Una cronistoria dell'Unione europea.
Scopri i momenti, le personalità e i traguardi più significativi che hanno contribuito alla nascita dell'Unione europea. Questa serie di podcast racconta le storie di uomini e donne che, con il loro coraggio e la loro lungimiranza, hanno aperto la strada all'UE come la conosciamo oggi.
A cura di: Europarl Radio, la radio online del Parlamento europeo.
Frequenza di pubblicazione: settimanale
Categoria: EuroparlRadio
L'11 luglio 1995 le truppe serbo-bosniache, guidate dal generale Ratko Mladić, occupano la città di Srebrenica nella Bosnia orientale, dichiarata "zona protetta" dall'ONU. Nei giorni seguenti oltre 8.000 musulmani, soprattutto uomini e ragazzi, vengono trucidati e sepolti in fosse comuni. In questo episodio della rubrica "Storia e fatti", approfondiremo uno degli eventi più tragici che hanno segnato la fine del ventesimo secolo: il genocidio di Srebrenica. Partiremo dal contesto che ha portato allo scoppio della guerra nell'ex Jugoslavia, per poi raccontare i fatti di Srebrenica e il processo che ha portato al riconoscimento di questa atrocità e alla sua commemorazione in tutto il mondo.
Le origini del genocidio di Srebrenica risalgono alla dissoluzione della Jugoslavia nei primi anni Novanta. La Jugoslavia era una federazione socialista composta da sei repubbliche: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia e Serbia. Le prime spaccature emergono già nel 1980 con la morte del leader di lungo corso Josip Broz Tito.
Tito era riuscito a mantenere un delicato equilibrio tra i diversi gruppi etnici presenti in Jugoslavia, ma, con la sua morte, si risvegliano i sentimenti nazionalisti sopiti dando origine a una grande instabilità politica. Nel 1991 Slovenia e Croazia proclamano l'indipendenza, provocando la violenta risposta dell'esercito popolare jugoslavo, controllato prevalentemente dai serbi. Il conflitto si diffonde presto in Bosnia-Erzegovina, la più multietnica delle sei repubbliche, dove i musulmani bosniaci vivono a stretto contatto con croati e serbi. Nel 1992 anche la Bosnia-Erzegovina dichiara l'indipendenza. Scoppia così una guerra brutale e complessa che coinvolge diverse fazioni. Spalleggiati dal governo serbo e dall'esercito popolare jugoslavo, i serbi bosniaci cercano di creare una Grande Serbia mettendo in atto una pulizia etnica nelle zone sotto il loro controllo.
Srebrenica, città della Bosnia orientale, diventa simbolo della brutalità della guerra. Dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite nel 1993, avrebbe dovuto essere al riparo da attacchi armati e azioni ostili. Nonostante ciò, le forze serbo-bosniache la assediano, bloccando l'accesso a cibo, forniture mediche e aiuti umanitari.
Nel luglio 1995 la situazione si fa critica. Migliaia di bosniaci, in fuga dalle zone limitrofe, si rifugiano nella città, che però è priva di difese e in preda a una grave carenza di beni di prima necessità.
Così, l'11 luglio le forze serbo-bosniache, sotto il comando del generale Ratko Mladić, si impadroniscono di Srebrenica. Il battaglione di pace olandese inviato dalle Nazioni Unite per presidiare la zona non ne impedisce la conquista. Gli eventi che seguono sono di una gravità sconcertante.
A Srebrenica e nei dintorni vengono giustiziati circa 8 000 bosniaci, soprattutto uomini e ragazzi, i loro corpi gettati in fosse comuni. Molti verranno poi riesumati e riseppelliti nel tentativo di nascondere le prove del genocidio. Migliaia di donne, bambini e anziani vengono deportati con la forza. Tra le 20 000 e le 50 000 donne e ragazze subiscono violenze sessuali. La comunità internazionale è lenta a reagire alle atrocità commesse in Bosnia. Ma i fatti di Srebrenica hanno sconvolto il mondo e messo in evidenza i fallimenti della missione di pace delle Nazioni Unite. In risposta, la NATO lancia attacchi aerei contro le postazioni serbo-bosniache. Nel giro di pochi mesi la firma dell'accordo di Dayton pone fine alla guerra.
