Intervista a Paolo Maria Noseda, la voce degli ospiti di 'Che tempo che fa'

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Cos’hanno in comune Barack Obama, Bill Gates e Patti Smith? La loro voce italiana, Paolo Maria Noseda, da anni l’interprete degli ospiti stranieri nella trasmissione ‘Che tempo che fa’, ma anche traduttore letterario, speech coach, ghostwriter e, da quest’anno, professore del corso di laurea magistrale in Interpretariato e traduzione editoriale, settoriale di Ca’ Foscari. 

Con alle spalle più di 40 anni esperienza e una lista lunghissima di collaborazioni con multinazionali, personaggi e celebrità, il dott. Noseda ci racconta come si diventa uno dei massimi esperti nel campo della comunicazione internazionale e una delle voci più riconoscibili della televisione italiana. 

Cosa l’ha spinta ad intraprendere questa carriera? 

Scegliere di occuparsi di comunicazione internazionale, specialmente nel periodo in cui lo decisi, significava apprestarsi a spalancare una finestra sul mondo, presentarsi su di un palcoscenico che abbracciava cinque continenti e, potenzialmente, dover occuparsi di un gran numero di settori tutti diversi e interessanti. 

Non si deve dimenticare che io esordii nel 1978, praticamente l’età della pietra rispetto ad oggi, un periodo in cui in Italia, ma anche nel resto del mondo, la conoscenza approfondita dell’inglese e di altre lingue era un valore aggiunto notevole, specialmente in associazione a conoscenze approfondite di altre discipline o settori, non ultimo quello dello spettacolo nella sua più generale accezione. Parlare fluentemente l’inglese significava poter avere accesso alla comunicazione economica, finanziaria, politica, culturale, mediatica, produttiva, come pure a tutta una serie di settori che cominciavano ad internazionalizzarsi, come l’informatica ma anche la biodinamica o l’agricoltura biologica e una rinnovata coscienza ambientale. 

Chi, come me, riusciva ad esprimersi in più lingue poteva non solo ambire a lavorare per le istituzioni internazionali, ma anche per il cosiddetto “made in Italy” che in quel periodo stava vertiginosamente e velocemente decollando. Il tessuto produttivo della regione Veneto è stato uno dei trampolini di lancio dell’internazionalizzazione dei molti talenti aziendali italiani e, proprio in quel periodo, servivano persone che conoscessero non solo la lingua, ma anche gli usi e i costumi dei molti Paesi con cui gli imprenditori interagivano.

Ricordo ancora ciò che mi disse mio padre quando gli chiesi di poter essere aiutato nei miei studi: mi chiese se davvero “fare l’interprete” fosse un lavoro e il commento non veniva certo da uno sprovveduto. L’interpretazione veniva per lo più considerata come una specie di “valore aggiunto” a qualche professione prestigiosa o necessaria ed erano in pochi a capirne la necessità. Vigeva ancora la convinzione di dover intraprendere una sola carriera e rimanere in un ambito lavorativo per il resto della propria vita. Chi aveva competenze linguistiche notevoli erano coloro che erano nati in famiglie bilingui, ex-emigrati o coloro che per ceto e ricchezza avevano potuto permettersi una “nannie” o una “schwester” o una “bonne” e avevano acquisito conoscenze linguistiche profonde.
Le lingue venivano considerate più come un veicolo culturale o sociale e si tendeva a dedicarsi poi a carriere d'insegnamento, ricerca e rarissimamente venivano richieste come una caratteristica imprescindibile per arricchire il proprio CV. 

Viste queste premesse, io volevo scoprire il mondo, adoravo viaggiare, ero curioso di scoprire realtà e situazioni nuove, mi piaceva stare con gli esseri umani e volevo dei maestri che mi aprissero le porte di ciò che comunemente definiamo il “mondo”.
Una scelta d’amore, quindi, che  per fortuna mia mi accompagna ancora oggi. 

Cosa la affascina di più della sua occupazione? 

