Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca?
Mi chiamo Corinna Guerra e sono una storica della scienza specializzata in storia della chimica e dei rischi naturali. Ho infatti studiato l’introduzione della chimica moderna nel Regno di Napoli alla fine del XVIII secolo e ciò mi ha permesso di comprendere il ruolo del Vesuvio come laboratorio naturale per i chimici dell’epoca. Approfondendo la conoscenza delle eruzioni vulcaniche, in secoli in cui questi fenomeni pur essendo oggetto d’indagine scientifica erano ancora ricoperti da un’aura di mistero, sono riuscita a far emergere una relazione di reciproca trasformazione tra lo sviluppo delle discipline scientifiche e la natura geochimica del territorio dove esse vengono coltivate.
L’interesse per la trasformazione del paesaggio dovuta a disastri naturali e trasformazioni chimiche mi ha portata oggi ad insegnare Philosophy and Politics of Life and Environment per gli studenti del CdL Magistrale in Environmental Humanities.
Qual è stato il suo percorso accademico?
Mi sono laureata in Filosofia all’Università di Bari dove ho anche conseguito il Dottorato di ricerca in Storia della Scienza con la supervisione del prof. Longo del Dipartimento di Chimica. Infatti, rincorrendo l’ideale di una formazione realmente interdisciplinare, già nel corso della Laurea Magistrale sostenni l’esame di Chimica Generale ed Inorganica e la corrispondente attività laboratoriale. Sono stata molto fortunata ad incontrare chimici come il prof. Mario Capitelli con una grande sensibilità verso i risvolti umanistici della loro materia, non è molto comune, eppure, è un’esperienza molto formativa da entrambi i lati. Imparai molto giovane come si lavora, si insegna e si studia in un dipartimento scientifico e quindi ho sviluppato una spiccata tendenza a passare da un linguaggio all’altro della ricerca accademica. Ciò mi ha consentito negli anni di collaborare con la Società Chimica Italiana, la Società italiana di Radiologia Medica e di tenere, ad esempio, corsi per École Supérieure de Physique et de Chimie Industrielles de la ville de Paris (ESPCI) e per la Scuola di Dottorato di Scienze Naturali ed Ingegneristiche dell’Università di Verona.
Dopo il dottorato ho lavorato presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli, la Società Napoletana di Storia Patria dove mi sono occupata anche di progettazione, gestione dei partenariati scientifici e valorizzazione di fondi librari. Poi mi sono trasferita a Parigi come ricercatrice al Centre Alexandre Koyré dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales e infine ho collaborato con il dipartimento di Science and Technology Studies dell’University College London.
Nel 2021 ho conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale come Professore Associato, mentre dal 2017 sono abilitata per l’analoga qualifica in Francia, per infine approdare a Ca’ Foscari nel luglio 2021 come ricercatrice a tempo determinato.
Le soddisfazioni professionali più grandi?
Sicuramente la mia prima comunicazione di congresso nazionale nel 2007 a Firenze, ero la più giovane relatrice avendo solo 23 anni, eppure quel lavoro fu pubblicato nei Rendiconti dell’Accademia delle Scienze detta dei XL e resta una delle pubblicazioni di cui vado più fiera e che mi emoziona rileggere.
È stata pure una soddisfazione la co-organizzazione a Parigi nel 2016 della giornata di studi internazionale The Workshop of Nature. Production of Material Knowledge, Material Production of Knowledge. Ero una ricercatrice precaria e straniera, ma fu completamente finanziata dallo stato francese e studiosi di grande rilievo internazionale accettarono l’invito. In un ambiente e un’epoca in cui generalmente si tende a scoraggiare, mi colpì molto questo segnale di fiducia e interesse.
Nel 2017 poi mi è stato conferito il Prize for Young Historians dell’International Academy of the History of Science che ogni due anni premia la migliore opera prima in storia della scienza. Tutti i premi sono ovviamente delle soddisfazioni professionali, ma in questo caso mi fece particolarmente piacere perché sostanzialmente è un riconoscimento per la Società Napoletana di Storia Patria che con la coedizione del volume e le borse di ricerca ha creduto ed investito su di me.
Il 2017 mi ha portato un’altra emozionante soddisfazione, sono stata infatti invitata come relatrice ad un workshop alla Royal Institution of Great Britain. Si trattava di un breve intervento, ma la RI è un luogo magico per noi storici della scienza e soprattutto della chimica: è dove ebbero luogo le celebri Christmas Lectures di Michael Faraday! L’idea di muovermi e parlare nelle stesse stanze in cui Humphry Davy isolava il potassio, il sodio, il calcio ecc., è qualcosa che mi fa battere il cuore ogni volta che ci ripenso.
Qual è l'aspetto che più l'appassiona del suo ambito di ricerca?
Scoprire che dietro le formule scientifiche fatte di stringhe alfanumeriche, si cela qualcosa di “umano troppo umano”. Inoltre, mi sono dedicata molto ai vulcani per l’enorme fascinazione, il rapimento estetico di questo fenomeno naturale che da sempre spaventa ed attrae allo stesso tempo e che solo parzialmente è spiegabile tramite un set di dati scientifici. Infine, l’introspezione, quando si passa tanto tempo in un dialogo solitario con scienziati vissuti secoli fa, si tende a ripiegare su se stessi ed isolarsi dall’epoca in cui ci si trova a vivere. Del resto, Georges Duby diceva che lo storico è uno che si rifugia nel XI secolo né più né meno dell’antropologo che parte per la Papuasia.
Ha sempre pensato che questa fosse la sua strada?
Sì, fin dal primo giorno che sono entrata in un’aula da studentessa universitaria.