Per perseguire i crimini di guerra commessi durante i conflitti nei Balcani, le Nazioni Unite istituiscono il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia. Dopo otto anni di indagini, nel 2001 il tribunale stabilisce che il massacro di Srebrenica è stato un genocidio. Alcuni dei suoi protagonisti, tra cui Ratko Mladić e Radovan Karadžić, vengono condannati per il ruolo avuto nelle atrocità. Nel 2009 il Parlamento europeo approva una risoluzione nella quale condanna il genocidio di Srebrenica, ne commemora le vittime ed esprime solidarietà alle loro famiglie, molte delle quali ad oggi non conoscono il destino dei loro cari. Chiede anche che l'11 luglio venga proclamato giorno di commemorazione del genocidio di Srebrenica in tutta l'Unione europea, e sottolinea l'importanza di prendere atto di queste atrocità per poter promuovere la giustizia e la riconciliazione. Nel 2015, in occasione del ventesimo anniversario del massacro di Srebrenica, il Parlamento condanna nuovamente il genocidio in un'altra risoluzione, in cui sottolinea che i rappresentanti politici della Bosnia-Erzegovina devono fare i conti con il passato per poter lavorare insieme a un futuro migliore. Nella stessa risoluzione il Parlamento riconosce l'importanza del lavoro svolto dal Tribunale penale e la necessità di accelerare i processi per crimini di guerra.
Nel luglio 2015, durante la plenaria di Strasburgo, il Commissario per l'Economia e la società digitali, Günther Oettinger, dichiara:
"Dobbiamo anche riconoscere che l'Europa e il mondo, noi compresi, non hanno fatto tutto il possibile per proteggere le vittime. Il genocidio di Srebrenica ha lasciato segni e ferite non solo nei Balcani, ma in tutta Europa. Ha lasciato ferite profonde in Bosnia-Erzegovina e continua a imporci l'obbligo morale di non dimenticare".
Inoltre, il Parlamento ha sollecitato la creazione di programmi didattici e culturali per aiutare a capire le cause di questa tragedia. Ha poi espresso il suo sostegno a organizzazioni della società civile come l'associazione Madri delle enclaves di Srebrenica e Žepa, che hanno svolto un ruolo fondamentale nel sensibilizzare sull'accaduto e nel favorire la riconciliazione. Con queste risoluzioni l'Unione europea ha mostrato il suo impegno a prevenire questo tipo di crimini e a promuovere una pace e una stabilità durature nella regione. Riconoscendo l'enormità della tragedia, nel 2024 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l'11 luglio Giornata internazionale di commemorazione del genocidio di Srebrenica. Con questa ricorrenza si vuole onorare la memoria delle vittime e ribadire l'impegno della comunità internazionale a impedire che simili atrocità possano ripetersi in futuro.
Il genocidio di Srebrenica è indubbiamente uno dei capitoli più bui della storia contemporanea. La commemorazione annuale dell'11 luglio non è solo un tributo alle vittime, ma anche un invito universale a rimanere vigili di fronte alle atrocità del genocidio e della pulizia etnica. È un monito solenne a ricordare che la comunità internazionale deve sostenere i principi dei diritti umani e della giustizia per impedire che la storia si ripeta.
Questa trasmissione vi è presentata dal Parlamento europeo. Potete ascoltare altri podcast su Europarl Radio [ENG].
In questo episodio parleremo di uno degli accordi più importanti della storia dell'integrazione europea, il trattato di Maastricht. Scopriremo com'è nato e come è cambiato nel tempo con i trattati di Amsterdam e di Nizza. Restate con noi per conoscere il contesto storico di questi accordi e le novità che hanno introdotto.
Per capire il trattato di Maastricht serve anzitutto un po' di contesto storico. Il progetto europeo nasce sull'onda delle devastazioni provocate dalla Seconda guerra mondiale. L'obiettivo è di prevenire lo scoppio di un'altra guerra, e gli Stati europei vedono nella cooperazione economica il modo migliore per costruire una pace duratura. Nel 1951 nasce così la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, a cui nel 1957 fanno seguito la Comunità economica europea e la Comunità europea dell'energia atomica, istituite entrambe con il trattato di Roma.
