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Michele Marzulli

Michele Marzulli

Sociologia generale

Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca.
Mi chiamo Michele Marzulli, sono un sociologo e sono arrivato a Ca’ Foscari nel 2021, dopo aver lavorato in diverse Università, tra cui Trento, Bergamo e Cattolica, dove ho conseguito il Dottorato in Sociologia e metodologia della ricerca sociale.
I miei principali interessi di ricerca riguardano le politiche di welfare, la governance dei sistemi regionali di salute, l’innovazione sociale soprattutto con riferimento al terzo settore. In questi ambiti, ho svolto diverse ricerche empiriche, nella convinzione che solo partendo dall’osservazione della realtà sia possibile formulare ipotesi e interpretazioni.

Qual è l'aspetto che più l'appassiona del suo ambito di ricerca?
Sono convinto che sia importante studiare quella configurazione peculiare che è il modello sociale europeo. Si tratta di una “invenzione” che trae origine dalla nostra storia e dalle nostre radici culturali, ma che mostra di riuscire ad adattarsi al mutamento, secondo modalità sempre originali. Capire come e perché le istituzioni pubbliche, le organizzazioni private e le molte forme associative interagiscono per rispondere ai nuovi rischi sociali, è una sfida intellettuale che non riguarda solo il mondo accademico, ma la società nel suo insieme.
La possibilità di comprendere i problemi della popolazione e di contribuire a costruire politiche rilevanti rappresenta l’esito ideale di ogni ricerca scientifica.

Ha sempre pensato che questa fosse la sua strada?
A dire il vero, la mia “carriera di vita” non è stata del tutto lineare. D’altra parte, come dicono alcuni maestri della sociologia contemporanea, è diventato “normale” cambiare percorso, tornare sui propri passi e magari iniziare da capo: si tratta spesso di ricostruire la propria biografia come un bricolage. In questo andamento, un po’ rapsodico, dal giornalismo all’informatica, devo dire che sono sempre stato interessato a quello che succedeva intorno a me, alla società. Alla fine quindi l’idea di studiare in modo scientifico e rigoroso il cambiamento sociale, questa è la sociologia in estrema sintesi, mi è sembrata un’evoluzione del tutto coerente.

Cosa significa, per lei, insegnare e fare ricerca?
La didattica per me è importante: ritengo infatti che sia fondamentale provare a trasmettere ai propri studenti non solo il sapere del passato, ma anche le più recenti risultanze della ricerca. Questi aspetti quindi sono sempre intrecciati. Però vedo una differenza rilevante. Nel mio lavoro di insegnamento cerco sempre di ricordare la responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri studenti: da una parte essere d’esempio, con una rigorosa etica del lavoro, dall’altra stimolando anche il loro spirito critico.
È proprio perché quest’ultimo rappresenta per me un valore che ritengo la ricerca scientifica una necessità di ogni studioso. Coltivare il dubbio significa infatti continuare a studiare la realtà. E il bello è che la realtà riesce spesso a stupirci.

Cosa dice ai giovani che si avvicinano alla ricerca oggi?
Non è facile dare consigli ai giovani, ma credo sia onesto dire loro che la strada della ricerca non è facile. Ma proprio per questo è più importante provare a seguirla.
La vera differenza tra chi propone le proprie legittime opinioni (in qualsiasi contesto) e chi fa ricerca è l’attenzione che si pone a fondare ogni proposizione in una solida teoria e nei dati empirici a supporto. E questo è lo spirito della ricerca: mettersi su un sentiero e cercare a ogni bivio di prendere la strada giusta. Magari tornare indietro, ricredersi, cambiare opinione, ma fare tutto questo guidati dalle evidenze e dalla capacità di riflettere. Questa attitudine, che in sociologia definiamo anche riflessività, è la vera competenza che lo spirito della ricerca scientifica permette di costruire. E ne vale davvero la pena.