Corea del Sud e Covid-19: l'esperienza di tre studentesse cafoscarine

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Da sinistra: Alessia Pavani, Anna Schipilliti, Chiara Moschini

Anna Schipilliti, Chiara Moschini e Alessia Pavani sono tre studentesse cafoscarine attualmente impegnate in un programma di mobilità Overseas a Seoul, in Corea del Sud, Anna alla Sungkyunkwan University, Chiara e Alessia alla Yonsei University. Oggi ci raccontano come procede la vita nella capitale di uno dei paesi che per primi si sono trovati a dover affrontare l’epidemia di Covid-19.

Per quanto hai modo di vedere dai tuoi canali di informazione, come sta affrontando la crisi la Corea del Sud?

Anna Schipilliti: La Corea del Sud è stato il primo Paese al di fuori della Cina a vedere un abbondante numero di contagiati al suo interno e credo che ciò li abbia spinti ad affrontare la crisi in maniera scrupolosa. Ci sono due cose che mi hanno particolarmente colpita; la prima è sicuramente la velocità con la quale il governo ha messo in atto disposizioni per contenere il virus: fin da subito hanno imposto di indossare mascherine a chiunque volesse uscire (soprattutto in posti affollati come i mezzi pubblici), ogni esercente fornisce disinfettante all’ingresso della propria attività e sono state installate varie telecamere che monitorano la temperatura dei passanti. La seconda cosa che mi ha particolarmente colpita è stata la risposta della popolazione, in quanto ho potuto notare che le persone non sono assolutamente andate nel panico e hanno rispettato fin da subito le direttive imposte.

Chiara Moschini: Vivendo all’interno di un dormitorio universitario utilizzo come canale di informazione soprattutto il web. Ogni giorno vengono rilasciate notizie e informazioni dettagliate riguardo l’evolversi dell’epidemia, e di questo trovo apprezzabile la trasparenza. La ricchezza di dati inerenti i nuovi contagi è possibile anche grazie alla scelta adottata dal governo di effettuare numerosissimi test, i quali permettono di aggiornare con precisione, ogni giorno, il numero di persone contagiate. Di queste persone vengono poi forniti dati quali sesso, età e nazionalità, oltre che informazioni relative agli spostamenti immediatamente precedenti al test, tramite sms sul cellulare, che arrivano a chiunque si trovi in suolo coreano. È questa forse la parte più controversa della “strategia sudcoreana”, perchè naturalmente induce ad interrogarsi dal punto di vista etico su quanto sia effettivamente giusto divulgare determinate informazioni.

Com'è la tua 'giornata tipo' in lockdown?

Alessia Pavani: Qui a Seoul non c'è mai stato un 'lockdown' completo. I negozi sono aperti e le persone possono circolare liberamente, ebbene ci siano comunque delle restrizioni (ad esempio le manifestazioni non sono consentite, come le cerimonie religiose o feste che prevedono la riunione di molte persone).
Per quanto mi riguarda, ogni giorno frequento le lezioni online ma, quando non devo studiare o seguire le lezioni, esco normalmente. Mi metto sempre la mascherina e lavo spesso le mani quando entro nei negozi o ristoranti. Cerco di lavarmi spesso e di tenere pulito l'ambiente in cui abito. Il maggiore cambiamento è stata proprio la didattica online!

Come sta gestendo la situazione la tua università ospitante?

Chiara: Il contesto universitario è forse quello in cui in cui l’impatto del virus è più palpabile a livello di misure precauzionali. Già prima della mia partenza, avvenuta a metà febbraio, l’Universitá dove mi trovo aveva deciso di posticipare l’inizio del semestre di due settimane, dal momento che era previsto un consistente afflusso di studenti provenienti dalla Cina, in quel periodo il paese più colpito. Successivamente, con l’espandersi dell’epidemia anche in Corea, si è deciso di rendere le lezioni telematiche, fino a data da destinarsi. Per il resto, gli studenti del dormitorio sono tenuti a farsi misurare la febbre ogni giorno; così come ogni giorno avviene la disinfezione dei locali della struttura. All’ingresso dell’edificio è stato posizionato un dispositivo per il controllo della temperatura corporea e le “facilities” hanno subito variazioni di orario, così come gran parte degli eventi che prevedevano il riunirsi di studenti, come l’orientamento, sono stati cancellati.
Una iniziativa interessante è la distribuzione di mascherine gratuite agli studenti stranieri, inaugurata in questi giorni.

Sempre per quanto puoi osservare dai canali di informazione, quali analogie e/o differenze ci sono tra la risposta dell'Italia e quella della Corea del Sud?

Anna: Secondo me, le principali differenze sono state la velocità di reazione all’emergenza e l’utilizzo della tecnologia. Fin da subito in Corea del Sud, governo e cittadini si sono attivati per combattere il virus e, infatti, già dalle prime settimane sono state ideate applicazioni e siti online in grado di tener traccia del numero di contagiati e dei percorsi da loro svolti nei giorni precedenti. Inoltre, chiunque risieda in Corea riceve quotidianamente comunicazioni di emergenza sul telefono cellulare che ci notificano le informazioni più importanti (in coreano, ma è possibile leggerne la traduzione in inglese tramite una app).

Alessia: La principale differenza tra Italia e Corea del Sud è che quest'ultima ha reagito più tempestivamente perché era preparata all'evenienza. In passato, la Corea si è già trovata a dover affrontare SARS e MERS quindi, con il Covid-19, il governo conosceva già le misure da adottare e la popolazione sapeva già come comportarsi. Penso che anche in Italia le misure del governo siano state abbastanza rapide (soprattutto in confronto ad altri paesi europei e all'America), però gli italiani, non essendo abituati a questo tipo di emergenza, non hanno capito subito come comportarsi, e alcuni hanno forse sottovalutato la situazione.  

Francesca Favaro