Un cristianesimo parallelo in Asia: il siriaco e i suoi segreti

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Che cos’è il siriaco? Qual è stata la sfida intellettuale che hanno dovuto affrontare i cristiani di lingua siriaca e araba tra l’VIII e l’XI secolo in Mesopotamia nell’impatto con il mondo musulmano? Qual è la storia di questo “Cristianesimo parallelo”, svoltasi in Asia e conosciuta da pochi? Quali sono i testi che hanno fatto da ancora di salvezza per preservare la cultura cristiana a fronte dell’affermazione crescente di quella musulmana? Parte da queste domande l’ERC-Starting Grant che Emiliano Fiori (Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea) ha vinto nel 2017 con il progetto FLOS – Florilegia Syriaca. The Intercultural Dissemination of Greek Christian Thought in Syriac and Arabic in the First Millennium CE che studia per la prima volta organicamente i florilegi patristici siriaci, raccolte di fonti cristiane greche in traduzione siriaca, giunti a noi in antichi manoscritti del primo millennio. La ricerca sta ora entrando nel vivo e per questo abbiamo chiesto a Emiliano Fiori di raccontarcela.

Innanzitutto, che cos’è il siriaco?

È una varietà dell’aramaico, una lingua millenaria che è si è sempre manifestata attraverso le sue numerose varietà; fu la lingua dell’impero persiano achemenide, la lingua di Ciro e di Dario, ed era di fatto una lingua franca del Medio Oriente alla fine del I millennio avanti Cristo. Poi nelle zone della Mesopotamia settentrionale vicino all’Eufrate si è sviluppato il siriaco (da non confondere con il siriano, il dialetto dell’arabo parlato in Siria), che ha prodotto una delle letterature in aramaico tra le più significative. Si tratta di una varietà imparentata con l’aramaico giudaico babilonese, che è la lingua del Talmud. È strettamente imparentata anche con la lingua che parlava Gesù. Oggi il siriaco antico, che ormai è solo scritto ma ancora usato in alcune liturgie, è detto “il siriaco dei libri”.

Oggigiorno tra le varietà parlate quelle che più si avvicinano al siriaco sono: il turoyo, che è parlato in Turchia Sud Orientale, e le varietà parlate nel Kurdistan iracheno e nell’Iran nord-occidentale; si scrivono tutte ancora con lo stesso alfabeto del siriaco classico. Si tratta di lingue parlate per lo più in diaspora, soprattutto in America settentrionale e in Europa del Nord (in particolare Svezia) dove esistono comunità di dimensioni anche considerevoli.

Il siriaco comincia a manifestarsi in iscrizioni nel I secolo d.C., e produce una fiorentissima letteratura fino all’invasione dei Mongoli nel XIII secolo. Rimane poi vivo nello scritto e si evolve oralmente nei dialetti moderni. Ma poiché sono lingue parlate da Cristiani, dalla fine dell’impero ottomano in poi hanno avuto vita particolarmente difficile: in tutto il Medio Oriente i parlanti sono stati spesso fisicamente eliminati oppure hanno trovato la via dell’emigrazione dalle loro terre e in pochi resistono ancora nelle terre d’origine.
Nella ‘patria storica’ del siriaco, la Turchia sudorientale (insieme all’Iraq settentrionale) il governo turco proibisce l’insegnamento della lingua, che ancora oggi è illegale. Questo è un grosso impedimento alla perpetuazione del siriaco e dei dialetti aramaici moderni tra i madrelingua.

Chiesa di Aḥudemmeh a Tikrit, località in Iraq sita sul corso del Tigri. La chiesa, la cui fondazione risaliva all’VIII secolo, è stata distrutta dall’ISIS nel 2014. Nella città di Tikrit, in siriaco Tagrit, potrebbero essere stati allestiti i florilegi al centro del progetto FLOS

Qual è dunque l’argomento su cui è stato costruito il progetto FLOS dell’ERC Starting Grant?

Il progetto si focalizza in particolare sulle metamorfosi del pensiero greco cristiano in siriaco nel I millennio. L’obiettivo è quello di riportare alla luce un corpus di fonti siriache e arabo-cristiane che non sono state studiate prima e analizzare l’interazione tra cultura cristiana greca e le varie forme assunte dal cristianesimo siriaco.

