Economie - Le economie della laguna antica: sale, pesce e trasporti
1. Lo sfruttamento del sale marino nell'antichità
Nel nostro clima il sale non si "trova", non si forma spontaneamente: bisogna "inventarlo", facendo nascere i cristalli di sale dall’acqua in luoghi a questo adibiti: le saline. I Romani fecero della produzione del sale una vera e propria industria di cui detenevano il monopolio, strettamente legata, non tanto all’uso sulla tavola e nelle pietanze, quanto invece alla conservazione degli alimenti specialmente dei derivati del pescato (pesce sotto sale e salse di pesce). Nel I secolo dopo Cristo il sale era ormai parte della cultura romana: Plinio infatti afferma che non era possibile concepire una vita civilizzata senza di esso. Come ricordano le fonti antiche, in età romana ampie zone delle coste italiane erano occupate da impianti per la produzione del sale; fra i più noti vi erano quelli situati vicino a Roma in prossimità delle foce del Tevere: si tratta delle saline di Ostia e di quelle, vicino a Fiumicino note nell’antichità con il nome di Campus Salinarum Romanarum. Qui gli scavi archeologici hanno riportato in luce le canalizzazioni, le vasche di evaporazione e le infrastrutture produttive che costituivano il cuore di queste saline romane.
Per la laguna di Venezia le prime testimoniane connesse alla presenza di saline risale al primo terzo del VI secolo, quando Cassiodoro ci dice:
“… gli abitanti hanno una risorsa, la grande abbondanza di pesce […]. Il loro sforzo è volto a sfruttare le saline: al posto degli aratri e delle falci voi volgete i cilindri (evidentemente strumenti usati nelle saline); da lì proviene a voi ogni guadagno, sia che le sfruttiate in proprio sia che le possediate soltanto. In certa maniera lì si batte una moneta alimentare. Ogni onda è favorevole alla vostra attività. Qualcuno può anche cercare l’oro ma non c’è nessuno che non desideri trovare il sale…. “.
Cinque secoli più tardi alcuni documenti ci testimoniano che la situazione economica non era cambiata: proprio l’area lagunare gravitante sul litorale altinate oggi nota come Lio Maggiore risulta abitata da comunità dedite alla raccolta del sale, alla pesca e alla caccia (uccellagione). Fra XI e XII secolo l’economia del sale nella laguna era in piena espansione, sebbene in un nuovo contesto socio-economico per il quale lo sfruttamento delle saline era passato alle autorità ecclesiastiche: vescovadi, chiese parrocchiali e soprattutto monasteri.
2. Pesca e allevamento ittico
La ricerca recente ha dimostrato come lo sfruttamento delle risorse del mare avesse un ruolo centrale nell’economia romana. I prodotti del mare potevano essere destinati all’autoconsumo, oppure potevano genere un surplus di pescato che veniva lavorato e commercializzato. A questo indotto economico erano collegate varie attività come la pesca, l’allevamento del pesce vivo, la lavorazione del pescato per la produzione di pesce sotto sale (salsamenta) e di salse a base di pesce (come garum, liquamen etc.), molto apprezzate sulla tavola dei romani.
Varie fonti letterarie romane e tardo romane ci descrivono l’areale Alto Adriatico come molto pescoso e ricco di pesci di acqua dolce e salta, nonché di molluschi. A queste informazioni si aggiungono i dati archeologici: dall’area lagunare circostante il litorale altinate provengono numerosi reperti connessi alla pesca (specie ami e pesi da rete in terracotta), o alla fabbricazione di reti da pesca (aghi da rete), oltre a vari resti di malacofauna antica (molluschi e conchiglie). Plinio ci riferisce che proprio da Altino proveniva una delle migliori varietà di pectines (mitili identificabili probabilmente con cozze):
“…. I pectines… quelli più grandi, e fra questi i più neri d’estate, sono i più pregiati: si trovano a Mitilene, Tindari, Salone, Altino, nell’isola di Chio, ad Alessandria d’Egitto…”
Varie erano le tecniche di pesca praticabili nei fondali lagunari in antico: a seconda della specie pescata si impiegavano tecniche e reti adeguate. L’iconografia romana ci ha tramandato bellissime immagini con scene di pesca che raffigurano reti di vario tipo: da tratta e da strascico/traino, da posta, da lancio e caduta come il rezzaglio, pesca con trappole (come le nasse) o con la lenza.
Sempre dalle fonti letterarie sappiamo che era diffuso anche l’allevamento del pesce in apposite vasche dette piscinae o vivaria, spesso associate alle ville marittime. L’allevamento ittico poteva però essere praticato anche a vasta scala, utilizzando apposite strutture che delimitavano e controllavano uno spazio acqueo naturale per l’allevamento del pesce, come nel caso del litorale campano ed alto Adriatico, dove l’allevamento del pesce è tutt’ora una risorsa economica (cfr. valli da pesca). Proprio da Altino, in località Le Brustolade, proviene un’interessante testimonianza archeologica: qui infatti è stato indagato un canale utilizzato come ostriarium, ovvero per l’allevamento delle ostriche, considerate dai romani un cibo assai prelibato e raffinato.
3. Strutture arginali con anfore
L’anfora è il materiale più attestato nei contesti lagunari.
Perché? Altino e poi le nuove realtà altomedievali hanno rivestito un ruolo di importanti centri commerciali dell’ Alto Adriatico, capaci di attrarre numerose merci per sé ed irradiarle a loro volta verso i porti vicini. Ma una volta svuotata del suo contenuto, ed eventualmente riutilizzata per accogliere ulteriori liquidi o altri materiali, come si smaltiva un oggetto come l’anfora, grande, pesante ed ingombrante? La grande quantità giunta a Roma in antico ha comportato la necessità di doverle frantumare ed accuratamente accatastare in precise zone della città: così si è formato il monte Testaccio. Per forma e solidità ceramica, le anfore trovavano largo reimpiego nel campo dell’edilizia: ad Altino sono utili per drenare i terreni acquitrinosi, disposte in profondità, capovolte e distese lungo i sepolcreti della via Annia. In laguna diventano parte integrante delle numerose infrastrutture necessarie a regolarizzare i corsi acquei e delimitare gli impianti produttivi.
Gli interventi subacquei hanno più volte rilevato queste strutture costituite da una gabbia lignea riempita di anfore e scarti edilizi di ogni tipo, atte a delimitare e contenere saline e peschiere. I materiali presenti all’interno vanno dal I sec. a.C. al VI sec. d. C. : ma quindi, costruzioni romane con continui restauri che si prolungano per oltre cinque secoli o opere tardoantiche con riuso di materiali molto più antichi? Il ceramologo ha il compito di osservare attentamente tutti gli aspetti che i materiali forniscono: le anfore più antiche sono conservate quasi integralmente, mentre quelle recenti si presentano più frammentarie. E’ impensabile quindi che anfore di grande formato fosse sfruttate ancora intatte dopo circa cinquecento anni. Questi contenitori potevano essere stoccati in grandi magazzini o in aree scoperte e da qui utilizzati a fini edilizi non più di alcune decine di anni dopo.
Perciò, queste strutture sarebbero state costruite nel medio impero con continue azioni manutentive almeno sino al VI sec. d. C. E’ quindi evidente la necessità di mantenere attive ed efficienti le strutture produttive a cui la laguna tanto si affidava per trarne benefici economici almeno fino alla fine del mondo antico.