Il passo successivo è l'Atto unico europeo del 1986, che punta a creare un mercato unico entro il 1992. Questo grande mercato avrebbe garantito la libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone all'interno della Comunità economica europea. Ma, alla fine degli anni '80, i paesi membri della Comunità si rendono conto che serve un'integrazione ancora più forte, non solo economica ma anche politica.
Il trattato di Maastricht, ufficialmente "trattato sull'Unione europea", prende il nome dalla città dei Paesi Bassi in cui viene firmato il 7 febbraio 1992 dagli allora 12 Stati membri delle Comunità europee. Dopo essere stato ratificato da tutti, entra in vigore il 1° novembre 1993.
Le novità previste dal trattato sono molte e rivoluzionarie. Anzitutto istituisce ufficialmente l'Unione europea, trasformando la Comunità economica europea in un'unione più coesa e completa. Inoltre, introduce la cittadinanza europea, un concetto nuovo che consente ai cittadini di circolare e soggiornare liberamente entro i confini dell'Unione. La nuova cittadinanza permette anche di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee in qualsiasi paese dell'Unione. In questo modo, rafforza il senso di identità e di unità tra gli europei.
Uno degli aspetti più significativi del trattato di Maastricht riguarda il progetto dell'Unione economica e monetaria, che sfocerà nell'introduzione dell'euro come moneta comune. L'obiettivo è di rafforzare la stabilità economica e facilitare gli scambi e gli spostamenti tra i paesi membri.
L'Unione europea creata dal trattato si fonda su tre pilastri. Il primo riguarda le Comunità europee e include le politiche economiche, sociali e ambientali. Il secondo riguarda la politica estera e di sicurezza comune, che mira a consolidare la presenza esterna e la strategia di sicurezza dell'Unione. Infine, l'ultimo pilastro riguarda la
giustizia e gli affari interni e pone l'accento sulla collaborazione in materia di applicazione della legge, giustizia e immigrazione.
Il trattato estende notevolmente i poteri e le responsabilità del Parlamento europeo. Con la procedura di codecisione, il Parlamento diventa co-legislatore insieme al Consiglio dell'Unione europea. Il trattato aumenta anche l'influenza del Parlamento sulla Commissione europea. Sono infatti i deputati a scegliere se approvare o meno i candidati o le candidate alla presidenza della Commissione e al collegio dei commissari. Infine, il Parlamento avrà anche un maggiore controllo sul bilancio dell'Unione.
Tutte queste novità rendono più trasparente e democratico il processo decisionale dell'Unione europea.
Cinque anni dopo, il trattato di Maastricht viene aggiornato dal trattato di Amsterdam, siglato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999. L'obiettivo è di semplificare il funzionamento delle istituzioni in vista di futuri allargamenti. Il nuovo trattato introduce l'idea della cooperazione rafforzata, che consente a un gruppo di almeno nove paesi di andare verso una maggiore integrazione in alcuni settori anche se gli altri scelgono di non seguirli immediatamente. Si tratta di una flessibilità fondamentale per soddisfare le diverse esigenze e i diversi interessi di un'Unione europea in via di espansione.
Con l'integrazione del cosiddetto "capitolo sociale" nel diritto europeo, il trattato di Amsterdam sottolinea anche l'importanza dei diritti sociali, dell'occupazione e della non discriminazione. Punta poi a creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che si traduce in una maggiore cooperazione in settori come l'asilo, l'immigrazione e la giustizia.
Inoltre, istituisce la carica di "Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune", migliorando la capacità dell'Unione di agire unita sulla scena internazionale. Infine, il trattato di Amsterdam riforma le istituzioni per aumentarne l'efficienza, allarga la procedura di co-decisione e rafforza i poteri del Parlamento europeo.
Il 26 febbraio 2001 viene firmato il trattato di Nizza, che entra in vigore due anni dopo. L'obiettivo principale della riforma è di preparare l'Unione al più grande allargamento di sempre, l'adesione di 10 nuovi paesi nel 2004. Il trattato corregge la ponderazione dei voti al Consiglio, modifica la composizione della Commissione e aumenta il ricorso al voto a maggioranza qualificata. Questi cambiamenti sono necessari per garantire che l'allargamento non comprometta l'efficienza e l'efficacia del processo decisionale europeo.
