Italiano e covid-19. Cosa è cambiato? Ce lo spiega il prof. Baglioni

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Abbiamo analizzato, insieme al prof Daniele Baglioni, esperto di Storia della lingua italiana, Linguistica italiana e Dialettologia italiana al dipartimento di Studi Umanistici di Ca' Foscari, come il covid-19 ha influito sulla nostra lingua e sul modo di comunicare di cittadini e istituzioni.

“I congiunti sono stati tra le cose più divertenti dal punto di vista lessicale, perché è un termine deliberatamente vago, usato nello scorso decreto proprio perché si prestava a un’interpretazione non univoca: se si fosse usato ‘famigliari’ oppure ‘parenti’ si sarebbero automaticamente esclusi quelli che poi sono stati recuperati come affetti stabili”.

Pensiamo anche ad espressioni abbastanza comuni e che ora stiamo evitando di usare - ‘entusiasmo contagioso’, ad esempio - dove le parole ‘contagio’ e ‘virus’ avevano un’accezione positiva. 

“Una delle cose più interessanti è la regressione dell’uso figurato – spesso con accezione positiva – di parole come ‘contagio’, ‘virus’ e ‘virale’, e anche ‘pandemia’ se vogliamo; molto spesso prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria venivano usate prevalentemente con significato figurato. Ricordo di un’intervista in cui Ezio Bosso, non molto tempo fa, diceva «Il nostro entusiasmo diventa un contagio»; addirittura si augurava «una pandemia di voglia di fare». Oggi usi simili sarebbero tabù, sicuramente malvisti.”

La distanza sociale di questi mesi ha favorito l'utilizzo massiccio del telefono o delle piattaforme di videoconferenze, ha incrementato la multimedialità e ha influenzato il nostro modo di comunicare e di interagire nella comunicazione. 

“Siamo nell’ambito di quello che in linguistica viene chiamato ‘il parlato trasmesso’, cioè un parlato che rimane tale – perché la comunicazione è sempre orale – ma non avviene in presenza; ma nel parlato trasmesso non è possibile fare affidamento sul contesto extralinguistico: usare parole come ‘qui’, o addirittura ‘oggi’ è rischioso, si corre il pericolo di essere fraintesi. Inoltre il parlato richiede continui richiami all’attenzione dell’interlocutore; bisogna fare a meno almeno in parte della gestualità e della mimica facciale; bisogna fare a meno della cosiddetta prossemica, ovvero della distanza che poniamo tra noi e l’interlocutore, e che vuol dire molto in senso di reverenza, rispetto, affetto ma anche aggressione.

E poi c’è un elemento interessante che riguarda i turni di comunicazione: in presenza sono frequenti le sovrapposizioni, che non compromettono più di tanto la comunicazione; nella comunicazione a distanza l’avvicendamento dei turni dev’essere necessariamente ordinato, e questo comporta tempi più lunghi e dialoghi che diventano una serie di piccoli monologhi.

Un altro elemento che volevo sottolineare riguarda la multimedialità, che è molto favorita da queste situazioni mediate dal computer. Spesso si osserva un uso combinato di interventi orali e scritti, attraverso le chat, e non raramente le due cose interagiscono. E si nota inoltre un certo sdoganamento delle emoticon, che per la loro efficacia vengono usate anche in contesti seri”.

Anche le scelte comunicative delle istituzioni, in questi mesi, sono il risultato della situazione di emergenza. In molte occasioni è prevalso, anche nelle parole del Presidente del Consiglio l’elemento persuasivo rispetto a quello informativo.

“In questo periodo abbiamo visto, nella lingua delle istituzioni, tendenze che non esistono da oggi ma che forse si sono acuite. E sono due tendenze opposte: da un lato il ripescaggio di termini desueti – scelte proprio perché non si prestavano a identificazioni con altri termini noti ai referenti del messaggio; dall’altro abbiamo una comunicazione istituzionale che ha ammicato molto alla comunicazione pubblicitaria e sui social. Il primo decreto era stato nominato il decreto ‘Io resto a casa’, diventato subito dopo uno slogan e un hashtag. Ed effettivamente è stata una scelta di immediatezza comunicativa che però ha molto appiattito i piani della comunicazione. E con l’avvio della fase 2 mi ha molto sorpreso che il Presidente del Consiglio – che è per formazione molto rispettoso degli aspetti della comunicazione istituzionale – affinché il suo messaggio arrivasse nella maniera più veloce e meno fraintendibile possibile, si è rivolto alla cittadinanza usando il tu: ‘Se ami l’Italia, mantieni le distanze’. Questo è qualcosa di inedito; che non ci si aspetterebbe da un discorso istituzionale, il cui scopo principale è quello della persuasione. Data l’emergenza, si cerca di raggiungere il prima possibile lo scopo principale, che è quello che il messaggio passi al pubblico; d’altra parte però prevale un elemento persuasivo rispetto a quello informativo che dovrebbe essere prevalente in una comunicazione istituzionale”.

La nostra lingua è cambiata per sempre? “Le modifiche comportate dall’epidemia viaggiano con l’epidemia; possiamo quindi augurarci che molte delle parole che usiamo in questi giorni spariscano o diventino un lontano ricordo”.

Ascolta l’intervista integrale al prof. Daniele Baglioni 'L'italiano della pandemia' su Radio Ca’ Foscari