Progetti di ricerca attivi
Scavo, telerilevamento, studio dei materiali e del paesaggio dell’altopiano dei sette comuni
STEMPA è l’acronimo di “Scavo, Telerilevamento, studio dei Materiali e del Paesaggio dell’Altopiano dei Sette Comuni”, ma anche uno omaggio all’omonima strega del folklore cimbro. Il progetto si focalizza sulla teleosservazione, la ricognizione e lo scavo stratigrafico, ma anche sulla documentazione grafica e fotografica (in 2D e 3D), sulle indagini archeometriche, il coinvolgimento delle comunità locali e la divulgazione dei risultati al grande pubblico.
Cuore delle ricerche è lo scavo presso il villaggio protostorico del Bostel di Rotzo (Vicenza). L'insediamento sorge su un promontorio soleggiato a circa 850 m sul livello del mare, in una posizione strategica di collegamento tra la pianura e le Alpi. Da un punto di vista cronologico, l’area fu frequentata per la prima volta durante la Tarda Età del Bronzo, ma tutte le unità abitative finora portate alla luce appartengono al ciclo di occupazione della Seconda Età del Ferro, bruscamente interrotto da un incendio in concomitanza con la romanizzazione della pedemontana veneta. Dal punto di vista culturale, il sito appartiene al cosiddetto gruppo Magré, con influenze dal mondo Retico (cultura Fritzens-Sanzeno) e dal Veneto antico. Al momento sono in corso di indagine quattro macrosettori: si tratta in tutti i casi di strutture domestiche o produttive, localizzate in diverse aree del pianoro.
Sono anche in corso di svolgimento ricognizioni aeree e di superficie in altre aree dell’Altopiano, in particolare nella piana di Marcesina (Enego), caratterizzata da un enorme patrimonio etno-storico dalla preistoria al contemporaneo, e nei comuni di Asiago e Lusiana-Conco per lo studio e la documentazione delle testimonianze connesse all’archeologia della Prima Guerra Mondiale.
Un “campo di Kurgan” tutto da esplorare
Georgian-Italian Gardabani Archaeological Project (GIGAP)
Il progetto, in collaborazione con Ilia State University di Tbilisi, riguarda la regione di Gardabani (Kvemo Kartli) in Georgia sud-orientale, presso il confine con l’Azerbaijan. È iniziato nel 2023 e si prevede di durata pluriennale, con scavi e sondaggi su diversi siti, ricognizioni di superficie e ricerche geo-archeologiche e paleoambientali. La zona di intervento è tuttora quasi inesplorata dal punto di vista archeologico, nonostante sia stata segnalata la presenza di numerosi siti databili dal Neolitico al periodo post-Medievale. Il sito più importante finora individuato, su cui inizieranno gli scavi nel 2024, è il “Gardabani kurgan Field”, un “campo di kurgan” (tumuli funerari) che si estende su una superficie di più di 40 ettari e comprende più di 60 tumuli dal diametro di 10-30 m: un’occasione unica per indagare un’area sepolcrale con le più moderne tecniche disponibili. Si prevede di integrare lo scavo di singoli tumuli con l’indagine, attraverso il telerilevamento e prospezioni geofisiche, delle relazioni tra le diverse tombe e con eventuali strutture accessorie. Lo scavo utilizzerà un approccio di tipo microarcheologico e verrà realizzata un’ampia gamma di campionature per analisi bio-archeologiche, archeometriche a paleoambientali. Alle campagne annuali partecipano ricercatori, studenti, specializzandi e dottorandi italiani e georgiani; il team è completato da esperti internazionali.
Progetto Archeologico Tell Zeyd (ZAP)
Il Progetto Archeologico Tell Zeyd ha preso il via con una prima campagna di attività sul campo nell’autunno 2022. Situato sulla riva sinistra del Tigri, a nord di Mosul, e lambito da uno dei suoi affluenti, Tell Zeyd è caratterizzato da una lunga storia insediativa che va dal Neolitico agli inizi del XX secolo, testimoniata anche dalla formazione di un tell. Il Progetto Archeologico Tell Zeyd si incentra sul cosiddetto periodo ‘islamico’, dalla conquista araba del VII secolo alla caduta dell’impero ottomano agli inizi del XX secolo, e mira a documentare la storia occupazionale di questo insediamento a carattere rurale e della sua comunità. Specifiche linee di ricerche riguardano i caratteri dell’abitato e delle installazioni del ciclo produttivo, come i mulini ad acqua preposti alla macinazione dei cereali. Oltre alle ricadute scientifiche, lo studio del sito e della comunità che lo abitava, a vocazione rurale e multi-confessionale, potrà anche darà un contributo al recupero del patrimonio culturale e alla ri-costruzione di narrative identitarie in una regione tormentata dagli aspri conflitti degli ultimi decenni.