A partire dalla metà del VII secolo i cristiani siriaci si sono trovati di fronte al potere politico e religioso dell’islam, e quindi nella condizione di dover giustificare sé stessi in quanto cristiani e di preservare il loro patrimonio culturale.

Nei primi secoli dell’islam, i siriaci e gli altri cristiani erano in una situazione di sottomissione privilegiata in zone come la Siria e la Mesopotamia, cioè la terra fra il Tigri e l’Eufrate divisa oggi tra Turchia e Iraq. Inizialmente infatti, e in realtà per secoli, i cristiani non furono perseguitati, anche perché erano ancora la maggioranza della popolazione ed erano necessari ma avevano tuttavia bisogno di consolidare la loro identità per resistere e per giustificarsi intellettualmente di fronte alla crescente potenza politica, economica e religiosa e intellettuale dell’islam, Uno dei sistemi principali ai quali ricorsero fu di guardare al passato, al passato greco: alla grande letteratura teologica cristiana scritta in lingua greca nei primi secoli dell’impero romano.

Nei primi secoli dopo Cristo gli autori cristiani di lingua greca avevano sviluppato una riflessione teologica sempre più articolata, e nel corso del tempo furono chiamati ‘padri della Chiesa’, per sottolineare il loro ruolo di autorità fondative della teologica cristiana. I siriaci iniziarono presto (tra il IV e il V secolo) a tradurre questa letteratura dal greco in siriaco e altrettanto presto ne produssero delle antologie. Inizialmente cioè traducevano opere intere dei ‘padri’, ma poi cominciarono a selezionarne degli estratti, dei passaggi di particolare interesse e a rimontarli in raccolte: queste erano i florilegi, ossia delle collezioni di brani scelti che includevano il ‘fior fiore’ dell’antica letteratura greca cristiana.

dettaglio di un manoscritto contenente i florilegi studiati nel progetto FLOS. © British Library

Sotto il dominio musulmano tra il VII e l’XI secolo i cristiani siriaci di determinate confessioni ricorsero soprattutto a questi montaggi di brani dell’antica letteratura greca cristiana, focalizzati in particolare su una riflessione circa la natura di Dio e di Cristo, per delineare il loro identikit teologico. Questa eredità era una sorta di kit di pronto soccorso intellettuale per tempi in cui la loro cultura era minacciata. I florilegi fungevano da manuali e prontuari per l’istruzione e l’autoidentificazione teologica. I Cristiani siriaci di ogni confessione continuarono sempre a scrivere anche opere in proprio, in particolare splendida poesia religiosa, ma questi florilegi-manuali e in generale il riuso della letteratura cristiana greca furono cruciali, ed è su questo che lavora il progetto. Queste antologie di ‘padri della Chiesa’ sono conservate in manoscritti di pergamena prodotti fra il 700 e il 1000 d.C., copiati negli stessi anni in cui le antologie venivano allestite. Si trovano quasi tutti alla British Library di Londra e sono molto ponderosi, di solito sulle 500 pagine; non contengono miniature o altre illustrazioni perché sono pensati come manuali, come strumenti, la loro mise en page è raffinata e ordinata, a volte complessa, il che suggerisce che furono prodotti per un’alta committenza ecclesiastica.

Cosa vuole dimostrare la ricerca?