Il trattato di Maastricht prima, e quelli di Amsterdam e di Nizza poi, hanno segnato tappe cruciali nel processo di integrazione europea. Il trattato di Maastricht ha introdotto grandi riforme a livello politico, economico e sociale, che hanno posto le basi per l'Unione europea che conosciamo oggi. I trattati di Amsterdam e di Nizza hanno modificato l'assetto istituzionale e preparato l'allargamento dell'Unione.
Questi trattati non solo riflettono il dinamismo e la natura in costante evoluzione dell'Unione europea, ma dimostrano la sua capacità di adattarsi a nuove sfide e opportunità. L'Unione continuerà a crescere e a cambiare, ma questi trattati rimarranno alla base della sua struttura e della sua governance.
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Il 1° maggio 2004 ha rappresentato una svolta storica per dieci paesi nel cuore dell'Europa. Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia sono entrati a far parte della famiglia europea. È stato un momento di festa, di unità e di infinite opportunità. Ripercorriamo insieme questo momento storico.
Nel corso della sua storia, l'Unione europea si è più volte ingrandita con l'ingresso di nuovi Stati membri. Dopo l'allargamento del 2004, l'Unione era composta da 25 Stati membri. All'epoca, però, la prospettiva per il futuro era di arrivare a 30.
Perché questo allargamento è così significativo? Innanzitutto, ha segnato la più massiccia espansione dell'Unione europea. In totale, sono diventati Stati membri tre ex repubbliche sovietiche - Estonia, Lettonia e Lituania - quattro ex Stati satelliti dell'Unione sovietica - Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia - un'ex repubblica jugoslava - la Slovenia - e due isole del Mediterraneo - Cipro e Malta. Questi paesi hanno così intrapreso un percorso verso una maggiore cooperazione, prosperità e solidarietà.
Ma l'allargamento è stato molto più di un semplice aumento del numero di paesi dell'Unione; ha segnato un cambiamento nel panorama geopolitico, che avrebbe plasmato il futuro dell'Europa per le generazioni a venire. Ha esteso i confini dell'Unione europea verso Est, riconfermandone il ruolo di forza stabilizzatrice nel continente.
Perché queste nazioni hanno voluto entrare a far parte dell'Unione? Per molte di loro, si trattava di vedere realizzata la promessa di democrazia, libertà e opportunità che l'Unione europea incarnava. L'allargamento ha fatto seguito alla caduta dei regimi comunisti in Europa centrale e orientale, consentendo a questi paesi di passare alla democrazia e all'economia di mercato. Questo storico passaggio da 15 a 25 Stati membri è stato il momento culminante di un lungo processo di adesione che ha portato alla riunificazione di un'Europa che per mezzo secolo era stata divisa dalla Cortina di ferro e dalla guerra fredda.
L'allargamento del 2004 ha avuto implicazioni significative anche per le lingue dell'Unione europea, o meglio, ha rappresentato una sfida inedita. Il numero di lingue ufficiali è passato da 11 a 20. Le nove lingue aggiuntive erano l'estone, l'ungherese, il lettone, il lituano, il maltese, il polacco, il ceco, lo slovacco e lo sloveno. Per rendere il Parlamento europeo accessibile nelle nuove lingue, il servizio di traduzione si è dotato di nove nuove unità. Negli anni precedenti l'allargamento, durante i negoziati di adesione, il personale linguistico esistente ha iniziato a prepararsi all'introduzione delle nuove lingue partecipando a programmi di studio intensivi.
Il vasto panorama linguistico dell'Unione è la testimonianza del suo impegno per l'inclusione e la diversità. Ogni lingua non è solo un mezzo di comunicazione, ma una finestra sulla storia, la cultura e l'identità di un paese. Grazie alla traduzione e all'interpretazione, l'Unione europea garantisce che tutti possano far sentire la propria voce.
Dopo il quinto allargamento, che ha visto l'ingresso di 10 paesi nel 2004 e della Bulgaria e della Romania nel 2007, la Croazia è diventata membro dell'Unione nel 2013. A distanza di due decenni, l'impatto dell'allargamento del 2004 si fa ancora sentire in tutta Europa. Il ruolo dell'Unione europea come terra di speranza, progresso e cooperazione in un mondo in continua evoluzione resta immutato.