Gli scavi del 2022 hanno messo in luce alcune fasi insediative del periodo ottomano e portato alla identificazione di un laboratorio per la fabbricazione di pipe da tabacco in ceramica, il primo mai rinvenuto su base archeologica nella regione. Queste pipe erano ampiamente utilizzate nei territori dell’Impero Ottomano, soprattutto a partire dal secolo XVII, come testimoniano il volume dei ritrovamenti in tutta la regione, la documentazione scritta e le evidenze iconografiche. La continuazione degli scavi permetterà di completare la messa in luce del laboratorio e di documentare in dettaglio le pratiche di produzione di questo importante elemento della storia sociale della regione.
Vai al sito del progetto Zeyd archaeological project
Tofet dell'antica città di Bithia
Il progetto ha come oggetto il tofet dell’antica città di Bithia, fondata dai Fenici forse già alla fine dell’VIII sec. a.C. sul promontorio di Torre Chia (Domus de Maria – Sud Sardegna). Il santuario è ubicato su un piccolo isolotto noto con il nome di Su Cardolinu, spesso collegato alla terraferma mediante un tombolo sabbioso e ubicato nella parte orientale della Baia di Su Portu, chiusa a ovest dal promontorio di Torre Chia.
Nel 1964, l’isolotto fu oggetto di ricerche territoriali che portarono all’identificazione dell’area sacra e a una sua breve esplorazione. In quelle circostanze, furono messi in luce un muro di temenos, un’area a cielo aperto deputata alla deposizione di urne cinerarie e tre edifici rispettivamente interpretati come “altare”, “edicola” e “sacello”. Per queste caratteristiche, F. Barreca ne propose un ipotetico riconoscimento come tofet.
Le ricerche nel sito sono riprese nell’ottobre 2021 ad opera della Missione dell’Università Ca’ Foscari, Venezia (direzione scientifica: Prof. Alessandra Gilibert; direzione dei lavori sul campo: Dr. Stefano Floris) in convenzione con il Comune di Domus de Maria. L’obiettivo del progetto è quello di contribuire ad una più approfondita conoscenza storico-archeologica del sito e della storia insediamentale di Bithia e in particolare:
- verificare l’esistenza o meno di un santuario tipo “tofet” a Su Cardolinu;
- definire i limiti cronologici della frequentazione dell'area;
- valutare la massima estensione spaziale e l'organizzazione interna del sito in relazione alla superficie totale dell'isolotto;
- esplorare lo sviluppo cronologico e storico del sito.
Il lavoro sul campo ha sinora previsto una ricognizione intensiva di superficie, lo scavo stratigrafico di un settore del campo d’urne e nell’area del sacello e ha già dato risultati molto promettenti.
Preistoria recente del Carso
Attraverso lo scavo di un sito in grotta nel Carso triestino, il progetto mira a migliorare la comprensione della preistoria recente di quest’area, concentrandosi in particolare sulle fasi Neolitiche e dell’Età del Rame. Sono ancora poco chiari numerosi aspetti dello sviluppo culturale dell’area adriatica nord-orientale e delle regioni circostanti tra la seconda metà del VI e la fine del III millennio a.C.: ad esempio, il processo di neolitizzazione, le fasi neolitiche mature che seguono il Gruppo Vlaška e la cronologia e definizione degli aspetti culturali dell’Età del Rame. Le indagini previste hanno anche lo scopo di verificare, grazie allo studio di nuovi materiali provenienti da un contesto stratigrafico affidabile, una serie di ipotesi sui sistemi di scambio e lo sviluppo culturale nel Caput Adriae elaborate negli ultimi anni e basate soprattutto sullo studio interdisciplinare di reperti litici e ceramici provenienti da Italia, Slovenia e Croazia.
