse la sua strada?
No. E credo che pensare a una strada sia rischioso, specie se diventa una specie di ossessione da inseguire a tutti i costi. Non condivido l’idea che le persone nascano con una strada da percorrere o un destino. O meglio, credo che la professionalità acquisita sia una miscela di competenza, di colpi di fortuna (o sfortuna), di duro lavoro e di occasioni prese o lasciate nel corso del tempo. Avrei potuto diventare altro? Certo e spero sarei stato un allenatore di basket decente o un insegnante di scuola superiore in grado di ispirare qualcuno. Ma sono molto contento di fare questo lavoro e mi sforzo di iniettare novità nel mio percorso esistenziale e professionale. In fondo, il viaggio è più importante della destinazione, no?

Cosa significa, per lei, insegnare e fare ricerca?
Bella domanda! Insegnare significa “I care”, me ne occupo, e anche sognare che i tuoi studenti crescano, “diventino grandi” in spirito e opere. Non invento nulla, quanto ho detto è in sostanza ripreso da grandi educatori come Lorenzo Milani o Danilo Dolci. La ricerca è una specie di gioco, in cui sento la sfida, quasi agonistica, di farmi le domande giuste e provare a capire le riposte. È anche un esercizio di ascesi per lo sforzo di rimanere rigorosi, di non abbellire con mestiere o troppe chiacchiere i risultati, deformandone il senso (in questo la purezza matematica aiuta ed è una palestra di vita). Provatelo questo gioco, è una cosa molto seria e bellissima!