Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca.
Insegno Storia dell’arte russa, Arte contemporanea e Curatorship. Occuparsi di arte russa è ancora considerato una eccentricità. Lo “specialista di arte russa” è "troppo specialista" per lo storico dell'arte e invece una sorta di "marginale decorazione" per le ricerche slavistiche. Non che la cosa mi abbia scoraggiato… In ambito russo mi interesso da sempre dello studio comparato fra sistemi artistici e di semiotica della cultura e delle arti figurative, con particolare riferimento all’opera di Jurij Lotman, di cui sono anche traduttrice. Ho studiato a fondo l’epoca che si avvia con l’Avanguardia degli anni Dieci e Venti fino a un più vasto contesto di arte contemporanea. Ho approfondito temi di Realismo Socialista nelle arti, l'underground moscovita degli anni Sessanta e Settanta e mi sono inoltre occupata di alcuni protagonisti della scena artistica contemporanea. In questi anni ho curato numerosi progetti su artisti contemporanei russi, tra cui Dmitrij Prigov, AES+F, Valerij Koshljakov, Aleksandr Ponomarev e Grisha Bruskin (ai quali ho dedicato due recenti monografie) e italiani, tra cui Cristina Finucci e Fabrizio Plessi. Sono stata co-curatrice del Padiglione Nazionale della Federazione russa alla Biennale del 2017. Ho ideato molti eventi legati al cinema russo tra cui il festival "Ruskino" a Venezia. Da alcuni anni mi sto anche occupando di mettere in relazione la matrice iconografica della cultura russa, le icone, con l’arte contemporanea, anche in un programma pluriennale con le Gallerie d’Italia del gruppo Intesa Sanpaolo. I miei più recenti interessi affrontano i temi del corpo ibrido, del mostro e il problema della “cura” nell'arte. Mi occupo inoltre di pratiche artistiche e ambiente, con tematiche legate in senso ampio alla sostenibilità: in questo senso sto lavorando a un progetto internazionale che ho ideato: “Sostenibilart”. Ho da poco curato a Venezia il progetto straordinario di Lena Herzog Last Whispers che tratta della scomparsa delle lingue.
Qual è stato il suo percorso accademico?
La mia storia parte dalla Russia, dalla mia formazione slavistica all’Università di Bergamo e approda allo studio dell’arte. Ho scritto una tesi di laurea “stravagante” sulla pittrice e poetessa Elena Guro, grazie a una figura eccezionale, la mia maestra, Nina Kaučisvili, che non credeva in rigide differenze disciplinari. Ciò mi ha condotto molto giovane e con una buona dose di incoscienza a Mosca, San Pietroburgo, Tartu dove ho potuto comprendere il portato della Visual Culture in Russia, attraverso figure come Sarab’janov, Lotman, Daniel, solo per citare i più noti e quelli che ritengo i miei maestri, e con l’aiuto di giovani studiose, poi divenute care amiche, che mi hanno fatto conoscere gli archivi, le biblioteche e soprattutto le case degli artisti: un mondo che è diventato il mio mondo. Ho conseguito il dottorato presso l'Università degli Studi di Milano, discutendo una tesi sul pittore russo-armeno Georgij Jakulov. Dopo un post dottorato all'università di Genova ho seguito corsi di specializzazione in storia dell'arte e semiotica a Mosca, Tartu e San Pietroburgo e ottenuto di borse di studio alle università di Varsavia e di Harvard. Anche se tutto ciò mi ha portato ai margini della confort zone di ciò che è riconosciuto e approvato dalla cosiddetta comunità scientifica... dieci anni fa, il 6 marzo 2011, grazie a un rettore illuminato, e a Giuseppe Barbieri, allora direttore del Dipartimento di Storia e critica delle arti, uno studioso rigoroso ma «indisciplinato», che ha cambiato per sempre la mia vita accademica, è stato possibile possibile creare il Centro Studi sulle Arti della Russia (CSAR) che è rapidamente diventato il più operoso in questo ambito dell’Europa Occidentale.
Qual è l'aspetto che più l'appassiona del suo ambito di ricerca?
L’imprevedibilità e l’enigmaticità, che rendono sempre possibile un’avventura alternativa. Mi annoio facilmente e la Russia non è certo un paese noioso: c’è una profondità nelle sue esperienze culturali che da sempre mi affascina e mi turba, che non si riesce mai a capire, ad afferrare fino in fondo. Bisogna sempre scavare e avere uno sguardo dall’alto, come diceva Gogol’, “a volo d’uccello”, per percepire la “bellezza” e la “verità” che accompagna la sua vicenda culturale e umana. L’immagine che sintetizza tutto ciò è l’icona russa, un mistero spirituale e artistico. Portare avanti tutto ciò insieme alla mia attività didattica e di ricerca e a quella di curatrice è stata una scelta esistenziale che sarebbe stata impossibile senza la profonda passione che caratterizza il mio rapporto con l’arte russa. Se fossimo in un romanzo direi che la Russia per me è stata un destino, una scelta irrinunciabile: ha cambiato la mia vita e continua a farlo con i miei studenti.
Cosa significa, per lei, insegnare e fare ricerca?
In questi anni ho cercato di far crescere fra gli studenti una figura professionale nuova, interdisciplinare, dotata di una doppia competenza, in grado di scrivere di semiotica dell’arte e di organizzare una mostra scientifica, sapendo leggere la lingua del paese, conoscendone a fondo la cultura e il contesto. Credo di aver contribuito a far crescere una piccola scuola agguerrita che porta avanti con coraggio questi temi non facili ma essenziali in un momento delicato in cui vanno mantenuti e conservati tutti i ponti culturali possibili Insegnare mi ricarica, è come respirare, gli studenti mi ripagano con molta dedizione e grandi soddisfazioni. Il momento dell’insegnamento per me è un momento “creativo”, è collegato anche alla ricerca, come diceva Florenskij precisando la differenza tra lectio e lekcija. Se il primo termine indica una “lettura”, il secondo si avvicina di più a una sorta di conversazione, di dialogo: solamente in questo modo la lezione non si riduce a una sterile esposizione, ma diviene veramente un dialogo, uno scambio, un arricchimento reciproco.
L’ ambito di cui si è sempre voluto/a occupare ma che non ha ancora avuto occasione di esplorare?
Come dicevo al momento mi interessano le pratiche artistiche con tematiche legate in senso ampio alla sostenibilità, anche sociale, così come il tema della “cura” e le sue declinazione nell’arte, teoriche e concrete al tempo stesso. Penso inoltre al rapporto tra arte e trauma a quanto la pandemia abbia inciso sul concetto di “corpo” e sulla sua “rappresentazione”. Sono gli artisti a essere per primi sensori di questo cambiamento, di questa nuova vulnerabilità, ma anche coloro che la sapranno trasmettere… Mi piacerebbe studiare questo, in attesa che la soluzione del conflitto in corso consenta di riprendere i contatti con la realtà artistica russa, anche fuori dai suoi confini nazionali.