Monastero dei Santi Ilario e Benedetto a Dogaletto di Mira
L'abbazia dei Santi Ilario e Benedetto fu un importante monastero benedettino ubicato ai margini occidentali della laguna di Venezia. La storia del monastero è strettamente intrecciata a quella del ducato delle origini (IX secolo) perché costituisce uno dei luoghi ‘simbolo’ della laguna altomedievale, fondamentale per la ricostruzione delle dinamiche insediative tra VIII e XIII secolo.
Di questo monastero non resta niente a vista. Nel XIX secolo furono condotti scavi archeologici che portarono al ritrovamento di una chiesa a tre navate (forse di XIII secolo), frammenti di mosaici pavimentali e una serie di sarcofagi e lapidi tombali. Gli studi su Sant'Ilario hanno dunque importanti ricadute sulla comprensione dello sviluppo della stessa città di Venezia. Il progetto ha l’obiettivo di definire lo spazio topografico e funzionale originario.
La campagna di scavo 2023 ha messo in luce le fondazioni di alcuni dei pilastri della chiesa tri--absidata di XIII secolo scavata a fine Ottocento e quelle di un’altra chiesa più antica a navata unica con tre absidi a terminazione rettilinea, di dimensioni più ridotte, canonicamente orientata. Nello scavo sono poi emerse tracce consistenti di ambienti legati alla fase alto-medievale del monastero.
Archeologia degli alti fondali
Il progetto, condotto in collaborazione con la Fondazione Azione Mare, è finalizzato ad indagare relitti di età romana ad alta profondità attraverso ROV di tipo abissale in grado di eseguire fotogrammetrie subacquee e alcuni recuperi.
Al momento sono in corso di indagine un relitto con carico di tegole e anfore tardo repubblicane al largo di Pianosa e un carico di blocchi litici e anfore Dressel 2-4 al largo di Capraia.
Progetto Archeologico Comacchio
Il Progetto Archeologico Comacchio riprende le sue attività nel territorio del delta padano dopo otto anni dalla conclusione delle ultime indagini che hanno trovato compimento in un volume di recentissima pubblicazione (link alla scheda presente nel sito, Un emporio e la sua cattedrale). Le operazioni sul campo ripartono nell’ambito del Progetto europeo VALUE - enVironmental And cuLtUral hEritage development, localmente coordinato dal Comune di Comacchio (FE).
Le nuove campagne, avviate già nell’estate-autunno 2021, mirano all’approfondimento di diversi temi di studio:
- trasformazione dell’insediamento deltizio tra la tarda antichità e l’alto medioevo, cioè nel tornante storico che vede l’affermazione del centro di Comacchio quale porto di primaria importanza nel network padano;
- dinamiche del rapporto tra uomo e ambiente nel contesto delle trasformazioni della rete idrografica padana e, conseguentemente, del delta;
- articolazione interna dell’insediamento comacchiese, con particolare riferimento alla localizzazione dell’abitato;
- approfondimento delle problematiche legate alla cultura materiale nel quadro degli scambi mediterranei;
- impostazione di una ricerca paleo-bio-geografica sulla base dello studio dei resti scheletrici rinvenuti in diverse necropoli dell’hinterland ma anche dell’insediamento altomedievale di Comacchio.
Così articolato, il progetto si avvale di metodi e strumenti interdisciplinari, ricorrendo alla geoarcheologia, al telerilevamento tramite UAV, alla geofisica, alla geochimica, all’archeometria e all’antropologia fisica anche declinata sul versante della paleo-genetica.
Le indagini si concentrano, al momento, nell’area della Pieve di Santa Maria in Padovetere, collocata circa 5 km a ovest di Comacchio, lungo le sponde di un paleoalveo del Po direttamente collegato a Comacchio, durante le cronologie di interesse, attraverso un canale artificiale (il Canale di Motta della Girata); e alla periferia meridionale del centro cittadino, nell’area dell’ex monastero di San Mauro.
