Dalla Via Emilia a Galway, le "periferie competitive"
Università collegate al territorio, connettività globale e nuove iniziative imprenditoriali sostenute dalla finanza locale possono aiutare le periferie a combattere la concentrazione dell'innovazione nelle principali aree metropolitane, secondo una ricerca condotta congiuntamente dal Trinity College di Dublino e dall'Università Ca’ Foscari Venezia.
Città Superstar come San Francisco, Boston, Londra, Dublino e Milano hanno manifestato negli ultimi decenni una crescita prodigiosa, confermando su base territoriale il modello di winners-take-all che contraddistingue l’economia digitale. Spesso la crescita di queste superstar city è avvenuta a spese di altre città e territori periferici, alimentando processi di polarizzazione geografica dell'innovazione. Infatti, contrariamente a quanto si poteva pensare, lo sviluppo delle tecnologie digitali non ha ridotto i divari tra aree centrali e periferiche, ma li ha semmai accentuati.
Da un lato sono così cresciute città vibranti e attrattive, dove accorrono i talenti e si concentra il capitale finanziario, dall’altro si sono invece create periferie urbane e rurali nelle quali, oltre all’erosione di ricchezza, si è perso il senso del futuro.
La ricerca condotta da Giulio Buciuni, professore di Entrepreneurship alla Business School del Trinity College di Dublino e da Giancarlo Corò, professore di Economia Applicata dell’Università Ca’ Foscari Venezia, ha preso in esame le dimensioni e le principali cause della divergenza tra centri e periferie, che costituisce una delle più insidiose forme di diseguaglianza nelle economie avanzate.
La ricerca si è svolta tra il 2017 e il 2022 e si è basata sullo studio di un’ampia letteratura scientifica, oltre che sull'analisi di dati e informazioni originali, comprese visite in loco e interviste con gli stakeholder in alcuni territori che, fuori dal raggio delle grandi città, hanno saputo contrastare il declino grazie allo sviluppo di capacità di innovazione e politiche di attrazione di investimenti esteri e capitale umano qualificato.
In particolare, i fattori chiave di un modello alternativo per le città periferiche sono stati individuati nelle aree di Galway in Irlanda, di Raleigh-Durham negli USA, nella regione della Ruhr in Germania, e nella Via Emilia in Italia. Questi territori hanno contrastato la tendenza verso la polarizzazione dell’innovazione, creando ecosistemi competitivi e diversificati, basati sull’integrazione di capacità locali e risorse esterne, dove l’Università gioca, assieme alla finanza territoriale, un ruolo fondamentale di catalizzatore dello sviluppo.
Secondo Giulio Buciuni: “La concentrazione della finanza e dell’innovazione in poche superstar city sta accrescendo i divari con aree e regioni periferiche. In questo modo la disuguaglianza all'interno dei paesi si allarga, con effetti sia di rallentamento dello sviluppo, sia di aumento del risentimento politico”.
“Studiando gli ecosistemi di innovazione nelle città secondarie di Galway, Raleigh-Durham, la valle della Ruhr e la Via Emilia, la nostra ricerca ha identificato un modello più equo e democratico per la competitività dei territori. Connettività globale grazie alla presenza di gruppi multinazionali ancorati al territorio, interazione tra università e imprese, finanza locale per l’innovazione imprenditoriale sono tre ingredienti fondamentali per rendere competitive le città secondarie.”.
“Nel nostro studio – spiega il professor Giancarlo Corò – abbiamo preso in considerazione diversi indicatori per confrontare le dinamiche dello sviluppo e dell’innovazione territoriale: dai brevetti alle pubblicazioni scientifiche, alle scelte localizzative dei laureati, alla geografia del venture capital, ma anche i valori immobiliari e i comportamenti elettorali, che discriminano in modo sempre più evidente centri e periferie”.
“La nostra ricerca evidenzia – prosegue Corò – come l’aumento delle disuguaglianze fra territori sia il risultato di fattori che, in realtà, giudichiamo positivi per l’economia, come lo sviluppo di attività innovative, la maggiore libertà di movimento e di scelta insediativa, e più in generale l’affermazione di un’economia basata sulla conoscenza. La soluzione non può dunque essere fermare questi processi, bensì essere consapevoli delle contraddizioni che la mancanza di un governo dell’innovazione può generare.
D’altro canto, la soluzione non può risiedere nemmeno nelle sole politiche redistributive, incapaci di contrastare le cause del mancato sviluppo e che semmai rischiano di alimentare un circuito della dipendenza. La soluzione va invece cercata nella creazione di territori competitivi e attrattivi, aperti agli investimenti esterni grazie, in particolare, alla presenza di università collegate al territorio quale catalizzatore di progetti di sviluppo in collaborazione con imprese e istituzioni finanziarie.”