Festival del lavoro 2021: Adalberto Perulli sullo smart working

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Il prof. Adalberto Perulli, ordinario di Diritto del Lavoro presso il Dipartimento di Economia, è intervenuto all'ultima edizione del Festival del Lavoro, in particolare in un panel dedicato allo smart working, nuovo modo di lavorare diventato di grande attualità a causa della pandemia. Lo abbiamo intervistato per alcune considerazioni sul tema, in particolare rispetto al suo intervento al Festival e al futuro dello smart working, anche dopo la pandemia.

Qual è l'attuale situazione in termini di smart working? Come potrebbe cambiare in futuro?

Lo smart working, o “lavoro agile” secondo la nozione legislativa (l. n. 81/2017), ha conosciuto un’espansione imprevista a causa della pandemia Covid-19, diventando addirittura la forma comune di prestazione di lavoro nella pubblica amministrazione. Nel settore privato, dopo una crescita assai elevata nel corso del primo lockdown (da poco più di 1 milione a oltre 4 milioni) la percentuale di lavoratori in smart working si è attestata su livelli decisamente superiori rispetto alla situazione pre-pandemica, sfiorando il 30% della quota dei dipendenti. Ma la potenzialità dello smart working va ben al di là delle necessità di distanziamento imposte dall’emergenza pandemica, perché rispecchia una nuova concezione dell’impresa, meno gerarchica e piramidale e più smaterializzata e diffusa, e una nuova idea di lavoro subordinato, meno legata alla dimensione spazio-temporale (“luogo e orario di lavoro”) e più orientata ad obiettivi e fasi di lavoro. In tal modo, grazie allo smart working, si riesce a meglio realizzare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nell’interesse del lavoratore.

Nel corso della pandemia lo smart working ha subito una torsione verso il telelavoro (cioè una forma di lavoro a domicilio), ed è stato in parte snaturato (o ridisegnato) per rispondere all’esigenza di garantire la continuazione dell’attività produttiva. Anzitutto è stata prevista la possibilità di imporre unilateralmente lo smart working da parte del datore di lavoro, in deroga alla normativa vigente che ne prevede l’attivazione grazie ad accordi individuali tra il lavoratore e il datore di lavoro. Inoltre lo smart working è diventato un diritto per i genitori con figli di meno 14 anni o affetti da gravi patologie. 

È probabile (ed anche auspicabile, a mio avviso) che, con l’uscita dall’emergenza pandemica, lo smart working riprenda i suoi caratteri originari, ma permanga un impiego più diffusivo di questa modalità di organizzazione del lavoro e di erogazione della prestazione lavorativa. Se questa tendenza si consoliderà, sarà importante pensare ad una nuova regolazione dell’istituto, che sicuramente deve affidare un ruolo alla contrattazione collettiva, sinora del tutto ignorata dal legislatore, ma di fatto rivitalizzata in questi mesi proprio in tema di lavoro agile, con la stipula di molti contratti nazionali e di gruppo. A mio avviso, tuttavia, una nuova disciplina non dovrebbe eliminare alcuni elementi innovativi che hanno caratterizzato la legge del 2017: penso alla disciplina dei poteri del datore di lavoro attraverso il patto individuale, che deve essere realizzata dalle parti in modo personalizzato, soprattutto in funzione di una più proficua conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e per rendere la subordinazione meno gerarchica ed oppressiva.

Quale può essere il ruolo della contrattazione collettiva nei futuri sviluppi dello smart working?

La contrattazione collettiva nel settore privato può dare un ulteriore e decisivo impulso allo smart working, contribuendo alla sua diffusione strutturale oltre l’emergenza pandemica. Le imprese che hanno dichiarato di avere personale che ordinariamente svolge un’attività lavorativa che potrebbe essere effettuata a distanza sono nel complesso poco più di un quinto (21,9%), con forti connotazioni settoriali e per dimensione. La diffusione strutturale del lavoro a distanza presenta una notevole eterogeneità a livello settoriale, con attività economiche dove più della metà delle imprese ha personale che può svolgere la prestazione in remoto, come i servizi di informazione e comunicazione (76,2%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria (68,7%), le attività professionali, scientifiche e tecniche (62,7%), l’istruzione (53,7%), le attività finanziarie e assicurative (52,6%), e altre attività economiche in cui tale quota non supera il 10%, come i servizi di alloggio e di ristorazione (3,4%), le altre attività di servizi (6,7%) e la sanità e assistenza sociale (10,2%). Le differenze per classe dimensionale sono ancora più marcate: hanno attività produttive che possono essere svolte a distanza l’86,0% delle grandi imprese, il 77,0% delle medie, il 33,6% delle piccole e soltanto il 17,5% delle microimprese.

In base a questi dati la contrattazione collettiva può creare le condizioni per un’estensione dello smart working nelle organizzazioni produttive, contribuendo alla riprogettazione organizzativa che costituisce il prerequisito per una diffusione strutturale di questa nuova modalità di prestazione di lavoro. La contrattazione collettiva, per sua vocazione, agisce in modo adattivo, mentre la legge, per definizione, è generale e astratta, e quindi molto meno flessibile. Grazie alla contrattazione lo smart working può trovare una disciplina coerente con i diversi contesti produttivi. Inoltre la contrattazione collettiva può realizzare con maggiore efficacia i nuovi diritti connessi alla smart working, come il diritto alla disconnessione, che nella legge è affidato all’accordo individuale, ma che invece, nelle esperienze dei paesi più avanzati, come la Germania, forma oggetto di negoziazione sindacale. La contrattazione dovrebbe inoltre precedere specifici diritti collettivi per i lavoratori in smart working, per assicurare la partecipazione; alcuni aspetti del trattamento economico, come ad esempio contributi aziendali per dotazioni tecnologiche, indennità per presenza/turni, inclusione delle giornate di smart working per il calcolo del premio di risultato ecc.; la regolazione di aspetti importanti dell’orario di lavoro, diversi rispetto al classico orario in presenza; formazione su procedure tecniche di connessione da remoto, aspetti di salute e sicurezza, privacy e tutela dei dati personali, attività di coaching e tutoring per agevolare il lavoro di squadra nel lavoro a distanza; ambiente e salute, con misure di integrazione sanitaria come screening periodici e counseling psicologico; welfare integrativo, con servizi di conciliazione riguardanti l’infanzia; diritti e prestazioni sociali come aspettative e permessi retribuiti per i lavoratori agili, interventi di sostegno alla genitorialità, ecc.

È stata costituita una commissione ministeriale proprio su questo tema. Quali possono essere le linee guida per una riforma dell’istituto?

Il Ministro del lavoro Andrea Orlando ha costituito un gruppo di studio, presieduto dal prof. Pasqualino Albi, con il compito di analizzare gli effetti del lavoro agile per individuare soluzioni alle criticità emerse nell’ambito del lavoro sia privato sia pubblico. La Commissione, da poco insediata, dovrà individuare alcuni punti per l’aggiornamento della cornice normativa, a partire dal diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche per i lavoratori agili, nel rispetto degli accordi fra le parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati.

Di Adalberto Perulli - a cura di Rachele Svetlana Bassan