Venezia e l'adattamento al cambiamento climatico: ce ne parla Suzana Blesić

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Prima le neuroscienze, poi la finanza e ora il cambiamento climatico. Suzana Blesić, ricercatrice Marie Curie a Ca’ Foscari, ha esplorato ambiti di ricerca molto diversi tra loro con un unico obiettivo: analizzare e comprendere i sistemi complessi. Il suo progetto CLARITY si è appena concluso dopo due anni di lavoro, mirati a fornire una serie di servizi riguardanti il clima in grado anche di calcolare i rischi legati al cambiato climatico, ed utilizzare queste conoscenze per la progettazione e la costruzione di infrastrutture urbane più resilienti. 

La sua carriera e il suo percorso accademico sono molto interessanti, come è partita dalla neurofisica per arrivare al cambiamento climatico? 

All’inizio della mia carriera scientifica non mi era molto chiaro, ma il mio percorso è stato una serie di passi naturali verso il tentativo di comprendere le dinamiche di diversi dati provenienti da altrettanti sistemi complessi. Sono una fisica statistica ed ora posso anche definirmi una data scientist
Il lavoro di ogni fisico statistico è tentare di capire e spiegare il comportamento di sistemi con un grande numero di componenti, che nel mio caso, all’inizio della mia carriera, si è tradotto in un interesse nei sistemi complessi, nello specifico mi interessava scoprire cosa si nascondesse nel codice neuronale, il modo in cui le cellule nervose comunicano all’interno di un qualsiasi sistema nervoso, con un’ attività elettrica costante.
All’epoca sono stata molto fortunata a trovare  un mentore che  mi ha supportata e con abbastanza tempo per guidare noi studenti attraverso ogni singolo passo del processo di ricerca.
Sono stata altresì fortunata a trovare ed essere poi inclusa in un gruppo multidisciplinare di neuroscienziati, i quali hanno accettato che la mia esperienza e le mie conoscenze potessero portare beneficio ai loro studi. Ho dedicato gli anni della magistrale e del dottorato a trovare metodi e strumenti statistici per analizzare serie temporali di attività neuronale. Una volta finito il dottorato, ho cominciato a capire che per comprendere meglio i problemi che avevo sotto mano e allo stesso tempo “affilare” gli strumenti matematici che stavo utilizzando, avrei dovuto cambiare la mia prospettiva, ovvero osservare simili problemi di comportamento in altri sistemi complessi. 
Ho passato quindi un breve periodo nel campo della neurologia, studiando i movimenti delle mani nelle persone con tremori patologici, sono poi uscita dalle neuroscienze per addentrarmi nei sistemi complessi creati dall’uomo – serie temporali della finanza e ora, dei sistemi climatici
Il mio obiettivo è tentare di raccogliere quante più caratteristiche universali di questi sistemi, così che poi io possa essere in grado di vedere e capire altre peculiarità di questi sistemi mai notate o spiegate prima. Fino ad ora nel mio lavoro sono stata abbastanza fortunata da lavorare a stretto contatto con ricercatori curiosi, intelligenti ed incredibilmente gentili, provenienti da diversi ambiti scientifici – medicina, biologia, economia ed ora geoscienze, meteorologia e scienze ambientali.  Da tutti loro ho imparato più di quanto mi sarei mai aspettata. 

Può dirci di più sul suo progetto CLARITY?