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Lo spazio Schengen è attualmente composto da 27 paesi europei (tra cui 23 Stati membri dell'Unione più Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Qui è possibile circolare liberamente da uno Stato all'altro, senza essere soggetti a controlli, indipendentemente dal tipo di frontiera attraversata, che sia terrestre, marittima o aerea. Quindi, si è soggetti a controllo solo quando si attraversa una frontiera esterna, tra uno Stato membro dello spazio Schengen e un paese che non fa parte dell'Unione, ad esempio tra Polonia e Ucraina.
Di recente sono entrati a far parte dello spazio Schengen alcuni nuovi paesi. La Croazia, per esempio, ha aderito il 1° gennaio 2023. Inoltre, alla fine dello stesso anno i paesi dell'Unione hanno deciso all'unanimità di eliminare i controlli alle frontiere aeree e marittime con Bulgaria e Romania a partire dal 31 marzo 2024. Quanto alle frontiere terrestri, la decisione se eliminarle o meno sarà presa in un secondo momento. Sono quindi solo due i paesi che fanno parte dell'Unione europea ma non dello spazio Schengen: Irlanda e Cipro. Al momento è in corso un esame per valutare se Cipro soddisfi tutti i criteri necessari per far parte della zona "senza frontiere". L'Irlanda, invece, non ha l'obbligo giuridico di aderire, ma potrebbe farne richiesta in qualsiasi momento.
Vale comunque la pena ricordare che tutti i cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di circolare liberamente al suo interno, indipendentemente dal fatto che il loro paese aderisca o meno allo spazio Schengen. Quindi, al momento di attraversare una frontiera da uno Stato membro appartenente a Schengen a uno che invece non ne fa parte, il controllo sarà in linea di massima formale e servirà solo per accertare l'identità.
Per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, gli Stati Schengen hanno armonizzato condizioni e procedure per ottenere visti per soggiorni di breve durata, che consentono ai titolari di circolare liberamente nello spazio Schengen fino ad un massimo di tre mesi (per semestre). Eppure, non tutti i cittadini di paesi terzi sono tenuti a richiedere un visto Schengen, ad esempio, sono esenti i cittadini americani o australiani.
Lo spazio Schengen non comporta l'eliminazione di tutti i controlli durante gli spostamenti. A questo proposito, bisogna fare la differenza fra i controlli di frontiera e i controlli di sicurezza. Si pensi ad esempio ai controlli di sicurezza negli aeroporti, che riguardano anche passeggeri che viaggiano all'interno dello spazio Schengen. A un passeggero può essere richiesto un documento d'identità, semplicemente per dimostrare che il nome sul biglietto corrisponda a quello sul documento.
Eccezionalmente, uno Stato Schengen può decidere anche di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere in caso di grave minaccia all'ordine pubblico o alla sicurezza interna. Si pensi ad esempio a quanto accaduto durante la pandemia di COVID-19. Lo spazio Schengen, quindi, non serve solo a facilitare i viaggi, ma anche a mantenere sicura l'intera zona. Il sistema d'informazione Schengen è una banca dati creata appositamente, che consente alla polizia e alle altre autorità pubbliche competenti di inserire e verificare le informazioni riguardanti, ad esempio, persone scomparse o ricercate. Si tratta di una piattaforma per la cooperazione tra le forze dell'ordine di paesi diversi, che contribuisce a mantenere alto il livello di sicurezza, in particolare per quanto riguarda le frontiere esterne dello spazio Schengen.
Lo spazio Schengen nasce nel 1985, quando cinque Stati membri dell'Unione decidono di abolire i controlli alle frontiere interne. L'obiettivo era di promuovere l'integrazione europea dopo la seconda guerra mondiale e favorire la fiducia reciproca eliminando le frontiere. Questo spazio prende il nome dal comune di Schengen in Lussemburgo, luogo in cui gli Stati fondatori hanno sottoscritto l'accordo originale. Il cosiddetto acquis di Schengen, che è un insieme di accordi e di regole, fa parte del diritto dell'Unione da ormai 25 anni circa, ossia da quando è stato integrato nel trattato di Amsterdam.
Oggi, ad oltre 40 anni dalla firma dell'accordo di Schengen, più di 400 milioni di cittadini possono viaggiare liberamente. Schengen favorisce la circolazione delle persone, rafforzando anche l'economia europea e migliorando la nostra qualità di vita. Tutto ciò fa dello spazio Schengen uno dei risultati più significativi del progetto di integrazione europea.
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