La laguna dal cielo
1. Il paesaggio lagunare antico
Gli archeologi si sono posti nel tempo molte domande circa la Laguna antica. Che aspetto aveva la laguna nord in epoca romana? Era uno spazio acqueo? Vi erano più terre emerse rispetto alle barene e alle sottili isole visibili oggi? Di quanto è aumentato il livello medio delle acque? Quanto sono sprofondate le eventuali strutture costruite su terreni di recente formazione, e per questo poco compatte? Possiamo parlare di una laguna “romana”? E, se il responso è si, quali erano i caratteri dei siti antichi?
Il limite antico della linea di costa passava leggermente più indietro rispetto alle spiagge attuali: le antiche dune litoranee andavano da San Nicolò/Sant’Elena, passavano per le Vignole, Sant’Erasmo, Lio Piccolo e Lio Maggiore. All’interno, possiamo immaginare la città antica di Altino collocata alla confluenza di una serie di “alti stratigrafici”, corrispondenti ai dossi fluviali del sistema Sile/Zero/Dese.
Gli scambi marittimi avvenivano grazie alle strutture di scalo offerte da un grande porto funzionale, individuato a sud-est a della città. Ai lati dell’antico porto, nelle zone corrispondenti allo specchio lagunare antistante all’attuale aeroporto di Venezia e, più a est, nell’area prospiciente l’attuale centro di Portegrandi, vi erano terre emerse. Si disegna così una sorta di golfo interno (che potremmo chiamare “il golfo di Altino”) costituito da un ampio canale di marea dove si incontravano acque dolci e acque salate, in uno spazio con caratteri decisamente lagunari. A partire dal porto di Altino tale golfo si apriva a ventaglio verso gli antichi lidi di Sant’Erasmo e Lio piccolo: un canale di marea che metteva in comunicazione le rotte adriatiche con il centro romano e permetteva la circolazione locale di tutte quelle imbarcazioni che dalla città andavano verso le infrastrutture litoranee.
2. Altino, città d'acqua
Di Altino, grazie a numerosi scavi e ricerche, si conoscevano la ricchezza e le qualità della composizione sociale dell’abitato dell’antico centro veneto antico, trasformato in scalo commerciale di grande importanza in epoca romana.
Fondamentali per comprendere l’articolazione della città antica sono stati alcuni recenti studi basati sul telerilevamento, ovvero sull’analisi di immagini riprese dall’alto.
L’avvincente studio dei geomorfologi ha portato a delineare con straordinaria chiarezza la forma urbis altinate.
Ciò che si vede dalle immagini dal cielo, la città appare incredibilmente corrispondente a quanto gli autori antichi, come Vitruvio e Strabone, dicono a proposito di Ravenna, Aquileia e Altino. Ci descrivono un centro abitato con un deciso carattere anfibio, in mezzo alle lagune e alle paludi, circondata in ogni senso da canali, che si potevano percorrere con barche. I ponti garantivano la circolazione interna. Sembrava, leggendo le fonti antiche, di vedere una Venezia prima di Venezia, con il suo preciso aspetto d’acqua. Un luogo salubre, però: i cicli di marea garantivano la costante pulitura dei canali e degli spazi acquei intorno al centro abitato.
Altino era un complesso urbano molto grande, paragonabile a Pompei: i dati dei geografi, combinati alle analisi degli archeologi e degli storici, consentono di stabilire il perimetro esatto delle aree edificate, gli edifici per gli spettacoli, l’anfiteatro, la basilica, il foro, i quartieri residenziali e, soprattutto, il porto.
3. L'antico Costanziaco
Navigando dal mare verso il porto di Altino vi erano sulla destra alcune terre emerse. Sono le barene comprese tra l'isola di Sant'Ariano, La Cura e Santa Cristina e poco lontano le terre emerse intorno a Sette Soleri e la Palude del Vigno. Quest'area a partire dal IX-X secolo d.C. è chiamata nei documenti Costanziaco e gli abitanti "Constancenses".
Per Costanziaco le informazioni d'archivio e i dati archeologici ci permettono di ricostruire una storia insediativa mutevole ma sostanzialmente ininterrotta dal X al XVIII secolo. Più complesso è invece interpretare le evidenze archeologiche di epoca romana. Un nuovo studio dei reperti archeologici, all'interno del "Progetto Costanziaco", ha permesso di rivedere le dinamiche e le forme insediative di quest'area.