Lo scopo della ricerca è duplice: da una parte, stiamo leggendo e analizzando i florilegi per vedere cosa è stato selezionato e quali erano i problemi che spingevano a questa selezione; alla fine del progetto pubblicheremo delle edizioni critiche con le copie digitalizzate dei manoscritti, che otterremo dalla British Library. Si tratta di una novità assoluta, perché questi florilegi, non sono mai stati studiati in quanto raccolte “creative”, frutto di un preciso progetto intellettuale. Grazie alla collaboratrice Claudia Simonelli (esperta di digital humanities) stiamo procedendo alla trascrizione digitale (codifica) dei testi in formato xml per permettere all’utente di interagire attivamente con i florilegi, non solo di consultarli. Per fare un esempio, l’utente può essere interessato a vedere l’originale greco dei singoli estratti; grazie alla codifica digitale saremo in grado di collegare il testo siriaco del florilegio al testo greco dell’originale.
Il secondo scopo del progetto è capire come la formazione che i cristiani del tempo ottenevano su questi florilegi-manuali si traduceva poi nel dibattito culturale effettivo. Tra l’VIII e l’XI secolo molti autori cristiani siriaci scrissero opere teologiche, sovente a scopo di controversia con i propri concorrenti cristiani o con i musulmani; le scrivevano in siriaco, ma anche sempre più spesso in arabo, citandovi abbondantemente i florilegi o costruendo le loro argomentazioni con tematiche tratte dai florilegi.

Un altro esperto che fa parte di questo progetto è Bishara Ebeid, arabo di cittadinanza israeliana a suo agio nel greco come nel siriaco e nell’arabo, sua lingua madre, che contribuirà specialmente al secondo scopo del progetto, indagando l’uso dei florilegi e più in generali la conoscenza dei ‘padri’ greci negli scrittori arabi cristiani fino all’XI secolo. Questi autori, in virtù della lingua in cui scelsero di scrivere, erano maggiormente esposti al confronto interreligioso con l’islam. La loro cultura religiosa tuttavia era siriaca, e si può parlare nel loro caso di una vera e propria letteratura cristiana siro-araba. Non va dimenticato che nella Mesopotamia della fine del I millennio, soprattutto a Baghdad nel X secolo, per un certo periodo i cristiani e i musulmani dibatterono questioni filosofiche e teologiche su un piano di quasi totale parità, spesso in salotti privati o alla corte dei principi che li facevano esibire in dibattiti per diletto; i dibattiti, che si svolgevano in arabo, una volta debitamente rielaborati, venivano spesso trascritti e sono pervenuti fino a noi. Nella Baghdad del X secolo avveniva anche che tra filosofi cristiani e musulmani si creassero catene di discepolato reciproco: filosofi cristiani insegnavano a filosofi arabi e viceversa. Per esempio, uno dei primi grandi filosofi arabo-musulmani, Al Fārābī (morto nel 950-951), fu maestro di un grande filosofo e teologo arabo-cristiano, Yaḥyā ibn ‘Adī (morto nel 974).

La conoscenza di questo sostrato culturale, può aiutare nella comprensione di oggi?

È importante capire che alle origini il cristianesimo e l’islam nel Medio Oriente erano due culture religiose certo nettamente distinte ma anche fortemente compenetrate: i musulmani inizialmente apprendono dai cristiani, poi i cristiani cominciano a imparare dai musulmani, vivendo gomito a gomito e parlando la stessa lingua. Gli ebrei, invece, in quel periodo parteciparono al dibattito in posizione più appartata, venendo influenzati dal dibattito cristiano-islamico più che influenzarlo essi stessi. L’apporto maggiore che una ricerca come la nostra può portare alla comprensione del nostro presente è un notevole incremento di coscienza storica. Studiare la storia intellettuale di un cristianesimo che fu il primo a dover fronteggiare l’islam e a doversi attrezzare culturalmente per questo confronto, vuole dire rendersi conto di come il Medio Oriente sia stato il luogo di una pluralità culturale e religiosa che oggi è poco o nulla percepita e, pur resistendo in parte, è in effetti minacciata, poiché gli estremisti islamici vogliono eliminarla, puntando a una antistorica omogeneizzazione del territorio. In Iraq, una delle culle della cultura siriaca, il cristianesimo, che è appunto di radice siriaca, è ormai sul punto di scomparire Si tratta di un grave impoverimento storico-culturale ancor prima che religioso. Inoltre, questa ricerca ci mette a disposizione, come mi è già capitato di dire, uno ‘specchio lontano’: nel momento in cui la presenza dell’islam in Europa diventa sempre più importante, è senz’altro istruttivo studiare le strategie intellettuali messe in opera nel confronto con l’islam da un mondo religioso, quello siriaco, che pur essendo lontano ha molto in comune con la nostra eredità culturale.

FEDERICA FERRARIN