Dinamiche insediative e portualità nella laguna di Venezia in età romana
Il progetto, sostenuto dal finanziamento PNRR del progetto CHANGES Spoke 1 e dal progetto Prin 2022 "The lagoon of Venice in Antiquity. Settlement dynamics, adaptive behaviours, paleoenvironmental reconstructions", intende ricostruire le modalità insediative, la navigazione e l’ambiente in età romana nella laguna nord di Venezia. Le indagini vengono condotte sia per mezzo delle tecniche dell’archeologia subacquea sia in condizioni “umide”. Al momento, grazie anche alla stretta collaborazione con il prof. Paolo Mozzi dell’Università di Padova, sono stati indagati i siti sommersi “torrione romano” del Canale San Felice, il molo romano di Ca’ Ballarin e la “villa” romana di Lio Piccolo (Tre Porti). Le indagini si concentreranno in particolare su quest’ultimo sito che ha restituito una "piscina" per mantenere in vita le ostriche del 1° sec. a.C.
L’approccio d’indagine tiene in particolare considerazione la ricostruzione del paleoambiente e le variazioni relative del mare. Le tecniche di indagine stanno sviluppando la fotogrammetria digitale in bassissima visibilità.
Cupra Marittima
Cupra Marittima è principalmente nota per essere stato il luogo in cui sorgeva il tempio dell'omonima dea picena, restaurato da Adriano nel II secolo d.C. e per essere stata, lungo tutta l'antichità, una florida città.
Dopo la scomparsa della città, il popolamento si riorganizzò e nel pieno medioevo, un villaggio fortificato, il borgo di Marano, sorge in un luogo differente, sulle colline retro-costiere.
Molto più tardi, alle soglie dell'età contemporanea, un nuovo movimento demico spostò l'insediamento verso la piana, lungo la costa e attorno alla linea ferroviaria, dando vita all'attuale abitato che, dell'antica città, recuperò dottamente il nome.
Il progetto di ricerca, diacronico e trasversale, intende analizzare le motivazioni profonde di questi spostamenti.
Per questo motivo, la ricerca si è mossa su più ambiti:
- La foce del Menocchia, per comprendere i cambiamenti ambientali che hanno interessato l’area nella tarda antichità.
- La pieve di San Basso, edificio ecclesiastico poi trasformato in monastero, che significamente sorge a metà strada tra l’insediamento romano e quello pieno medievale.
- La cinta muraria e gli edifici più antichi del borgo di Marano, dove è stato condotto uno scavo in profondità, per definire la cronologia e la topografia di dettaglio dell’abitato medievale.
Venezie sepolte nella terra del Piave?
L'insediamento tardoantico e medievale dell'antica Equilo.
Il progetto archeologico Jesolo, avviato dal 2011, si propone di ricostruire il quadro ambientale e i processi insediativi delle prime fasi di colonizzazione e di stabilizzazione di questo importante sito della laguna.
Le indagini di scavo di alcuni settori nodali dell'insediamento tardoantico e medievale si stanno svolgendo in stretta collaborazione con geologi, geografi, micromorfologi al fine di comprendere appieno le complesse vicende ambientali che hanno coinvolto le isole su cui si è sviluppato l'abitato nel corso dei secoli.
Anno dopo anno il team di Ca' Foscari sta mettendo in luce varie porzioni dell'insediamento, che permettono di delineare in maniera del tutto nuova la storia dell'antica insula Equilus: dalla costruzione di una mansio nel IV-V secolo, seguita nel VII secolo da un cimitero esteso a nord della Cattedrale di S. Maria, fino al rinvenimento delle strutture dell'abitato pieno medievale, in particolare intorno alla chiesa di San Mauro, fondata nell'VIII e ricostruita nell'XI secolo sulle rive del canale lagunare omonimo. La lunga storia di Equilus è ben rappresentata anche dai molteplici reperti e dalla ricchezza di resti bioarcheologici conservati (ossa animali e malacofauna, semi e noccioli, travi e pali di fondazioni in legno, a cui si aggiungono i resti umani provenienti da diverse aree cimiteriali).
Nel prossimo futuro si intendono ampliare ulteriormente le ricerche interdisciplinari attraverso analisi non-distruttive che prevedono l'uso di droni di ultima generazione per la mappatura dettagliata del sito e dell'area circostante.
Missione Archeologica Italiana in Pakistan
La Missione fondata nel 1955 ed attiva continuativamente sin da allora, opera principalmente nella valle dello Swat.
Si tratta di un'istituzione permanente con foresteria, biblioteca, magazzini e depositi archeologici, campi scuola.
Il campo di studi va dall'archeologia della preistoria e protostoria, a quella delle fasi islamiche e medievali.
Tradizionalmente grande spazio si è dato alle ricerche sull'archeologia del Buddhismo.