Infatti, il riesame dei materiali ceramici rivela un'interessante concentrazione, specie nelle aree a nord di La Cura, di ceramiche comuni (piatti, ciotole e brocche non decorate ed usate nel quotidiano) e di ceramiche fini da mensa/banchetto (vernice rossa di produzione italica, ma anche di importazione) e ceramica a parteti sottili. Questi indicatori sono tipici di una frequentazione a carattere residenziale, prova indiretta del fatto che qui si trovavano strutture/ville a carattere produttivo, o urbano-rustico. Qui viveva chi lavorava ai prodotti della laguna (pesca, estrazione del sale marino, caccia alle anatre selvatiche/uccellagione).
Interessante è il ritrovamento di frammenti di ceramica malcotta, indice di una produzione locale di ceramica acroma (probabilmente brocche) e quindi della presenza di fornaci per la loro produzione. Vi sono evidenze strutturali, come le palificate lignee, intercettate da Ernesto Canal: queste strutture sono oggi interpretate non tanto come "un porto" (con valenza fiscale), ma come punti di approdo per quelle piccole e medie imbarcazioni necessarie negli spostamenti per lo sfruttamento delle risorse della laguna.
4. Museo Nazionale e area archeologica di Altino. Polo Museale del Veneto - MIBAC
Il Museo archeologico nazionale di Altino conserva i reperti archeologici più rappresentativi di Altino, centro veneto e romano di grande importanza, attivo tra VIII a.C. e V d.C. sul margine settentrionale della laguna che sarà di Venezia. La collezione è esposta in un edificio rurale ottocentesco riqualificato, che fa parte di un complesso architettonico composto di parti storiche e parti di nuova costruzione, inaugurato nel 2015. Nella prima sezione, al piano terra dell’ex risiera, si trova una selezione di reperti che attestano l’occupazione preistorica del margine lagunare nell’ambito del quale sarebbe sorta Altino (X – II millennio a.C.) e, nella seconda sezione, le testimonianze dello sviluppo del centro attraverso l’età del ferro (I millennio a.C.) secondo una scansione tematica: la religione, l’abitato, la lingua e la scrittura, le necropoli, fino alle imponenti tombe di cavalli con, accanto, l’esposizione delle relative bardature, pezzi assai di pregio in quanto piuttosto rari.
Il primo piano è dedicato alle trasformazioni del centro di Altino attraverso i secoli della romanizzazione (II – I sec. a.C.) e successivamente la piena romanità (I – III sec. d.C.), seguendo ancora una volta un criterio tematico: l’assetto territoriale e le strade, le ville e le domus, la moda e i gioielli, i personaggi, la società, le professioni, i commerci. Qui si incontrano alcuni tra gli oggetti più significativi dell’Altino romana: la collana d’oro di fabbrica tarantina, databile tra fine II e I sec. a.C., i vetri murrini, i ritratti marmorei che decoravano i monumenti funerari dei più ricchi, ma anche i giocattoli per i bambini e le suole di cuoio delle scarpe degli antichi altinati.
Il secondo piano, non ancora allestito, ospiterà una sezione sulle necropoli romane altinati e una sulla storia tardoantica della città. L'area archeologica di Altino è la riserva archeologica della città sepolta, nota parzialmente attraverso scavi e ricerche susseguitisi dal XIX secolo in poi. A testimonianza della città antica, sono visitabili due aree archeologiche, poste a circa 500 m di distanza dal Museo archeologico nazionale di Altino e nelle adiacenze di AltinoLab, la sede del museo dal 1960 al 2015.
Una delle due aree conserva i resti della monumentale porta-approdo, che dal I sec. a.C. segnala l’ingresso settentrionale in città, e di un cardine urbano che collegava la porta con il centro abitato. Nell'altra area è visibile una piccola porzione del quartiere residenziale, che costituì un’espansione urbanistica agli inizi del I sec. d.C. Colpisce soprattutto per lo straordinario stato di conservazione un tratto di strada urbana (un decumano), pavimentata con basoli lapidei e delimitata dalle crepidini; su questa si affaccia la “domus della pantera”, così chiamata per il mosaico bianco e nero dell'atrio, che raffigura il feroce felino nell’atto di abbeverarsi.