Il Veneto post-Covid torna quasi ai livelli di normalità: 36mila le imprese attive, con un incremento delle assunzioni di lavoratori full-time +11% e una buona incidenza di professioni qualificate. Sono alcuni dei dati presentati nel convegno organizzato da Manageritalia Veneto e CISET a Venezia nei giorni scorsi dal titolo “Turismo: l’evoluzione delle imprese e la sfida del capitale umano”. Si tratta del secondo appuntamento del progetto quadriennale “Turismo: Giovani – Imprese - Lavoro. Il Veneto verso Milano – Cortina 2026”, realizzato in stretta collaborazione con Confcommercio Veneto, Federalberghi Veneto e Confindustria Veneto e tutti gli stakeholder pubblici e privati, nato per stimolare istituzioni, scuola e operatori a riflettere sul futuro del turismo in Veneto e sul valore del capitale umano nel settore.
L’incontro ha messo a confronto manager, imprese turistiche e dell’accoglienza, istituzioni territoriali, mondo accademico e del lavoro tra cui: Lucio Fochesato, presidente Manageritalia Veneto, Michele Tamma, presidente del CISET, Tiziana Lippiello, rettrice Università Ca’ Foscari, Simone Venturini, assessore al Turismo e Sviluppo economico Comune di Venezia - Vanni Chiozzi, area manager nordest Fondazione Milano Cortina 2026 - Elena Donazzan, assessore istruzione, formazione e lavoro Regione Veneto, Federico Caner, Assessore Turismo Regione Veneto e molti altri.
Si è partiti dai dati, considerando il bacino dei servizi turistici individuati da Veneto lavoro, che vedono nel 2022 la presenza di 36mila imprese attive per 51mila localizzazioni e 211mila addetti in Veneto (il 9,5% del totale nazionale). Un quadro simile a quello dell’Emilia Romagna, regione storicamente a vocazione turistica. Il numero di occupati in Veneto è in realtà di poco inferiore al 2019 (-2%). Dunque, quasi un ritorno alla normalità.
Riguardo i servizi, si nota una stagnazione del valore della produttività. Dall’analisi delle retribuzioni, emerge un aumento di quelle relative al settore artistico e dell’intrattenimento, a fronte di retribuzioni più contenute nei settori alberghiero e della ristorazione. Aumentano anche le assunzioni di lavoratori dipendenti: +5,6% rispetto al 2019, con un incremento rilevante dei servizi alla persona (+28%). Inoltre, nel primo semestre 2023 si registra uno scatto rispetto al 2022: +8%, ovvero 7mila assunzioni in più.
Il turismo, relativamente alle assunzioni, cresce più degli altri settori, con una concentrazione maggiore del lavoro a tempo determinato +8% e part-time, anche se nel 2022 si è notato un incremento del full-time (+11%). Le donne sono il 49,5%, che però nel 2022 vengono superate dagli uomini (50,5%). L’indagine rileva, inoltre, una significativa incidenza di professioni qualificate dei servizi (2 assunzioni su 3), con una crescita del 43% delle professioni intellettuali. La fascia di età dove più si concentra il lavoro è quella tra i 15 e i 29 anni (+9% rispetto al 2019). Prosegue invece la flessione dei laureati e aumentano le assunzioni di personale con bassi titoli di studio. Aumentano le assunzioni di stranieri: nel primo semestre 2023 +16,2% rispetto agli italiani.
Significativo il quadro dei profili professionali più richiesti nei primi 7 mesi del 2023, nell’ambito di sette specifici comprensori turistici. In assoluto il profilo più richiesto è quello di cameriere di ristorante, seguito dai cuochi e dai baristi. Nei comprensori delle Dolomiti, delle città d’arte, della costa, del lago di Garda, delle Colline del Prosecco e dell’Altopiano di Asiago l’indagine rileva anche la richiesta significativa di personale non qualificato nei servizi di ristorazione. Altro profilo richiesto è quello dei camerieri di albergo. Fanno eccezione i comprensori del lago di Garda e delle terme Euganee che richiedono anche personale non qualificato addetto alla pulizia delle camere e le Colline del prosecco dove sono richiesti soprattutto addetti al banco nei servizi di ristorazione.
“Negli ultimi anni – spiega Lucio Fochesato, presidente Manageritalia Veneto, che ha aperto l’evento di oggi – ci troviamo a dover fare i conti con una disaffezione dei giovani verso il lavoro nel turismo, settore visto come impegnativo e faticoso, poco flessibile (turni, lavoro nei giorni festivi, molte ore di lavoro e pochi giorni di riposo) a fronte di contratti stagionali, o comunque a termine, e quindi lavoro precario e instabile e magari non sempre ben retribuito. Le generazioni Y e Z collocano al primo posto non più retribuzione e carriera ma necessità di una conciliazione tra vita lavorativa e vita privata, che il lavoro nel turismo non riuscirebbe a garantire. Questa perdita di fiducia – prosegue Fochesato - può essere recuperata, lavorando molto sulla formazione non soltanto tecnica ma anche sull’offerta, da parte delle imprese, di interessanti percorsi di crescita professionale ed economica affiancati da benefit come: l’alloggio, premi produzione, assicurazioni sanitarie e una migliore gestore dei turni di lavoro utili a migliore work life balance con cui attrarre nuovi lavoratori soprattutto i più giovani. Tutto questo può succedere solo se le imprese del settore crescono in capacità di innovare, collaborare e quindi di gestione manageriale per sviluppare modelli di business e organizzativi che soddisfino clienti, lavoratori e le rendano più competitive”.
