L’equilibrio di genere nei dipartimenti dell’area tecnologica non si raggiungerà con automatismi. Non sarà un algoritmo a portare donne ai vertici dei centri di ricerca e la ricerca sull’intelligenza artificiale non sarà necessariamente inclusiva.
Tutto ciò richiede consapevolezza, impegno e risorse dedicate. Lo ha sperimentato sul campo il team internazionale del progetto europeo Equal-IST, le cui conclusioni sono state appena pubblicate nel volume “Institutional Change for Gender Equality in Research”, curato dai cafoscarini Maria Sangiuliano e Agostino Cortesi (coordinatore dell’unità di ricerca di Ca’ Foscari nel progetto), pubblicato da Edizioni Ca’ Foscari e scaricabile gratuitamente.
Il progetto ha coinvolto sei università di vari Paesi europei nella sfida di progettare e mettere in pratica “piani di azione per l’uguaglianza di genere”. La fotografia iniziale delle istituzioni accademiche in ambito tecnologico-informatico, infatti, vede le donne escluse dagli organi dirigenti, poco rappresentate nel corpo docenti e sempre meno presenti man mano che si cresce nei livelli di carriera. Il trend in ambito STEM è positivo, ma raramente l’equilibrio di genere è tra le priorità.
“Buone pratiche e raccomandazioni già esistono da tempo e sono spesso frutto di numerosi progetti europei che si sono dedicati al tema - spiega Maria Sangiuliano, che ha partecipato alla ricerca come assegnista del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari, - quello che abbiamo fatto è lavorare sul campo per provare a generare un cambiamento concreto e possibilmente sostenibile nel tempo, superando le resistenze che, più o meno consapevoli, ci sono”.
L’idea per stimolare tutte le componenti dei sei dipartimenti coinvolti è stata parlare la loro lingua, quella della tecnologia. Il progetto ha quindi sviluppato una piattaforma di crowdsourcing a cura dei partner tedeschi dell’Università di Muenster, ora rilasciata in modalità open source, che ha permesso di discutere questioni complesse come pari opportunità, diversità e rapporto tra vita e lavoro in una comunità allargata ad esperti, policy makers, organizzazioni non governative.
Il cambiamento è partito dalle basi, cioè dal rendere i corsi di studio in materie informatiche più interessanti e attrattivi per le ragazze. Un obiettivo raggiunto ad esempio dall’Università di Modena e Reggio Emilia, caso di studio per l’Italia, con l’iniziativa Ragazze Digitali.
“L’esperienza di Unimore, al pari di altre che abbiamo accompagnato - aggiunge Sangiuliano - ha dimostrato come leve potenti per promuovere queste tematiche siano le partnership con organizzazioni e realtà esterne, in questo caso finanziatori e scuole. Trovare un ambiente risonante aiuta l’istituzione a sposare la causa”.
Un altro caso di successo è stato quello dell’ucraina Simon Kuznets Kharkiv National University of Economics, dove una collaborazione con organizzazioni sindacali e aziende ICT della regione ha consentito la promozione di azioni di conciliazione vita-lavoro, di incidere sulle modalità di reclutamento per promuovere bilanciamento e favorire l’inserimento lavorativo delle laureate.
Un altro ambito difficile ma dalle grandi potenzialità e quello dell’inserire la dimensione di genere nei contenuti della ricerca, anche in ambito tecnologico.
“E’ un aspetto complicato perché inizialmente è difficile trasmettere alla comunità degli informatici che il genere è un aspetto rilevante anche nel loro ambito - spiega Sangiuliano - l’algoritmo non è neutrale. Includere le donne nella ricerca ha a che fare con il modo in cui si progetta la tecnologia”.
Per questa sfida il progetto ha messo in campo attività di formazione, con una serie di webinar disponibili online e in particolare una puntata dedicata all’integrazione dell’approccio di genere nei contenuti della ricerca ICT, su genere e HCI (Human Computer Interaction) e bias di genere e razziali nell’Intelligenza Artificiale e Machine Learning.
Una volta concluso il progetto, come far proseguire il cammino verso un’informatica al femminile? Il progetto ha convinto tutti gli attori a sottoscrivere un piano di sostenibilità che li impegna a continuare le azioni. La continuità richiede però anche adeguate risorse, sia umane che finanziarie. Non basta, per fare un esempio, istituire un organo di parità: occorre che ci siano persone e budget per farlo funzionare.
Il progetto, in particolare grazie al contributo del team cafoscarino, lascia a disposizione una cassetta degli attrezzi sotto forma di un blog che presenta buone pratiche da conoscere e da cui prendere spunto.
“L’equilibrio di genere all’interno delle istituzioni accademiche e di ricerca in ambito tecnologico - conclude il professor Cortesi - non deve essere visto come un vincolo ma come una grande opportunità: valorizzare e far crescere le diversità non solo rende l’ambiente accademico più stimolante, ma lo rende anche più capace di cogliere le esigenze e le sfide cui la formazione e la ricerca devono saper rispondere con efficacia e creatività”.