Ca' Foscari guarda all'India, tra arte e cinema

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Gli eventi sono realizzati nell'ambito dell'iniziativa Conversations with contemporary India, in collaborazione con l’Ambasciata Italiana a New Delhi. Main Sponsor: Benetton


Adivasi
le culture indigene dell’India

Mostra temporanea di arte e manufatti tradizionali dell’India tribale


Rathva, Rabari (Gujarat, Rajasthan); Toda (Tamil Nadu)

A cura di
Roberta Ceolin
con la partecipazione di Stefano Beggiora e Laura Tenti

La mostra rimarrà aperta dal 16 Settembre al 9 Ottobre 2016 secondo i seguenti orari:
Lun / Sab 10.00 - 19.00
Dom 15.00 - 19.00
Ingresso libero

Con il termine adivasi, ovvero ‘aborigeni’  - coloro che ab origine abitarono il Subcontinente indiano – s’intendono oggi le minoranze etniche tribali dell’India. Si tratta di un caleidoscopio di culture, lingue, tradizioni che hanno attraversato la storia di questo meraviglioso e millenario paese, ma che molto spesso sono state ingiustamente relegate ai margini della società. Del resto il governo indiano definisce le Scheduled Tribes in base non solo alle caratteristiche di una religiosità e cultura distintive, ma anche a seguito di generali condizioni d’arretratezza e di un relativo isolamento geografico. Sono quelle comunità che ancora oggi vivono nel folto della giungla indiana e nelle remote vallate dell’Himalaya, grazie alla pastorizia e a tecniche per certi versi arcaiche d’agricoltura, tanto che fra esse si annoverano gli ultimissimi gruppi nomadi e di cacciatori e raccoglitori. Secondo il Census of India del 2011, l’ultima grande operazione di censimento della nazione, queste comunità rappresenterebbero ben l’8,6% della popolazione totale, quindi oltre cento milioni di persone, suddivise in più di seicento tribù, con innumerevoli sottogruppi locali.
In epoca contemporanea gli adivasi hanno adottato processi d’adattamento diversificati rispetto alla modernità, in particolare coloro che risiedono vicini ad aree urbane o suburbane. Ma i tratti peculiari dell’arte, del folklore, dell’artigianato locali stanno oggi coagulando attorno a queste comunità un fiero senso d’identità che resiste alle più globali tendenze verso l’omologazione. Quella che è definita ‘la conoscenza indigena della foresta’ e lo sciamanismo che ancora si ritrova presso molti gruppi, rivelano il sapore di un mondo antico, di tradizioni orali tramandate di generazione in generazione, vissute attraverso uno stile di vita fragile, in costante rapporto con la natura e il territorio circostante. Questa cultura è oggi considerata  patrimonio dell’umanità.
Per quanto tecnicamente non proprio tutte le comunità tribali possano essere considerate originarie del Subcontinente tout court, in virtù di antiche o recenti migrazioni o perché la loro genesi si perde nel passato della storia dell’India, il termine adivasi incarna oggi il concetto di indigeno nonché la fierezza di un’identità distintiva  
La Mostra propone dunque un viaggio presso tre di queste etnie, poste quasi agli antipodi dell’India (Rathva e Rabari del Gujarat e Rajasthan e Toda del Tamil Nadu) tramite fotografie, dipinti, espressioni diverse dell’arte adivasi provenienti dalla ricca collezione di Roberta Ceolin. Le immagini, momenti di magia realmente vissuti, fermano il tempo di questo straordinario mondo. E attraverso le loro suggestioni sembrano raccontare il non detto, mostrando persino ciò che a prima vista appare non visibile.

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Le Indie del cinema:
momenti dagli ultimi cinquant’anni

Rassegna di film in lingua originale con sottotitoli in inglese e in italiano
Dal 16 settembre al 6 ottobre a CFZ


Se il termine Bollywood è ormai familiare, meno note sono probabilmente le avventurose circostanze che hanno reso possibile la nascita di un’industria cinematografica divenuta così imponente come quella indiana. A colmare questa lacuna è il primo titolo di questa rassegna, La fabbrica di Harishchandra (2010), che racconta come Dhundiraj Govind Phalke (1870-1944, superando l’insuperabile, sia riuscito nel 1913 a realizzare il suo sogno: dare all’India un proprio cinema.
Ma torniamo a Bollywood: il termine, invece di indicare soltanto il cinema hindi popolare, prodotto a Bombay (ora Mumbai), è diventato sinonimo di cinema indiano tout court. Invero, la realtà è un pochino più complessa. L’India, infatti, è una Unione di stati federali, ognuno dei quali, come gli stati europei, si distingue per la sua storia, la sua cultura e la sua lingua (o più di una). E ha anche una sua cinematografia che ne riflette l’identità. Ne consegue che non esiste il cinema indiano, ma piuttosto i cinema indiani.
In secondo luogo, la definizione ormai incancrenita di “cinema regionali” per indicare i cinema dei diversi stati nelle lingue che non sono hindi è del tutto scorretta. Implicherebbe una sorta di marginalità di questi stati, quasi fossero fuori da una presunta corrente nazionale. Ma non c’è una corrente nazionale, a meno di non considerare tale il cinema hindi. Hindi, però, è solo la lingua ufficiale dell’India, non la lingua nazionale. Per un abitante del Kerala, ad esempio, la lingua nazionale è il malayalam, come nazionali sono i film in quell’idioma, mentre può capire un film bengalese solo con i sottotitoli. E viceversa.
Altra questione: accanto al cinema popolare, si era affermato anche un cinema di diversi intenti, definito Nuovo Cinema o Cinema Parallelo, sviluppatosi tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta del ‘900. Oggi questa separazione non è più così rigida e conflittuale. Meglio, i film – mainstream o paralleli, in hindi o nelle altre lingue – ricominciano ad essere considerati per quello che sono: belli, brutti, così e così.
La selezione dei titoli qui raccolti deriva da queste premesse. Si tratta di opere uscite negli ultimi cinquant’anni, in diverse lingue. La prima, a cui si è accennato, e l’ultima, Aligarh (2016), sono il frutto di due registi di ultima generazione, ormai tra i nomi di punta: Paresh Mokashi e Hansal Mehta. Gli altri sei film sono tra i più significativi di registi ormai leggendari che continuano con regolarità a donare all’India nuove pietre miliari: Shyam Benegal, Adoor Gopalakrishnan, Girish Kasaravalli, Jahnu Barua e Aparna Sen. Solo Muzaffar Ali è rimasto latitante per diversi anni (aveva altro da fare). In compenso, nel 1981 aveva realizzato un film memorabile, incluso in questa rassegna: Umrao Jaan, tratto dal romanzo quasi omonimo di M.H. Ruswa.
Una rassegna, quindi, che seppure non esaustiva è in grado di offrire una galleria di grandi personaggi femminili e maschili, di situazioni sociali che mutano o si mantengono nel corso del tempo e soprattutto di momenti fondamentali nella storia del cinema indiano.

(a cura di Cecilia Cossio; con la collaborazione di Stefano Beggiora e Thomas Dahnhardt)