CLARITY è nato dal mio interesse per lo studio delle serie temporali legate al clima e la mia volontà di collaborare con i maggiori esperti europei e internazionali nel settore. CLARITY è stato un’opportunità per una fisica statistica di collaborare con un gruppo di climatologi di Ca’ Foscari, i quali erano disposti ad ampliare le loro analisi sul clima attraverso l’utilizzo di metodi derivati dalla fisica dei sistemi complessi e del coinvolgimento della cittadinanza, in un luogo che appartiene ad una delle aree più esposte al cambiamento climatico e nel contesto di un ambiente accademico riconosciuto a livello internazionale per le competenze nell’ambito della climatologia, della statistica e delle scienze ambientali. 
Il nostro scopo era di utilizzare in primo luogo la mia esperienza nell’analisi delle serie temporali applicandola alle dinamiche del clima.
Abbiamo poi provato ad utilizzare questo stesso approccio sistematico nell’analisi e nella modellazione di dati climatici complessi, al fine di studiare alcuni degli aspetti del microclima di Venezia. Per poter fare ciò abbiamo coinvolto cittadini e turisti nel tentativo di rilevare i dati attraverso il crowdsourcing. Abbiamo impiegato sensori facili da indossare, sviluppati all’Università di Canterbury a Cristchurch, Nuova Zelanda, i quali misuravano continuamente la quantità di raggi ultravioletti UVB e UVB. Siamo stati quindi in grado di utilizzarli per registrare l’indice UV esterno dell’ambiente e quello personale, derivato dall’esposizione quotidiana alle radiazioni ultraviolette. 
Quando abbiamo pianificato CLARITY volevamo sviluppare un programma che potesse approfondire la nostra conoscenza delle complesse interazioni che contribuiscono al cambiamento climatico. In questa maniera, speriamo di contribuire ed avere un impatto sull’attuazione di strategie efficienti di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico, in particolare riguardo a gli obiettivi di Parigi COP21 e quelli di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 ONU
Inoltre, tenendo a mente l’impegno europeo nel migliorare l’interazione tra scienza e società, abbiamo voluto sottolineare che l’approccio orientato alla comunità del nostro progetto, potrebbe portare ad una scienza del clima universalmente comprensibile. Penso che i nostri obiettivi iniziali siano stati raggiunti. La parte scientifica di CLARITY ha portato risultati che possono essere utilizzati per migliorare la conoscenza attuale in merito alle dinamiche del clima. La parte invece orientata alla comunità è riuscita a raggiungere un ampio pubblico ed ha portato a raccogliere prove, supportate da dati, che possono servire da base per una discussione pubblica sui modi migliori per adattarsi al cambiamento climatico, utili perciò anche nella pianificazione urbana e di politiche ambientali, sociali ed economiche. 
Le possibili applicazioni del nostro progetto sono quindi due: 

  • Gli esempi su come utilizzare metodi presi in prestito dalla fisica statistica per capire I dati sul clima, possono essere replicati in altri sistemi climatici o con altri dati;
  • L’esperimento del coinvolgimento pubblico per il crowdsourcing dei dati sul clima potrebbe essere ampliato in un approccio che offra servizi personalizzati più efficienti e  che includa i consumatori finali in tutti gli stadi della raccolta dati. 

In termini di cambiamento climatico e relativi pericoli, Venezia è probabilmente una delle città più vulnerabili al mondo. Cosa è emerso dallo studio dei dati climatici in città? Secondo lei, si può ancora sperare di invertire la tendenza attuale? 

