Alla scoperta della cultura Persiana per comprendere il presente

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La tomba del poeta Hafez a Shiraz, Iran. Parastoo.Atrsaei, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

L’Iran è indubbiamente uno dei luoghi del mondo in assoluto più ricchi di storia, cultura e bellezza. Grazie alla sua posizione dominante, geo-politica e culturale, nel corso dei secoli l’antica Persia ha influenzato innumerevoli culture, popoli e lingue, dall’Italia alla Macedonia, passando per la Russia e l’Asia meridionale. La letteratura persiana ha inoltre ispirato personaggi di spicco del panorama letterario occidentale come Goethe e Ralph Waldo Emerson, entrambi appassionati di poemi classici iraniani e del poeta medievale Hafez, il “Petrarca d’Oriente”.

Abbiamo intervistato il prof. Stefano Pellò, docente del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea, per scoprire di più su questa cultura così eclettica e importante per comprendere e decodificare storia e presente di tutta l’Eurasia.

Come si classifica la lingua persiana? Ci sono influenze/similitudini tra questa lingua mediorientale e le lingue europee?

La lingua persiana, che in ambito filologico si definisce con maggior precisione “neopersiano”, è una lingua indoeuropea attestata a partire dall’VIII secolo, erede, per così dire, della lingua degli Achemenidi (antico persiano) e dei Sasanidi (mediopersiano). Nello specifico, il persiano è il più noto rappresentante del grande gruppo delle lingue iraniche, che oggi annovera tra le molte altre il curdo, il pashto, il balochi ecc.
Si può dire, con una certa approssimazione, che il persiano occupi oggi la regione centrale e più vasta di un’area linguistica iranica che abbraccia, oltre naturalmente all’odierno Iran, anche l’Afghanistan, il Tajikistan e parti talora anche considerevoli dell’Iraq, della Turchia, della Siria, del Caucaso, del Pakistan, delle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale, per includere addirittura alcune zone della Cina occidentale e della penisola arabica sud-orientale. In quanto appartenenti alla compagine indoeuropea, il persiano e tutte le lingue iraniche sono direttamente imparentate alle lingue europee della stessa famiglia, siano esse lingue slave, germaniche, neolatine oppure il greco e l’albanese.
 Gli esempi lessicali più comunemente citati per far risaltare la contiguità linguistica provengono dal campo semantico delle relazioni di parentela: il persiano barādar richiama visibilmente, tra le altre parole, il latino frater e l’inglese brother, così come possiamo facilmente indovinare l’italiano madre dietro mādar e il nederlandese dochter dietro dokhtar, “figlia”.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito, ma credo sia più interessante sottolineare come le relazioni e le interazioni tra l’universo semiotico del persiano (ivi incluso l’antico persiano e il mediopersiano) e quello delle lingue europee perdurino intense e ininterrotte da almeno venticinque secoli, come sanno bene classicisti, filologi, storici delle religioni, studiosi di letteratura e di filosofia politica. A questo va naturalmente aggiunto che, a partire dalla conquista islamica dell’Iran, la lingua e la letteratura persiana sono state marcate da una relazione culturale fondamentale con l’arabo, e successivamente anche con il turco, ciò che le rende un vero acceleratore culturale di particelle, al centro di una vasta koinè transregionale.

Perchè al giorno d’oggi è importante lo studio della cultura e della letteratura persiana?

Prenderei le mosse da alcune osservazioni fatte nella risposta alla domanda precedente: non è possibile pensare l’Europa, a partire dalle sue irrinunciabili fondamenta testuali greche e latine, senza chiamare in causa il confronto e lo scambio con la Persia o con una delle idee di Persia che hanno segnato il costituirsi di svariate soggettività che oggi chiamiamo “occidentali”, dall’immaginario su Serse a quello su Khomeyni, passando naturalmente per le lettere persiane di Montesquieu e le nere fantasie novecentesche sugli “ariani”.
Questo, naturalmente, sia detto mettendo bene in chiaro come lo studio della lingua e letteratura persiana ci impongano una necessaria analisi critica delle inclusioni/esclusioni che operiamo nell’immaginare l’Europa stessa: un’iranistica seria, infatti, non può che restituire un’immagine molto diversa dell’estensione e della inestricabile complessità della cultura che chiamiamo “europea”, a partire dai molti equivoci oggi dominanti in materia di “democrazia”, “identità”, “alterità”, “radici” e, ovviamente, “Islam”. In altre parole, studiare la lingua e la letteratura persiana significa non soltanto ottenere le chiavi di accesso all’Iran, uno dei luoghi del mondo in assoluto più ricchi di storia, cultura e bellezza, ma mettere in discussione molti degli assunti fuorvianti che ancora oggi, più che mai, deformano il nostro sguardo.

È da sé evidente, inoltre, come solo uno studio approfondito delle articolazioni culturali persiane in prospettiva storica possa rendere comprensibile quella che chiamiamo contemporaneità, sia per quanto riguarda il mondo islamico sia, più in generale, l’Eurasia e la sua fitta rete di interconnessioni.
Il persiano è stato per molti versi la lingua letteraria più prestigiosa - e dunque un poderoso medium di trasmissione culturale - di tutta l’area che va dai territori europei dell’impero ottomano al golfo del Bengala, almeno fino all’età coloniale. Studiare la lingua e la cultura persiana oggi significa, dunque, innanzitutto accedere a un punto d’osservazione privilegiato per decodificare le complessità del presente eurasiatico globale e ricostruirne le traiettorie intellettuali, quali che siano gli interessi specifici dei singoli (il focus di un iranista potrà essere posto sull’Iran e Afghanistan, ma anche, per esempio, sul subcontinente indiano, sulle vie della seta, sulle diaspore transcontinentali o sui linguaggi politici della contemporaneità).