L’imprevedibilità. Il piacere della scoperta. La relazione intessuta con altri esseri umani dai quali imparo sempre moltissimo. L’impegno. La concentrazione necessaria: aborrisco perdere tempo e nel mio lavoro non posso permettermi di sprecare neppure un secondo. La sorpresa di riuscire ad amare anche ciò che di primo acchito parrebbe noioso, ostico o infattibile. La gioia dell’incontro che si trasforma in rapporto di lavoro a cadenza regolare e poi in reciproco rispetto, ammirazione e fiducia. Lo studio che richiede ogni singola situazione di lavoro. La delicatezza chirurgica con la quale si affronta il mio lavoro: talvolta basta un millimetro di più e “l’incisione” può divenire “emorragia inarrestabile” e far defungere un rapporto di lavoro e, quindi, l’essere perfezionista diviene un punto di forza notevole. La sana curiosità di voler imparare e di saper ascoltare senza interloquire inutilmente. Saper fare un passo indietro e dare giustamente spicco a colui/colei/coloro che sono sotto le luci della ribalta senza rubare loro il ruolo. Insomma, potrei riassumere tutto ciò dicendo che lo stare "dietro le quinte” mi affascina, perchè mi permette di studiare approfonditamente le dinamiche delle persone e delle situazioni. 

Come si prepara ad un'interpretazione simultanea? 

Il lavoro di prodromico è una miscela fra preparazione culturale, etnica, scientifica, letteraria, di costume, linguistica, microlinguistica e psicologica

Non esiste una situazione simile ad un’altra e ciascuna ha peculiarità e caratteristiche che vanno attentamente studiate, vagliate e comprese per poter fare in modo di ridare un “ ridotto” quanto più simile all’originale, ma anche che tenga in conto le naturali e imprescindibili differenze culturali che esistono fra un Paese e l’altro e, nel caso della lingua inglese divenuta ormai la "lingua franca del mondo”, le diverse interpretazioni che ciascuno, a seconda della propria origine, imputa a una lingua ormai divenuta “ planetaria”. 

Il nostro compito consiste quindi, oggi più che mai, nell’essere chiari e intelligibili, talvolta a scapito della raffinatezza che sapremmo consegnare al nostro prodotto finito. Saper ascoltare, oltre che saper studiare, è importantissimo: le riunioni di preparazione sono il primo dei molti tasselli che ci permettono di arrivare al lavoro preparati. 

Capire le esigenze del cliente, le sue paure, esitazioni, i rischi, essere rassicuranti e saper stringere relazioni con le controparti - siano esse il pubblico invisibile della TV o un singolo essere umano, per “ idealizzare” rendendo agile e piacevole l’ascolto e la comprensione, talvolta migliorando anche la qualità del discorso di partenza, specialmente quando tenuto da un non-madrelingua. Saper interpretare il “non detto”, sottolineare l’”esitazione”, coinvolgere nella “ gioia” o partecipare al “dolore” sono tutti esercizi che esulano dalla mera conoscenza linguistica.
Poi, studiare molto e tutto, pensare sempre all’imprevisto e cercare, per quanto possibile, di prevedere possibili “catastrofi” si è spesso rivelato un esercizio validissimo. 

Poter contare su una rete di colleghi e collaboratori in grado di suggerire, aiutare, partecipare condividendo la stessa cabina o lo stesso lavoro, ma anche di poter essere una rete di salvataggio in caso di improvvisi impedimenti. Una delle regole ferree della professione è infatti non lasciare mai il cliente senza il servizio richiesto e sappiamo tutti come spesso nella vita sia imprevedibile poter far affidamento sul proprio benessere fisico, basta un malanno improvviso a mettere in pericolo la riuscita di un evento. Ecco quindi che la nostra capacità previsionale deve essere particolarmente sviluppata. 
 

Ci sono stati personaggi o scrittori ai quali si sente particolarmente legato? 

Io parto dal presupposto che tutti noi esseri umani parliamo e ci esprimiamo perchè desideriamo essere amati.
Allora, ogni cliente, ogni traduzione, ogni cerimonia, ogni intervista, ogni periodo di assistenza in questi decenni per me è stato fonte di grande condivisione e di grande amore con i protagonisti con i quali ho avuto modo di collaborare. 

Io mi ritengo un “consulente della comunicazione” e, quindi, il mio compito inizia e finisce nel far comunicare con rispetto, amore e ammirazione due o più parti che altrimenti non si capirebbero.
Vi chiederete: “Ma le persone non vanno sempre d’amore e d’accordo, e allora?” Vero.
Ma, se l’assunto è parlare perché gli altri ci amino, allora anche il diverbio, il contrasto e il litigio possono essere interpretati come una richiesta d’amore e trattati come tali da un bravo interprete e ritrasposti con la dovuta fedeltà ma scevri di tutto ciò che potrebbe peggiorare una situazione.