“Giungono al nodo tendenze che si segnalano da tempo, cambiamenti che divengono strutturali e chiedono risposte non solo contingenti - osserva Michele Tamma, presidente del CISET-. Si deve imboccare una strada che non ha più alternative: alzare il “livello”. È necessario nel turismo un “cambio di passo” che punti non certo solo ai “numeri” ma alla qualità dell'esperienza, sia per chi viaggia e visita le nostre destinazioni, sia per chi vi lavora, sia per la capacità delle imprese di far maggiore valore aggiunto indispensabile per investire, competere, essere sostenibili nel medio lungo andare. Bisogna investire e in special modo in risorse umane rendendo il settore attrattivo per i talenti migliori, soprattutto giovani, nel quale trovare una scelta di sviluppo professionale e di vita, non qualcosa di temporaneo e marginale come accaduto negli ultimi anni in un immaginario collettivo poco informato. La sfida – conclude Tamma - è innescare un circolo virtuoso tra qualità delle risorse, qualità dei prodotti e margini: gli uni senza gli altri non si sostengono”.
Nel dettaglio delle aziende ricettive, prevalgono i lavoratori stagionali, seguiti dagli indeterminati. Fa eccezione la provincia di Padova: oltre la metà dei dipendenti (55%) sono a tempo indeterminato, considerato che le sue principali destinazioni sono a carattere annuale. In tutte le province, tra 2015 e 2019 i lavoratori erano aumentati con tassi tra il +20% e +30%. Nel post-Covid il numero è ancora inferiore a quello del 2019. Belluno e Verona hanno quasi recuperato; ancora sotto Venezia e Padova.
Nei pubblici servizi, in tutte le province, il numero dei dipendenti è aumentato nel pre-Covid. Tra 2015 e 2019 i lavoratori sono aumentati con tassi tra il +40% e +55%, mentre nel post-Covid, rimane nel 2022 ancora inferiore a quello del 2019. Si registra infatti ancora un calo sia per i lavoratori indeterminati sia per i determinati, mentre hanno recuperato i soli stagionali, il cui numero è aumentato. Qui, il rapporto determinato/indeterminato è totalmente rovesciato con una percentuale anche superiore alla metà di contratti a tempo indeterminato. Nelle province di Venezia, Belluno e Verona, che risentono della presenza di destinazioni prettamente stagionali, la quota di lavoratori stagionali è maggioritaria. Anche nei pubblici esercizi, tra 2015 e 2019 erano notevolmente aumentati i dipendenti a tempo determinato (in tutti i casi con tassi di variazione di oltre il +100%) mentre quelli a tempo indeterminato e stagionale sono cresciuti con tassi molto più contenuti.
In tutti i settori, preoccupa la graduale riduzione della quota dei dipendenti giovani (30-40 anni) e giovanissimi (under 20 e 20-30 anni) compensata però dall’aumento di quella dei lavoratori senior, in particolare 50-60enni. Va anche segnalato che gli under 20, sono in crescita rispetto al 2019. Ad esempio, nella provincia di Venezia i lavoratori fino a 20 anni rappresentano quasi l’8% del totale (nel 2015 raggiungevano il 15%), invece i lavoratori tra i 50 e 60 anni ammontano a quasi il 18% (contro il 9% del 2015). Se la classe tra 20 e 30 anni rimane in questo periodo stabile (il 27% del totale occupati), diminuisce chi ha tra i 30 ed i 40 anni (passa da quasi il 27% a quasi il 22%). Classi d’età diverse corrispondono indubbiamente a situazioni familiari, personali e professionali differenti su cui è necessario riflettere per pensare a future politiche e azioni manageriali efficaci per l’attrattività del lavoro nel turismo.
L’indagine oltre a sottolineare la carenza di personale qualificato dovuta a un minor interesse dei lavoratori più giovani nel turismo e alla fuoriuscita di risorse con competenze e esperienza, ha fornito anche indicazioni utili per operatori, imprese e istituzioni volte a motivare e fidelizzare i collaboratori nonché a migliorare la percezione del lavoro nel turismo come: valorizzare e incrementare portali on line a livello di singola destinazione che favoriscano l'incontro domanda-offerta di lavoro (es Lavora a Jesolo). Implementare la formazione grazie a progetti di collaborazione con gli istituti scolastici (Tecnici per il Turismo, Professionali alberghieri ecc.). Favorire la riconversione di strutture, ormai chiuse, in foresterie o la messa a disposizione delle stanze più datate e non più vendibili ai lavoratori Maggiore managerialità nella gestione del settore o e delle stesse strutture attraverso una più ampia destagionalizzazione e un innalzamento della qualità dei servizi offerti, stagioni più lunghe inevitabilmente si traducono in contratti più stabili e meglio remunerati. Infine, una migliore organizzazione del lavoro, turni e una maggiore attenzione ai bisogni e al benessere del dipendente attraverso benefit e premialità, azioni di sostegno al welfare.