Ha tradotto e curato un volume dedicato alle poesie di uno degli autori iraniani più famosi, Hafez, un poeta medievale che ha riscosso successo anche in Italia, ma che forse molti ancora non conoscono. Ci può parlare di questa figura così importante per la cultura persiana?

Ho pubblicato la traduzione commentata del canzoniere di Hafez insieme a uno dei maggiori iranisti italiani e internazionali, il compianto professor Gianroberto Scarcia, nel 2005, dopo più di sei anni di lavoro quasi quotidiano. Molto di ciò che oggi so e insegno lo devo proprio a quell’esperienza ormai lontana, dalla quale ho imparato, tra le altre cose, a conoscere l’inesauribile ricchezza e attualità di quello che è a tutti gli effetti un classico della letteratura non solo persiana ma mondiale.
Hafez, vissuto a Shiraz, nel cuore della Persia storica, negli stessi anni del nostro Petrarca, è probabilmente l’autore che più di ogni altro riesce a condensare nei suoi ghazal, componimenti poetici brevi paragonabili al sonetto della tradizione europea, tutte le principali dimensioni estetiche e concettuali della poesia lirica persiana. Nel suo rapporto strutturale con una tradizione già vecchia di almeno sette secoli (se includiamo l’esperienza fondativa della più antica letteratura araba), con radici che arrivano a toccare l’ellenismo e il tardo-antico, la poesia di Hafez, fatta di vino, amore e natura, è nondimeno caratterizzata da un linguaggio che definirei sorgivo.

Pensando a Gaston Bachelard, si può dire che nell’opera di Hafez (che consiste, all’incirca, di soli cinquencento componimenti) si articoli un’incessante fenomenologia dell’immaginazione, che non contrasta minimamente con la sua adesione al canone e con una visione del mondo filtrata attraverso la lente del sufismo (dimensione mistica dell'Islam, NdR), ma senza vincoli dottrinali e parrocchiali.
Questo è dovuto, tra le altre cose, alla particolare capacità di Hafez di far risaltare nei suoi versi le proprietà allusive, ambigue, prismatiche del linguaggio. Non a caso, la tradizione esegetica relativa al suo divan (la raccolta dei suoi versi), già importante nel Cinquecento, è continuata ininterrotta nei secoli: non solo in Iran, ma in tutta la persosfera, dai Balcani all’India; persino il West-Östlicher Divan di Goethe, osservato dal punto di vista persiano, è, per molti versi, un commentario occidentale della poetica hafeziana. D’altra parte, Hafez è ancora oggi il poeta persiano più amato in Iran: la sua tomba, visitata già nel Seicento dal viaggiatore romano Pietro della Valle, è da sempre un importante luogo di pellegrinaggio.

Uno dei risvolti positivi di questo periodo di semi-isolamento è sicuramente il tempo che si può dedicare alla lettura. Quali altri autori consiglierebbe ad un pubblico che vuole avvicinarsi alla cultura iraniana?

È molto difficile consigliare quale onda scegliere in un oceano così vasto: mi limiterò dunque a qualche indicazione quasi casuale in ambito letterario, tralasciando quindi la variegata bibliografia storiografica, filosofica e storico-religiosa. Oltre al sopra menzionato Hafez, che si può leggere nella nostra traduzione (“Canzoniere”, Ariele, 2005; “Ottanta canzoni”, Einaudi, 2008) ma anche nella valida traduzione del collega bolognese Carlo Saccone, posso senz’altro suggerire tutte le traduzioni del grande Alessandro Bausani (per esempio “Il libro della fortuna di Alessandro” e “Le sette principesse”, entrambi del poeta medievale Nezami, del quale la collega veneziana Daniela Meneghini ha recentemente tradotto un altro classico, “Khosrow e Shirin”).
Lo stesso Bausani ha reso in italiano un altro classico, Rumi (“Poesie mistiche”), oggi affiancato da una nostra piccola antologia (“Settecento sipari del cuore”).

Per chi volesse leggere un po’ di prosa classica posso senz’altro suggerire, per esempio, “Il roseto” di Sa’di, “Le gemme della memoria” di Mohammad Sadid al-Din ‘Awfi e “Il libro dei consigli” di Key Ka’us ebn Eskandar, tutti composti tra il 1000 e il 1300, dove si rispecchia la raffinata ed elegante ricchezza della cultura persiana medievale. Per quanto riguarda il celeberrimo “Libro dei re” di Ferdowsi, la grande epica iranica, si può reperire in italiano l’ottocentesca versione in endecasillabi sciolti di Italo Pizzi. Splendide sono, poi, le opere mistiche di ‘Attar di Nishapur, per esempio “Il verbo degli uccelli” e “Il poema celeste”; autori importantissimi della letteratura persiana d’India sono, per l’età medievale, Amir Khusrau di Delhi, alcune delle cui opere si possono leggere in italiano nella traduzione di Angelo Michele Piemontese (per esempio, “Gli otto paradisi”) e, per l’epoca mughal, Mirza Bidel, di cui Riccardo Zipoli ha recentemente tradotto “Il Sinai della conoscenza”.

Per quanto riguarda, infine, la letteratura contemporanea, mi limito a rimandare al meritevole progetto editoriale dell’editore Ponte33 e al suo catalogo di romanzi persiani, e a una bellissima raccolta di racconti novecenteschi intitolata “I minareti e il cielo”, curata da Filippo Bertotti nell’ormai lontano 1989, grazie alla quale mi affacciai per la prima volta alla letteratura persiana.

Francesca Favaro