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Papa Francesco. La figura del Santo Padre secondo le parole di Giovanni Vian, storico del Cristianesimo

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Papa Francesco è morto ieri mattina, il lunedì di Pasquetta, alle ore 7.35 in seguito a un ictus cerebrale. Il Governo ha dichiarato cinque giorni di lutto nazionale a ridosso dei funerali, che si celebreranno sabato 26 aprile a San Pietro. Ca' Foscari osserva il lutto nazionale con le bandiere a mezz'asta nella sede centrale.

In dodici anni di pontificato, Jorge Mario Bergoglio ha impresso una svolta determinante alla Chiesa cattolica, avviando profondi processi di riforma e ponendo le basi per un rinnovamento radicale. La scelta del conclave proseguirà sul sentiero di riforma e apertura o ci aspettiamo un ritorno a posizioni più conservatrici? L'abbiamo chiesto a Giovanni Vian, docente di Storia del cristianesimo e delle chiese a Ca’ Foscari, che riassume così le caratteristiche del pontificato di Francesco, tra l’impegno instancabile per i poveri e i migranti, l’apertura su temi sensibili come la sessualità e il ruolo delle donne nella Chiesa, e le posizioni nette su giustizia sociale e cambiamento climatico. 

«Jorge Mario Bergoglio è stato un vescovo di Roma che, attraverso la guida della Chiesa cattolica, ha promosso la comprensione e la pratica del Vangelo nella storia del nostro tempo, cercando di misurarsi con una realtà che, se interpretata criticamente, non risulta più plasmata, nemmeno per il cristianesimo cattolico, sulla secolare tradizione ecclesiale, teologica, culturale dell’Europa e dell’Occidente. Pertanto il papa preso dai cardinali nel 2013 «quasi alla fine del mondo» ha avviato una complessa opera di riproposizione dell’esperienza cristiana, capace di parlare localmente le lingue e le culture delle popolazioni reali, senza perdere di vista la sostanza comune che caratterizza fondamentalmente il cristianesimo: «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in
un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo» ( Evangelii gaudium , 118).
Non uniformità, dunque, nemmeno divisione, ma l’incontro fra tradizioni e percorsi diversi – è il “processo” che Francesco ha definito con l’immagine di poliedro, «che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» ( Evangelii gaudium , 236), in sostituzione di quella uniformante costituita dalla sfera. 

Primo papa gesuita, la scelta del nome Francesco – anche questo un unicum, fin qui, nella storia del pontificato romano, è stata spiegata da Bergoglio in questi termini: «Francesco d’Assisi. E’ per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato». Nell’interpretazione che Bergoglio gli ha dato personalmente è, aggiungerei, anche l’uomo che si è fatto fratello di tutti, a cominciare dagli esclusi e dagli emarginati della società.

Con l’enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), di intonazione tipicamente francescana fin dal titolo, con il suo richiamo al Cantico delle creature del “poverello di Assisi”, papa Bergoglio ha voluto esprimere la piena partecipazione della Chiesa ai problemi che agitano la storia dell’umanità, cogliendo nella questione ecologica una sfida decisiva per il presente e per il futuro, di fronte ai profondi cambiamenti climatici e ai mutamenti dell’ambiente che ne conseguono. Come è noto, quel richiamo di papa Francesco alla sfida ecologica ha contribuito significativamente a sviluppare una maggiore sensibilità al riguardo a livello planetario, per quanto complesse e difficili rimangano le iniziative da intraprendere per conseguire degli effettivi miglioramenti. La questione ambientale è inoltre stata collegata da Francesco anche all’esigenza di operare una più equa distribuzione delle risorse a livello planetario, non ultima espressione della sua attenzione ai più poveri.

Ancora nel messaggio urbi et orbi del 20 aprile, in occasione della Pasqua, Francesco ha insistito sul disarmo come via prioritaria per la pace e sull’accoglienza dei migranti (si ricordi che il suo primo viaggio apostolico fu compiuto nel drammatico contesto di Lampedusa), in uno scenario internazionale odierno in cui invece i maggiori leaders politici mondiali inclinano, pur con non trascurabili differenze tra loro, al riarmo, alla separazione delle persone e delle popolazioni meno ricche dalla parte “privilegiata” della società; dove per ricchezza va intesa la fruizione di un’esistenza dignitosa, il godimento di adeguate risorse economiche, l’accesso all’istruzione e alla cultura, l’esercizio dei diritti politici, la libertà di aderire o meno a un’esperienza religiosa, come ribadito più volte da Francesco nel corso del suo pontificato.

Nella guida della Chiesa Francesco ha insistito sulla prospettiva sinodale – accompagnandola all’esercizio del primato papale – per assicurare una partecipazione responsabile di tutti i cristiani all’attività ecclesiale, senza per questo rinunciare alle
articolazioni che fanno di quella cattolica una Chiesa centrata sul ministero dei vescovi. La sinodalità è stata esercitata da Francesco a più livelli, anche in campo ecumenico, con l’attivazione di dinamiche di comunione tra le Chiese cristiane molto più accentuate che in passato, e nell’ambito del dialogo con le altre religioni.

Francesco ha fatto passi di grande apertura e tutt’altro che trascurabili per la parificazione dei ruoli della donna nella Chiesa cattolica, ma non ha inteso superare il limite della preclusione all’accesso ai ministeri ordinati: un recente equilibrato bilancio di questa problematica, che a mio avviso ha ormai un’importanza decisiva per la Chiesa di questo secolo, ha utilizzato il termine ambivalenza per definire la posizione di Francesco al riguardo, senza ricordare le durissime opposizioni mosse alle sue aperture dagli ambienti più conservatori e tradizionalisti interni al cattolicesimo e ben rappresentati anche nel collegio cardinalizio.

Infine non va dimenticata la dimensione profonda di uomo dalla fede cristiana che ha caratterizzato Francesco e che egli ha fatto volutamente risuonare anche nell’ultimo messaggio urbi et orbi: è l’elemento che egli ha considerato decisivo per la propria esistenza e per il suo servizio alla Chiesa e, indirettamente, al mondo attuale, a sostegno di una speranza non riposta nei beni e nei calcoli delle consuetudini umane, ma nell’annuncio evangelico del risorto: «Dal sepolcro vuoto di Gerusalemme giunge fino a noi l’annuncio inaudito: Gesù, il Crocifisso, «non è qui, è risorto» (Lc 24,6). Non è nella tomba, è il vivente! L’amore ha vinto l’odio. La luce ha vinto le tenebre. La verità ha vinto la menzogna. Il perdono ha vinto la vendetta. Il male non è scomparso dalla nostra storia, rimarrà fino alla fine, ma non ha più il dominio, non ha più potere su chi accoglie la grazia di questo giorno».

Al conclave che si aprirà nei prossimi giorni spetterà l’elezione di un nuovo vescovo di Roma. E’ possibile che il collegio dei cardinali elettori si divida tra un’ipotesi moderata e quella di una maggiore continuità con il pontificato bergogliano (ma interpretata, inevitabilmente, dalla persona del nuovo papa e non replicata pedissequamente). Ma non si può nemmeno escludere che la componente che ha duramente osteggiato il programma di riforme di Francesco non rinunciando nemmeno all’utilizzo dell’accusa di eresia, acceda a una convergenza su un candidato moderato per potere condizionarlo in chiave
conservatrice nella sua futura guida della Chiesa cattolica.
In ogni caso, di Francesco rimane il lascito, non solo alla Chiesa cattolica, dei gesti e delle parole di un pontificato di straordinario spessore.»

Federica Scotellaro