Attualmente la Missione in corso lo scavo al sito multifase urbano di Barikot (1700 a.C.- 1500 d.C.), che è giunto nel 2021 alla sua XXI campagna di scavo.
Altri progetti riguardano la produzione del vetro, il genoma antico tra il 1200 a.C. e l'età medievale, e ricerche bio-archeologiche nel campo dell'agricoltura, studi climatici e dell'alimentazione.
La Missione Archeologica Italiana in Pakistan (Swat), da quest'anno cogestita dall'Università Ca' Foscari di Venezia con l'ISMEO, continua nel 2020 gli scavi, iniziati nel 1984, nell'antico sito urbano di Barikot (Vajirasthana), conosciuta come Bazira o Beira dagli storici di Alessandro). Lo scavo e la Missione sono diretti da L.M. Olivieri (Ca' Foscari).
Situata in posizione strategica al centro della valle dello Swat alle pendici dell'Hindukush, l'antica Barikot ha rivelato una sequenza di occupazione pressoché continua che va dal 1700 a.C. all'epoca premoderna. Lo scavo fino al 2018 si è concentrato sulla città bassa, dove ha esposto due ettari (poco meno di un quinto) della città. Questa parte del sito è stata occupata continuativamente dal 500 a.C. al 300 d.C., con la sua cinta muraria costruita nella fase indo-greca (c. 150 a.C.). Dal 2019 lo scavo si è spostato sull'acropoli, già indagata nel 1998-2000, dove si sta completando lo scavo di un tempio visnuita fondato al tempo degli Shahi di Kabul (c. 700 d.C.), di cui rimangono il podio monumentale (lungo oltre 20 metri), intonacato con lesene decorate, e frammenti marmorei di statue, relativi alla fase tarda dell'edificio (dinastia degli Hindu Shahi, c. 850-1000 d.c.). Quest'anno l'attenzione è stata concentrata sulla cima dell'acropoli con lo scavo di una torre di guardia di epoca ghaznavide (XI secolo) e della cisterna monumentale del tempio shahi. La stratigrafia complessa del ripido pendio sta rivelando in questi giorni le sottostanti strutture di epoca kushana e precedenti. A loro volta queste hanno intaccato livelli protostorici, rivelati da manufatti e ceramica rinvenuti nelle colmate degli edifici del I-III secolo.
Progetto KarstScape
Il progetto interdisciplinare KarstScape ha lo scopo di ricostruire l’evoluzione del paesaggio antico del Carso (Italia e Slovenia) dal periodo preistorico a quello post-romano sulla base di ricognizioni di superficie, dati generati da telerilevamento (tra cui LiDAR; SfM photogrammetry; Ground-based remote sensing methods), scavi archeologici e analisi scientifiche di manufatti ed ecofatti. Si tratta dell’evoluzione dell’Accordo di collaborazione per lo sviluppo di tecnologie scientifiche avanzate per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione delle evidenze archeologiche e del paesaggio antico della regione Friuli Venezia Giulia (2016-2018), stipulato tra ICTP (UNESCO), Università di Trieste e la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Le ricerche attualmente in corso sono incentrate sullo studio dell’organizzazione territoriale protostorica, sulla centuriazione e la viabilità romana.
Oltre Aquileia: la conquista romana del Carso (II-I secolo a.C.)
Il progetto, nato nel 2012 da una collaborazione tra ICTP (UNESCO), Università di Trieste e Istituto di Archeologia dell’Accademia Slovena di Scienze e Arti, intende approfondire la conoscenza di un gruppo di fortificazioni militari repubblicane identificate non lontano da Trieste grazie al telerilevamento laser da piattaforma aerea.
Si tratta di strutture particolarmente interessanti perché offrono l’opportunità di studiare l’architettura militare romana di età repubblicana, testimoniata, per il II secolo a.C., quasi esclusivamente da pochi siti posti nella penisola iberica.
Dopo una serie di ricognizioni di superficie, indagini geofisiche e scavi archeologici effettuati nel 2019 e nel 2021 nel grande complesso fortificato (> di 13 ettari) di San Rocco e nel sito di Grociana piccola, gli scavi programmati nel 2022 indagheranno un’altura posta nelle immediate vicinanze dove dati di telerilevamento e ricognizioni sul terreno suggeriscono la presenza di un insediamento preromano associato a una struttura a pianta quadrata, forse i resti di una torre riferibile alla fase di conquista romana.
