“Tacita bonast mulier semper quam loquens”: è sempre meglio una donna silenziosa che una loquace, scriveva Plauto nel II sec. a.C. Nella società romana, prettamente patriarcale, per le donne tacere non era solo un dovere, ma una vera e propria virtù. La tradizione stabiliva che solo gli uomini potessero intervenire attivamente nella politica romana e che le donne dovessero limitarsi alla gestione della casa e della famiglia, attenendosi al culto e al monito della dea Tacita Muta che, come racconta il mito, venne privata della lingua dal dio Giove. Eppure quando la Repubblica veniva scossa da sanguinose guerre civili e crisi interne, la condizione femminile mutava e alcune matrone facevano sentire la propria voce.
Il podcast Matronae, Voci di donne dall’antica Roma è nato grazie al laboratorio sperimentale di divulgazione scientifica ‘Women’s Lives, Women’s Histories’, tenuto e curato dalla professoressa Francesca Rohr, e dalle docenti Alessandra Valentini e Sara Borrello, e le autrici sono le studentesse Letizia Nuscis, Elena Missaggia, Valentina Rossi e Chiara Valeri. Il laboratorio, nato per far acquisire competenze nell’ambito della divulgazione scientifica di temi di storia antica, è organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici e dal Groupe International d’Études sur la Famille et la Femme dans la Rome Antique (GIEFFRA). La serie podcast, disponibile sul sito di GIEFFRA e su Spotify, ripercorre cinque storie di donne romane, partendo dalle fonti antiche degli storiografi greci e romani che hanno riportato i loro discorsi, facendoli arrivare fino a noi.
Esistono diversi discorsi tenuti da matrone romane sia pubblici, come quelli di Ortensia e Giulia, che privati, come quelli di Porcia e Servilia, e discorsi leggendari, come quello delle Sabine. Quando gli uomini di potere erano coinvolti in pericolosi tumulti di piazza, a capo degli eserciti o in esilio e disertavano le consuete attività istituzionali, alcune matrone si dedicavano alla cosa pubblica. Le strategie venivano studiate in contesti privati: le domus diventavano sedi di incontri e cene politiche in cui si stabiliva il destino della repubblica, ma le donne parlavano anche in spazi pubblici, come il foro e le strade di Roma. Non si può certo parlare di emancipazione vera e propria, come la intendiamo oggi, quanto più una di una necessaria presa di posizione al fine di difendere i propri privilegi e preservare il proprio status sociale ed economico.
Il podcast come strumento di divulgazione scientifica
Il podcast usato come strumento di Public History fa conoscere al largo pubblico la memoria di donne dell’élite vissute tra tarda repubblica e primo impero romano e l’uso che tali donne fecero della parola in forma di discorso per affermare il proprio pensiero su questioni di interesse pubblico.
La scelta di questo strumento comunicativo nasce dalla sua peculiare semplicità di fruizione, nonché dalla sua crescente popolarità. La metodologia e l’autorevolezza delle informazioni è la medesima, tuttavia viene posta particolare attenzione nel processo di contestualizzazione, necessario a una comprensione precisa anche senza delle conoscenze pregresse.
La difficoltà principale, nonché il punto di forza, del podcast come veicolo per la divulgazione scientifica consiste proprio nel trovare un equilibrio efficace tra autorevolezza e immediatezza, mantenendo intatta e approfondita la verità storica. Il prodotto finale è una narrazione polifonica in cui si intrecciano narratori, necessari a introdurre agli ascoltatori le coordinate storiche per collocare l’evento di cui parla, e fonti antiche, che riportano i discorsi delle protagoniste di queste storie. Con il podcast ci si rivolge alle persone in modo intimo, senza eccessi di confidenza, per includere chi ascolta, utilizzando una narrazione immaginifica, accompagnata da musica e suoni.
La parola alle artefici
Abbiamo chiesto ad Elena Missaggia, una delle partecipanti al laboratorio, che ha scritto la propria tesi magistrale sull’esperienza di podcasting, cosa è emerso da questa attività.
“Ho analizzato il podcast come strumento per la divulgazione scientifica partendo dall’analisi di metodi e strumentazione da utilizzare al momento della registrazione e del montaggio, alle scelta delle piattaforme di pubblicazione, fino ad arrivare alle potenzialità di questo medium. Prendendo in considerazione lo sviluppo e le metodologie della Public History, credo che il podcast possa colmare quello spazio che divide il mondo accademico dal grande pubblico. In questo modo un progetto accademico può diventare un momento di riflessione per tutti e avere un impatto anche per i non esperti.”
- Il vostro gruppo di lavoro era tutto al femminile. Vi siete mai domandate se le protagoniste delle storie avessero avuto il podcast per far sentire la loro voce, come lo avrebbero potuto usare?
“Ho lavorato in profonda sinergia con un team di colleghe brillanti e con competenze eterogenee, è stato bello pensare di poter ridare una voce femminile a queste donne, raccontate da uomini per così tanti secoli. Se le matronae avessero avuto un loro podcast credo che non lo avrebbero utilizzato come strumento di propaganda politica o emancipatoria. I discorsi di cui parliamo nel podcast sono pronunciati in situazioni di crisi, in cui le donne reagiscono in modo quasi impulsivo rispetto alle decisioni e alla politica del tempo. Inoltre, non c’è mai una vera e propria rivendicazione della propria autorevolezza. Nel contesto di una registrazione, probabilmente, si sarebbero dedicate a raccontare le loro vite e le loro storie: non come madri o mogli di generali o senatori, ma semplicemente come donne.”
- Chi di loro sarebbe stata una podcaster naturale?
“Tra le nostre matronae, sicuramente Ortensia sarebbe stata un’ottima podcaster. Figlia dell’oratore Quinto Ortensio Ortalo, conosceva bene le tecniche dell’ars oratoria, tanto che il suo discorso è stato riportato ed elogiato per secoli. Sarebbe stata certamente in grado di usare la propria abilità per il bene della sua comunità e dell’ordo matronarum.”
Un filo rosso con il presente
Sebbene le vicende messe in luce attraverso il podcast risalgono a più di duemila anni fa, raccontare e comprendere la storia delle matrone romane significa chiarire alcuni aspetti del nostro tempo e ci offre una maggiore consapevolezza storica utile a riflessioni sul presente.
Ad esempio, secondo Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in Italia gli esponenti politici che ad aprile 2023 hanno parlato nei telegiornali sono per il 72% uomini e solo il 28% donne. Se poi si esclude la Presidente del del Consiglio, la prevalenza maschile nella posizione di retore supera l’80%.
Cosa fare allora?
Come diceva la studiosa americana Sara Pomeroy, citata nella prima puntata del podcast, ‘il passato illumina problemi contemporanei nei rapporti fra donne e uomini’ e sta a noi conoscerlo per migliorare il nostro presente, nella speranza di un futuro in cui le donne siano sempre meno tacite.