Venerdì 25 maggio 2018 alle ore 10.30 presso l’Aula magna “Cazzavillan” (Campus San Giobbe) è in programma “Space Innovation: back to big challenges”.
L’evento è il momento conclusivo di “Campus Life-Grand Innovation”, ciclo di incontri organizzato dal Dipartimento di Management di Ca’ Foscari e pensato per promuovere il dibattito sull’innovazione come impresa “ambiziosa”: cambiamento rivoluzionario che trasforma in modo sostanziale e definitivo prassi e conoscenze, frontiere e visioni. E per condividere come imprenditori, manager, ricercatori e scienziati, siano chiamati ad affrontare insieme sfide più alte, contribuendo al progresso economico, culturale e sociale.
In attesa dei grandi ospiti presenti venerdì, ad aprire la riflessione su “innovazione e ritorno alle grandi sfide” alcuni docenti e ricercatori del Dipartimento di Management che, a partire dal loro bagaglio di conoscenze e di ricerca continua sul tema, ci restituiscono interessanti spunti e riflessioni.
«L’innovazione vera è scoperta, è portare sul mercato un’invenzione. L’invenzione parte da una scoperta e le scoperte, per essere tali, necessitano di ricerca - dice Carlo Bagnoli, docente di Strategy Innovation -. Per produrre innovazione, oggi le imprese non possono applicare ricerche già note, ma devono ricercare ciò che noto ancora non è. E qui viene il nostro ruolo: l’Università ha il metodo per fare innovazione, ed è chiamata a spostare il focus da una ricerca teorica a quella applicata. Il nostro compito è così quello di accompagnare le imprese, aiutarle a leggere e a rispondere al loro bisogno di innovazione». La grande sfida di oggi? «L’interdisciplinarietà: è fondamentale il compito - una volta lo facevano i filosofi - di chi ha la “big picture”, il grande schema, di chi si mette ai confini della grandi discipline, facendo dialogare esperti verticali».
Sul ruolo della ricerca e dell’innovazione per la stessa sopravvivenza delle imprese, anche nel nostro territorio, Vladi Finotto, docente di Strategie di impresa e imprenditorialità: «Oggi, complice la crisi, il tessuto economico del Nordest è più pronto all’innovazione, disposto a mettersi in gioco e ad accettare gli input che arrivano dalla ricerca. Le imprese si trovano ad affrontare sfide cambiate e diventate ambiziose. Certamente, sono chiamate a fare innovazioni incrementali, ma la loro capacità di competere su mercati sempre più qualificati e sofisticati, si giocherà nel prossimo futuro sulla reale capacità di integrare tecnologie e saperi tra loro molto diversi. E su questo la ricerca può fare due cose: da un lato fornire alle aziende idee e soluzioni originali su cui lavorare per migliorare processi e prodotti; dall'altro invitare le aziende locali a sperimentare tecnologie e scoperte che ancora non hanno applicazione diretta e immediata.
Che significa non solo rendere migliori i prossimi quattro o cinque anni, ma pensare a come fra trent’anni l’uomo potrà andare su Marte e nello spazio e a come risolvere grandi problemi sociali ed economici. Insomma, il compito della ricerca è tracciare grandi ambizioni, quello dell’impresa accettare la sfida e farsi aiutare dalla ricerca a compiere grandi innovazioni».
Si tratta di un dialogo da rafforzare, e di una cultura da far crescere. «Le piccole e medie imprese, in particolare, mostrano maggiori difficoltà a vedere le ricadute di una ricerca basata su un orizzonte temporale più lungo - evidenzia da parte sua Giovanni Fasano, docente di Ricerca Operativa -, mentre dimostrano interesse per progetti di ricerca finalizzati alla realizzazione di un risultato vicino nel tempo. D'altro canto, le grandi imprese sono aperte alle innovazioni suggerite da una possibile ricerca prolungata, ma vogliono assicurazioni che l'attuazione delle procedure definite dall'innovazione siano attuabili nel quadro delle loro procedure correnti. È emblematico il caso delle maggiori imprese con business incentrato sull'innovazione tecnologica (e.g. Google, Amazon, Facebook, Microsoft e Apple), che hanno sviluppato propri team di ricerca e hanno addirittura definito ambiti di ricerca nuovi, con ricadute forti anche nell'ambito accademico, come successe in modo simile, vent’anni anni fa, quando i gestori di telefonia mobile aprirono la strada a studi sulle telecomunicazioni».
«Ci sono settori in cui più di altri imprese e istituzioni necessitano di essere affiancate dall’Università – continua Francesco Zirpoli, docente di Management e direttore del CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation). È sicuramente il caso dell’industria automotive e della mobilità sostenibile, sulle quali il CAMI è impegnato in una ricerca di frontiera che fa leva su un complesso di conoscenze articolate e multidisciplinari. I grandi interessi che ruotano intorno all’industria della mobilità e al suo indotto - tra i primi che incidono sul PIL e in termini di impatto sull’occupazione - rendono cruciale che la ricerca sia realizzata da un soggetto indipendente come il CAMI».
Ma le grandi sfide di oggi non sono solo tecnologiche: sono legate alla società nel suo complesso. «Sempre in campo automobilistico – continua Zirpoli –, l’impatto occupazionale di nuove tecnologie è molto forte, perché gli attori devono cambiare e cambierà l’intero sistema della mobilità. La grande sfida, che è poi il cuore della nostra ricerca, è identificare soluzioni che rendano possibile la transizione verso nuovi sistemi di mobilità, accompagnando nella transizione il sistema occupazionale, le imprese, i decisori pubblici, affinché le tecnologie si trasformino in possibilità reali per i cittadini, i lavoratori e tutto il sistema della conoscenza».
«La domanda di innovazione è un’esigenza che percepiamo concretamente nel settore automotive: in termini di tecnologie, di prodotto e, di conseguenza, in termini di modelli di business – spiega ancora Anna Moretti, docente e coordinatrice scientifica dell’Osservatorio nazionale sulla componentistica automotive -. Le pmi che tradizionalmente operano in questa industria hanno bisogno di un nuovo indirizzo e di riuscire ad anticipare i cambiamenti del futuro, e la ricerca risulta per loro fondamentale per comprendere come rimanere operative e competitive in un mercato caratterizzato da profondi mutamenti architetturali. Tutto questo chiede profondi cambiamenti, a partire da quelli organizzativi».