Il sistema portuale di Altino e le dinamiche insediative della laguna di Venezia in età romana
Il progetto è finalizzato alla ricostruzione del sistema portuale della città romana di Altino attraverso indagini condotte sia a Valle Rossa, ossia nell’area della grande darsena ad elle, sia all’interno della città antica. In quest’ultima zona si sta procedendo con carotaggi finalizzati a ricostruire dimensioni e caratteristiche dei corsi d’acqua e con studi di archivio.
Alle attività partecipano il prof. Paolo Mozzi, geologo dell’Università di Padova, e Adele Bertini, palinologa dell’Università di Firenze.
Il Porto Sepolto. Lo scavo archeologico dell’insediamento etrusco di San Basilio di Ariano nel Polesine (RO)
Il Progetto, in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova, la Soprintendenza ABAP per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza e il Polo Museale del Veneto, ha come obiettivo rimettere in luce l’antico insediamento etrusco e greco che viene fondato agli inizi del VI secolo a.C., proprio in relazione al riattivarsi delle rotte adriatiche e contestualmente della navigazione fluviale dell’asse commerciale del Po.
Dopo più di trent’anni dall'interruzione delle ricerche, la ripresa degli scavi costituisce un punto di partenza per l’approfondimento delle conoscenze sulle dinamiche adriatiche in età arcaica e tardo arcaica.
Il Progetto, inoltre, ha un’ampia valenza in termini di ‘Archeologia partecipata’ in quanto un risvolto consistente delle attività è destinato all’interazione con gli abitanti di Ariano, con il mondo scolastico, con le istituzioni locali volte alla valorizzazione del patrimonio, come il parco del delta del Po e il Polo Museale del Veneto, fino alla progettazione di percorsi turistici inquadrati nell’ambito del turismo lento ed esperienziale.
Tra la montagna e il fiume. Alla ricerca dei tumuli nascosti nella foresta
Georgian-Italian Lagodekhi Archaeological project (GILAP)
Georgian-Italian Lagodekhi Archaeological project (GILAP)
Il progetto, coordinato da Elena Rova in collaborazione con la Municipalità e il Museo di Lagodekhi (provincia di Kakheti, Georgia Orientale) è attivo dal 2018. Prevede una ricognizione di superficie con lo scopo di mappare i siti di interesse archeologico della municipalità, situata tra le pendici del Grande Caucaso e la valle del fiume Alazani, oltre a scavi e sondaggi in diversi siti per studiare l'evoluzione dell'insediamento umano sul territorio.
L'area è nota soprattutto per la presenza di monumentali tombe a tumulo (kurgan) della seconda metà del III millennio a.C., attualmente sepolte all'interno di una fitta foresta, e di numerosi siti del Calcolitico (V-IV millennio a.C.) e del Bronzo Tardo. Dal 2018 al 2021 è stato investigato l'insediamento Calcolitico di Tsiteli Gorebi 5 (I metà del V millennio a.C.), mentre nel 2022 ci si è spostati sul sito del Bronzo Tardo di Tchiauri (II metà del II millennio a.C.)
L'approccio è multi- e interdisciplinare: lo scavo si è avvalso di tecniche di microarcheologia ed è stato affiancato da ricerche paleoambientali e archeometriche. Alle campagne annuali partecipano ricercatori, studenti, specializzandi e dottorandi italiani e georgiani ed esperti internazionali. Le attività sul campo si sono concluse nel 2023, ma proseguono lo studio dei reperti e le ricerche paleoambientali.
Festòs: dal villaggio neolitico alla campagna di età romana. Forme e sviluppo di un abitato
Le prime forme di organizzazione statale nell’Egeo del II millennio
All’interno del progetto: “Festòs: dal villaggio neolitico alla campagna di età romana. Forme e sviluppo di un abitato”, nel 2022 si svolgerà il primo anno di un ciclo quinquennale di scavo (2022-2026).
La Ca’ Foscari, in collaborazione con l’Università di Catania, condurrà uno scavo nell’area del Palazzo di Festòs e precisamente nell’area ad Ovest dell’area turistica, finora non indagata. Nel suo tratto settentrionale, più in pendio, gli smottamenti del terreno hanno infatti portato all’esposizione dei livelli più antichi: da Nord, verso Sud, livelli geometrici, colmata Medio Minoica III e abitazioni del Medio Minoico II.