Tutti, medici, operai, personale dipendente, artisti, musicisti, pittori, scrittori, registi, attori, scienziati, politici, designers, artigiani, persone “comuni” sono stati da me amati e rispettati, sempre.
Da ciascuno ho imparato e a ciascuno sono grato, anche nei rari casi in cui si sono verificati problemi contingenti o esterni alla mia volontà.
Un bravo interprete non deve essere mai un problema; anzi, al contrario, deve essere un veicolo attraverso il quali i problemi si appianano e risolvono. Saper sorridere è importante perché saper trovare il lato divertente o interessante di una situazione che non lo sembrerebbe permette di uscirne arricchiti.
Certo, Presidenti di grandi corporations o di Paesi lontani, regnanti, celebrità, grandi menti e grandi personaggi lasciano tracce indelebili. Ma io li ho amati tutti e di tutti serbo almeno un ricordo che me li rende cari. 

Cosa serve per diventare un bravo interprete/traduttore? 

Serve pazienza, tenacia, attenzione, concentrazione, spirito di sacrificio, umiltà, voglia di imparare, capacità di interagire con tutti, specialmente con coloro che non si conoscono, molta educazione, tatto, sensibilità, estroversione, senso della misura, competenza, generosità, senso dell’umorismo, ammirazione per coloro che sono più bravi o brillanti, capacità di chiedere scusa quando inevitabilmente si sbaglia, consapevolezza che la materia della quale ci si occupa costituisce il prodotto del lavoro di un altro essere umano che può aver investito tutto in quell’opera, scritto, prodotto o relazione e poi capacità di pensare sempre prima di aprire la bocca. 

Come approccia invece le lezioni in aula e cosa spera di trasmettere agli studenti? 

Io ho il massimo rispetto di coloro che si definiscono “studenti” che per me sono in primis esseri umani, poi collaboratori e da ultimo il ponte che garantirà a una professione come la mia di continuare e agli interpreti di essere apprezzati. 

Io dico spesso ai miei studenti che sono solo un “controllore” dei loro progressi che “vidima" il loro biglietto, proprio come farebbe un controllore su un treno.
Il biglietto deve essere acquistato da ciascuno, secondo la propria meta e i propri impegni e desideri.
Il lavoro di far combaciare impegno, desiderio, risultato e studio mi vede espletare il ruolo di colui che consiglia, indirizza, suggerisce e rimane a fianco di ciascuno senza influenzare o fuorviare, ma sulla scorta della mia esperienza, cerco di indicare e consigliare ciò che potrebbe essere la soluzione a un dilemma, a un problema o a un’incertezza. 

La fiducia reciproca e il rispetto sono imprescindibili in un rapporto come quello che intrattengo con gli studenti. Io mi sento spesso come l’artigiano che consegna i ferri del mestiere a coloro che, con mani e menti fresche, possono aggiornare, rivedere, riconsiderare e trovare soluzioni e sbocchi innovativi ad una professione che nei miei 40 anni di lavoro attivo è cambiata innumerevoli volte.

Cerco di incoraggiare il dialogo e lo scambio non solo fra me e loro, ma anche fra di loro affinché capiscano l’inestimabile valore della collaborazione. Li incoraggio a formare opinioni, a spiegarle, riassumerle e mantenerle se convinti.
Cerco di insegnar loro il grande valore dell’umiltà e l’importanza del sapersi vedere riconosciuti e apprezzati ma con la consapevolezza della caducità intrinseca ad un risultato che vale solo nella misura in cui sia parte di un processo inarrestabile di creazione e sviluppo.
Cerco anche di insegnare loro la consapevolezza di autovalutarsi imparando ad essere consci di quando si “è fatto bene” senza schernirsi inutilmente. Essere amati significa anche essere riconosciuti nella propria preziosità dagli altri e andarne fieri. 

Ah, da ultimo, ma non per questo meno importante, cerco anche di insegnare loro come poter fare una bella traduzione simultanea!!



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Francesca Favaro