Perché i giovani thailandesi protestano contro esercito e monarchia?

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Protesta nel Campus di Thammasat Rangsit. Milktea2020, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

Riforma costituzionale, limitazione dei poteri della monarchia e dimissioni del Premier golpista Prayut Chan-ocha: queste sono le richieste avanzate dai giovani manifestanti thailandesi, che dallo scorso febbraio riempiono piazze e strade in tutto il paese con i loro cortei di protesta pacifici, adottando modelli simili a quelli già sperimentati a Hong Kong.

Abbiamo intervistato il prof. Edoardo Siani, ricercatore del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea per capire perché questo paese del sud-est asiatico conosciuto come la Terra del Sorriso stia invece attraversando un fase così tumultuosa a livello politico.

Come sono nate le proteste che stanno interessando la Thailandia in questo 2020?

Le attuali proteste sono iniziate a febbraio a seguito del forzato scioglimento di Future Forward, un partito politico critico nei confronti dei militari e con un forte ascendente sui giovani. Le prime manifestazioni contro il governo hanno avuto luogo in alcune università di Bangkok, estendendosi poi ad altri atenei e scuole. Interrottesi in aprile a causa della pandemia da Covid-19, sono riprese in piena forza alla fine di luglio.

Giovando dell’impatto irrisorio che l’emergenza sanitaria ha avuto nel paese, si sono quindi allargate a macchia d’olio. Si stima che decine di migliaia di persone siano scese in piazza in città sparse per tutto il territorio nazionale. Nel contesto delle proteste, i manifestanti hanno mosso delle forti critiche alla monarchia, infrangendo tabù culturali e sfidando la maestà lesa, un crimine punibile con la reclusione. Irremovibili nelle loro richieste, pretendono le dimissioni del primo ministro Prayuth Chan-ocha, una nuova costituzione democratica, e una riforma della monarchia finalizzata a limitare i poteri di quest’ultima come previsto dal sistema costituzionale.

Facciamo un passo indietro, come si è arrivati ad una situazione politica così tesa in Thailandia?

Per spiegare la situazione politica attuale, alcuni tailandesi invocano un’antica profezia. Il fondatore della presente dinastia inaugurò il regno il 21 aprile del 1782 alle 6.54 del mattino. Si trattava di un momento di buon auspicio, selezionato dagli astrologi di corte perché garanzia di una monarchia e un esercito straordinariamente potenti.

Nel 1932, il People’s Party, un gruppo di ribelli, rovesciò la monarchia assoluta promulgando la prima costituzione. Istruiti all’estero e ispirati agli ideali della Rivoluzione francese, i ribelli facevano parte di una classe di funzionari statali che faticava a emergere in un sistema in cui il potere rimaneva accentrato attorno alle élite. Annunciarono la nuova era costituzionale come l’avvento di un’età dell’oro.

Chi manifesta oggi sostiene che quell’età dell’oro non sia ancora arrivata. Contendono che, proprio come prognosticato dagli astrologi, re e militari continuino a esercitare un’enorme influenza sulla politica del paese: cosa insolita per una monarchia costituzionale. Dal 1932 ai giorni nostri, sottolineano, l’esercito ha effettuato tredici colpi di stato e la vita politica ed economica tailandese continua a gravitare attorno alla monarchia.

L’attuale governo, composto da generali in pensione, si è installato al potere nel 2014 con un golpe contro una premier eletta democraticamente e percepita come pericolosa nei confronti delle élite. Nel 2016, l’esercito ha quindi gestito la successione al trono del Re Maha Vajiralongkorn, il quale ha a sua volta chiesto e ottenuto degli emendamenti alla costituzione redatta dai militari. Il nuovo re ha inoltre preso possesso dei fondi della Corona, in precedenza gestiti dall’istituzione semi-statale del Crown Property Bureau. Nel corso dei primi anni del suo regno, parecchi monumenti pubblici che celebravano la caduta dell’assolutismo del 1932 sono stati rimossi.

Nelle immagini di queste proteste che ci sono arrivate appaiono papere gonfiabili e cortei di giovani con tre dita alzate, il saluto preso in prestito da “Hunger Games”. Ma come sono organizzate queste manifestazioni e chi vi prende parte?

I manifestanti si muovono perlopiù adottando il modello di flash mob già sperimentato nelle proteste di Hong Kong. Si radunano quindi quasi quotidianamente sfruttando le potenzialità offerte dai social media, in particolare Twitter e Telegram. Organizzando in questo modo le proteste senza largo preavviso, arginano il rischio di repressioni da parte delle autorità. In precedenza, la polizia ha infatti utilizzato cannoni ad acqua e lacrimogeni per disperdere la folla e in alcuni casi ha eseguito degli arresti.

Nonostante questo tipo di mobilitazione favorisca una partecipazione giovanile, manifestati di varie generazioni hanno in più occasioni mostrato il loro supporto. Il simbolismo di protesta stesso è innovativo in quanto rimanda ai recenti movimenti di resistenza di Hong Kong, alla cultura pop internazionale, ma anche al linguaggio astrologico di corte, rivolgendosi simultaneamente a molteplici audience: internazionali e tailandesi, giovani e anziani.

Analizzando la storia del paese, proteste e manifestazioni sembrano essere avvenimenti piuttosto ricorrenti. A chi si ispirano i giovani thailandesi?

La composizione delle proteste ricorda i movimenti studenteschi della seconda metà del secolo scorso. In particolare, negli anni Settanta, gli studenti erano soliti manifestare contro governi autoritari e colpi di stato. La storia tailandese racconta di terribili massacri in cui diversi giovani hanno perso la vita per mano di forze militari e paramilitari.  

Da un punto di vista ideologico, le attuali proteste sono invece più riconducibili alle manifestazioni delle cosiddette camicie rosse, attive dai primi anni del nuovo millennio fino al golpe del 2014. Principalmente persone di mezza età provenienti dalla provincia, le camicie rosse contestavano l’intromissione dei militari in politica e chiedevano un solido sistema elettorale che garantisse una partecipazione democratica. Oltre a ciò, alcuni gruppi all’interno del movimento coltivavano forti critiche nei confronti della monarchia: un fenomeno allora senza precedenti.

Le camicie rosse rimangono tutt’oggi il movimento politico più grande mai esistito in Thailandia. All’apice delle proteste, nel 2010, centinaia di migliaia di manifestanti occuparono il centro finanziario di Bangkok per oltre due mesi consecutivi. Furono repressi dal fuoco dei militari in scontri in cui morirono quasi cento persone. A seguito di ciò, i giovani che manifestano oggi riconoscono l’eredità delle camicie rosse e ne commemorano il sacrificio.

I manifestanti associano la loro battaglia anche al People’s Party del 1932, dal quale traggono il loro nome: People’s Party 2. Con la scelta di un nome volutamente provocatorio, suggeriscono che il passaggio da assolutismo a costituzionalismo rimanga un progetto incompleto in Thailandia, proponendosi come agenti di un cambiamento epocale.

Francesca Favaro