Questi livelli sono in rapporto con quelli già indagati da Vincenzo La Rosa subito ad Est, e consentono di chiarire alcuni dei problemi lasciati aperti, come il problema della residenzialità, episodica o stabile, delle comunità di individui che frequentavano il Palazzo e la presenza di eventuali strutture non residenziali (artigianali o di rappresentanza).
La "Città Regale" di epoca meroitica nell’antica città di Napata
La Missione Archeologica Italiana in Sudan opera nel sito dell’antica città di Napata, investigando un’area dove è stato identificato un gruppo di edifici attribuiti al re meroitico Natakamani (I sec. d.C.). Si tratta di una città regale concepita sul modello della città regale ellenistica, dominata da un palazzo, edificato su un’alta piattaforma che in antico doveva renderlo un elemento dominante del paesaggio. A questo palazzo si collegano edifici di natura varia, solo in parte investigati e caratterizzati da uno stile eclettico, con elementi nubiani, egizi ed ellenistici. Si tratta di uno degli esempi più importanti di pianificazione urbanistica nel regno di Meroe, potenza politica africana che si misura con il potere romano affermatosi nel vicino Egitto.
Antichi maestri della Georgia
Alla scoperta della viticultura e metallurgia tra Caucaso e Vicino Oriente
Il progetto, coordinato da Elena Rova in collaborazione con il Museo Nazionale Georgiano di Tbilisi, ha come oggetto le antiche culture pre- e proto-storiche della regione di Shida Kartli, cuore storico della Georgia, la mitica terra del “Vello d’oro”, nel Caucaso meridionale. L’arco cronologico indagato va dal Tardo Calcolitico all’Età del Ferro (IV-I mill. a.C.).
I siti indagati dal 2009 al 2017 sono stati Natsargora, Okherakhevi, Aradetis Orgora e Doghlauri.
Allo scavo, che ha un approccio multidisciplinare e si avvale di tecniche di microarcheologia, si sono affiancati lo studio di materiali conservati presso i musei locali e ricerche paleoambientali e archeometriche.
Sono attualmente in corso di studio (anche nell'ambito di tesi di laurea o di dottorato) i materiali rinvenuti e proseguonlo le analisi di laboratorio ai fini della pubblicazione finale degli scavi.
Vai al sito di Georgian-Italian Shida Kartli Archaeological Project
Templi, palazzi e burocrazia nel III millennio a.C.
Scoperte a Tell Beydar in Siria
La missione archeologica siro-europea a Tell Beydar (Siria) ha investigato per quasi vent'anni l'antica Nabada, città dell'Alta Mesopotamia contemporanea di Ebla e dei centri sumerici della metà del III mill. a.C., mettendo in luce numerosi edifici pubblici tra cui un vasto complesso palatino-templare.
La Missione di Ca' Foscari diretta da Lucio Milano con la condirezione di Elena Rova, ha partecipato allo scavo tra il 1997 e il 2010, mettendo in luce la Porta Urbica nord-orientale e parte di un complesso pubblico, l'Edificio Nord. In quest'area sono stati rinvenuti i più antichi testi cuneiformi provenienti dalla Siria. Lo scavo è attualmente sospeso a causa della situazione di instabilità del paese, ma continua lo studio delle evidenze architettoniche, delle sepolture e dei materiali dello scavo (ceramica, sigilli e sigillature, oggetti in metallo, materiali organici) in vista della pubblicazione del rapporto finale.
Vai al sito del progetto pTell Beydar
Alla ricerca degli antenati di Venezia
Lo scavo di Altino
La città romana di Altino è stato il primo centro importante della laguna che da Venezia prende il nome: come il precedente abitato paleoveneto, e come sarà poi Venezia, punto di incontro tra le vie marittime e la terraferma.
Gli scavi di Ca’ Foscari si concentrano sull’area urbana, dove recenti indagini tramite foto aeree hanno rilevato un impressionante apparato monumentale, con un foro, due teatri e un grande canale che attraversa la città.