La ricerca che ho fatto sul microclima di Venezia ha riguardato solamente l’esposizione alle radiazioni ultraviolette e in parte l’analisi delle variazioni di temperatura nel corso degli anni, perciò non sono in grado di dire molto su questo punto. Ciò che so è quello che tutti sanno, credo. Dopo numerosi studi e report di grande rilevanza, compreso quello dell’IPCC che è appena uscito, la scienza del cambiamento climatico è estremamente chiara, con obiettivi e raccomandazioni ben definiti. Non so dire se il destino della città sia già scritto e penso che nessuno possa dirlo, ma credo che si possa provare a cambiarlo per il meglio, se noi tutti come cittadini e residenti decidessimo democraticamente di passare all’azione per quanto riguarda gli obiettivi di sviluppo sostenibile, scegliendo le strategie migliori per riuscire nell’impresa.
Dall’altro lato, i miei risultati riguardo all’esposizione alle radiazioni ultraviolette hanno portato a risultati promettenti e, probabilmente, esemplari per discussioni future sull’adattamento climatico. Nello specifico, ho avuto la fortuna di trovare un gruppo di turisti a Venezia che hanno gentilmente acconsentito ad indossare i sensori UV per il crowdsourcing dei loro valori di esposizione durante un tipico giorno in città. C’era anche una donna veramente innamorata di Venezia, che ogni estate viene in visita e passa intere giornate a camminare per tutta la città. Grazie a lei abbiamo raccolto dati dal valore inestimabile, che ci hanno mostrato come l’esposizione ai raggi solari UVR durante una giornata intera in centro storico è uguale o addirittura inferiore a quella che si avrebbe in mezz’ora al Lido. Ciò significa che Venezia, con le sue calli strette e i canali, fa da scudo non solo per quanto riguarda il calore ma anche dall’esposizione ai dannosi raggi UV (i dati sono consultabili qui). 
Sembra quindi che i miei risultati preliminari possano andare ad aggiungersi alla conoscenza attuale sull’impatto dei tunnel urbani come metodo per mitigare gli effetti del calore in città e l’esposizione ad alti livelli di UVI. Ho in progetto di lavorare su questo ora. 

Pensa che ci siano disuguaglianze di genere nel suo ambito di ricerca?

Sì. E non si tratta solo di una sensazione mia o qualcosa che deriva unicamente dalla mia esperienza come ricercatrice donna o da quella delle mie college, ma è un dato di fatto corroborato da numerose analisi e statistiche, all’interno di report ufficiali, ricerche e moltissime altre fonti. Sono dati dei quali siamo a conoscenza da decenni ormai. Io sono quella che viene definita una donna nelle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr.), una donna nella fisica per di più, entrambe aree di ricerca note per la loro scarsissima rappresentanza femminile. Tra le varie conseguenze di ciò, troviamo una mancanza di figure di riferimento e mentori femminili in ambito accademico. A questo seguono una serie di pregiudizi professionali che troviamo durante tutta la nostra carriera e che si manifestano attraverso la svalutazione del nostro lavoro, dovuta a stereotipi che legano scienza e identità di genere, oppure attraverso difficoltà inaspettate e logicamente inspiegabili che dovrebbero comparire nel momento in cui una donna si trovi in prossimità di posizioni di potere. 
Le donne nell’ambito scientifico hanno inoltre molte più probabilità, rispetto ai loro colleghi uomini, di trovarsi in collaborazioni  sterili durante la loro carriera, perchè spesso e volentieri vengono viste come assistenti molto preparate invece di colleghe alla pari
Questo ultimo punto è una delle cause del famoso “pay gap” che le donne in tutti I settori professionali sperimentano e che porta alla situazione in cui ci troviamo ora, cioè dopo il 31 Ottobre, la Giornata Europea dell’Equal Pay, quando, statisticamente, le donne iniziano a lavorare gratis per il resto dell’anno, mentre gli uomini continuano a percepire il loro stipendio mensile. 
Per concludere, la mia esperienza, quella delle mie colleghe e le testimonianze di vari report, ricerche e statistiche, parlano tutte di problemi ben più gravi e allarmanti come l’abuso fisico e psicologico, fino ad arrivare ai casi di violenza sessuale sul lavoro. Tutte cose che moltissime donne nella scienza sono costrette a subire almeno una volta nella loro carriera. Tutto ciò vale per donne bianche come me, le quali condividono parte dei privilegi accordati alla loro controparte maschile, mentre le diseguaglianze e i soprusi si moltiplicano in numero e gravità quando l’identità di genere si interseca con altre condizioni di minoranza, come l’etnia, l’orientamento sessuale o la disabilità. Le cose devono cambiare radicalmente, e in fretta. 


Scopri di più sul progetto CLARITY

Francesca Favaro