Dipartimento di
Economia

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Giancarlo Coro’

Giancarlo Coro’

Economia applicata

Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca. 
Sono Giancarlo Corò, insegno “Economia dello Sviluppo e del Commercio Internazionale” al Corso di Laurea in Commercio Estero (sede di Treviso), “Economics of Globalisation” al PISE e “Industrial Cluster Economics” alla magistrale Global Development and Entrepreneurship, della quale sono coordinatore del Collegio didattico. I miei interessi di ricerca riguardano l’economia dell’innovazione applicata ai sistemi di piccole e medie imprese e lo studio dei modelli di organizzazione internazionale della produzione, con particolare attenzione al rapporto con le tecnologie digitali di ultima generazione (Industria 4.0).

Qual è stato il suo percorso accademico?
L’interesse verso l’economia è maturato durante gli studi di urbanistica e pianificazione territoriale, che ho svolto allo IUAV ancora negli anni ’80, quando stava crescendo l’interesse internazionale sui processi di sviluppo a base locale come i Distretti industriali e i Sistemi regionali dell’innovazione. Ho svolto il Dottorato di Ricerca al Politecnico di Milano con l’obiettivo di analizzare le politiche regionali di sviluppo e innovazione. In questo percorso di ricerca è risultata fondamentale l’attività di visiting presso la London School of Economics e, soprattutto, alla University of California at Berkeley, dove ho potuto studiare da vicino i più importanti distretti tecnologici americani. Dopo il Dottorato ho lavorato all’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali del Veneto, e a metà degli anni ’90 ho iniziato ad insegnare Politica Economica Regionale all’Università di Urbino. Dal 2002 mi sono trasferito a Ca’ Foscari.

Quali sono i suoi punti di riferimento professionali?
I primi riferimenti teorici sono stati gli studiosi italiani di Economia dei Distretti industriali, quali Giacomo Becattini e Sebastiano Brusco, ma un’importante influenza hanno avuto anche gli studi di Michael Porter sui vantaggi competitivi delle nazioni e, soprattutto, di Enzo Rullani sull’economia della conoscenza, che hanno contribuito a superare gli approcci tradizionali di economia industriale e guardare ai network di piccola e media impresa come sistemi locali dinamici, nei quali i processi innovazione e apertura internazionale si sviluppano in forme originali. L’analisi sull’internazionalizzazione delle imprese deve molto agli studi sulle Global Value Chains di Gary Gereffi della Duke University, dove ho svolto un visiting nel 2014. Negli ultimi anni i riferimenti teorici si sono arricchiti con i modelli di Economic complexity, sviluppati in particolare da Ricardo Hausmann della Harvard University e César Hidalgo del MIT di Boston.

Qual è l'aspetto che più l'appassiona del suo ambito di ricerca?
L’aspetto più appassionante è cercare di capire i complessi meccanismi dello sviluppo economico che decidono come le società possono crescere e prosperare, oppure rimanere intrappolate nella povertà. Ciò richiede l’attenzione ad approcci teorici diversi: economia e politica dello sviluppo, macroeconomia della crescita, economia della conoscenza e dell’innovazione, economia internazionale, economia delle istituzioni. Queste diverse prospettive teoriche contribuiscono a tener conto della straordinaria e affascinante complessità dei processi di sviluppo economico.

Cosa significa, per lei, insegnare e fare ricerca?
Con il tempo ho imparato che l’insegnamento non è solo trasferire una data quantità di conoscenze agli studenti, bensì accendere l’interesse per una materia di studio e cercare di promuovere un apprendimento attivo, che significa dotarsi di strumenti e metodi per trovare risposte a domande che mutano nel tempo. In questo senso ritengo che teoria ed esperienza siano componenti complementari di un efficace processo di apprendimento. Questo vale anche per l’attività di ricerca, che deve partire da domande di conoscenza che siano allo stesso tempo originali e utili per migliorare la condizione umana. Le sfide della sostenibilità e dell’inclusione sociale pongono oggi domande di ricerca cui l’economia non può sottrarsi.