Le campagne 2016 e 2017 hanno portato alla luce i resti di due grandi domus che hanno restituito una notevole quantità di materiale, tra cui monete e mosaici, e hanno offerto ai partecipanti (25 studenti per anno) la possibilità di affrontare uno scavo archeologico e di studiare dal vivo i materiali rinvenuti.
Uomo e fiume ad Aquileia
Scavi e ricerche presso il porto romano - sponda orientale
I fiumi, come è stato ben sottolineato più volte, hanno una dimensione culturale ed interagiscono costantemente con quanto li circonda, inclusa la componente antropica. In Aquileia romana lo scorrere dell’acqua costituiva non solo una risorsa da sfruttare secondo molteplici modalità, ma anche un elemento vitale ed attivo la cui energia interagiva costantemente con l’uomo e le sue opere, influenzandone l’esito finale.
Ad Aquileia l’ex fondo Sandrigo rappresenta un luogo privilegiato per uno studio dell’interazione fra uomo e ambiente: in età romana infatti l’area in questione era ubicata lungo la sponda orientale dell’antico corso fluviale denominato “Natiso cum Turro” dalle fonti, ed oggi identificabile con il risultato della confluenza fra gli antichi corsi del Torre e del Natisone e/o Isonzo. Il fondo si trova in asse con il foro e le banchine monumentali attualmente visibili del sistema portuale dell’antica Aquileia.
Le Pietre del Drago
Archeologia d’alta quota nelle montagne d’Armenia
Il Dragon Stones Archaeological Project, condotto a partire dal 2012 in collaborazione con l’Accademia delle Scienze di Erevan e con la Freie Universität di Berlino, è il primo studio sistematico delle “pietre del drago” (in Armeno: “vishap”), megaliti preistorici a rilievi teriomorfi localizzati ad alta quota nelle montagne del Caucaso meridionale.
Le pietre del drago, la cui datazione precede la fine del terzo millennio a.C., sono le più antiche testimonianze di arte monumentale del Caucaso.
La loro particolarissima localizzazione presso i pascoli d’altura li rende particolarmente significativi dal punto di vista storico-antropologico.
Il loro studio è una sfida scientifica e logistica che non era mai stata tentata prima. Il progetto prevede surveys sul Monte Aragaz e sui Monti Gheghama, nonché uno scavo archeologico presso il sito di Karmir Sar, sul Monte Aragaz.
Le rotte del marmo
Il progetto, iniziato nel 2009 e condotto anche in collaborazione con il laboratorio LAMA dello IUAV e con la Soprintendenza del Mare della Sicilia, è finalizzato alla ricostruzione delle rotte del marmo nel mondo antico e alle caratteristiche delle imbarcazioni che trasportavano questi carichi eccezionali attraverso lo studio dei relitti.
Analisi archeometriche dei marmi campionati sott’acqua permettono il riconoscimento della provenienza esatta dei litici mentre l’uso della fotogrammetria subacquea garantisce rilevamenti 3D dei siti utili per la ricostruzione dei carichi.
Ad oggi sono stati analizzati i siti calabresi di Secca di Capo Bianco e di Punta Scifo D e i relitti siciliani di Marzamemi, Isola delle Correnti, Capo Granitola e Capo Taormina, il sito toscano di Secca della Meloria e i relitti sardi di Punta del Francese e di Porto Cervo.
Vai al sito del progetto The marble routes
Another way of digging – Il laboratorio di restauro
Uno scavo diverso per una diversa emozione
Scopo del progetto è portare a termine lo scavo di sepolture della necropoli di Padova preromana (VIII-II sec. a.C.) prelevate sul campo nel 1990-1991.
L’indagine di laboratorio prevede una metodologia in cui la micro-stratigrafia interagisce con il restauro, anche per l’individuazione di materiali deperibili (come resti di tessuto o impronte di cuoio). Gli studenti, specializzandi e dottorandi sono coinvolti in attività in collaborazione interdisciplinare per la determinazione e lo studio dei resti tessili, antracologici e paleozoologici, oltre che per le analisi antropologiche destinate all’individuazione di genere ed età dei defunti oltre che per osservazioni di paleopatologia.
E’ attiva una collaborazione con l’Università di Padova per analisi radiologiche e TAC su reperti ed ossuari.
I dati sono rivolti alla ricostruzione del nucleo sociale della città, tra archeologia della morte o della ritualità funeraria, archeologia di ‘genere’, e ricostruzione dei nuclei familiari.