Ida Zilio Grandi, docente di lingua e letteratura araba dell’università Ca’ Foscari, è la direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Abu Dhabi che inaugura la sua sede il 1° ottobre 2019.
La sua importante formazione arabistica e islamologica – a Ca’ Foscari e all’Orientale di Napoli - e i numerosi viaggi di studio e ricerca in Marocco, Egitto, Tunisia, Giordania e Libano, sono probabilmente all’origine della scelta del Ministero degli Esteri italiano, l’ente che le ha conferito il ruolo dirigenziale del primo Istituto Italiano di Cultura degli Emirati Arabi. “Credo che il Ministero cercasse una persona in grado di interagire con la cultura locale, di promuovere il “Sistema Paese” conoscendo i presupposti di quella data realtà estera. Prima d’ora sono stata negli Emirati proprio per avviare un accordo tra la nostra Università e quella dell’Emirato di Sharjah”.
Professoressa Zilio Grandi, in quale scenario apre il primo istituto di cultura italiano negli Emirati Arabi?
L’attenzione per la cultura italiana negli Emirati è molto forte: Italia vuol dire arte, design industriale, moda, buona cucina. Il nostro Paese è percepito in generale come sinonimo di sensibilità estetica, di bellezza e buon gusto; ed è stimato anche per le alte tecnologie, ad esempio la ricerca robotica. A tutto questo non corrisponde però l’attenzione per la letteratura, che pure è una parte sostanziale della nostra storia; da sempre gli italiani sanno immaginare, raccontare e raccontarsi meglio di altri, ma le traduzioni sono pochissime, e nelle università mancano ancora i corsi di lingua e di letteratura italiana. Occorre quindi sanare il vuoto, prima di tutto avviando e pubblicizzando i corsi di italiano nell’istituto di cultura – ma anche nelle università locali - e costruendo subito una biblioteca con il sostegno degli editori italiani. C’è inoltre la reale possibilità di inaugurare a breve una scuola italiana internazionale, che accosta lo studio dell’italiano a quello di altre lingue e culture. D’altra parte la presenza italiana non è affatto trascurabile, e oggi i nostri connazionali sono poco meno di 14.000, molti nell’Emirato di Dubai: gli Emirati sono abituati a importare talenti e competenze.
Forse gli Emirati Arabi, nell’immaginario occidentale, sono leader economici prima che culturali. Ci sbagliamo o c’è effettivamente nei Paesi del Golfo uno slancio verso arte e cultura?
Negli ultimi anni i Paesi del Golfo e gli Emirati in particolare hanno manifestato la precisa volontà di costituire un polo culturale oltre che economico nel mondo arabo e islamico, e i grandi investimenti vanno effettivamente in questo senso; pensiamo al Louvre di Abu Dhabi, o alla prossima apertura del Guggenheim, o alla presenza di diverse università straniere come la New York University o la Sorbona. Lo stesso Expo 2020 è inteso come un hub culturale prima che economico. Un esempio: per celebrare l’inaugurazione dell’esposizione universale, nell’ottobre del prossimo anno, il primo teatro d’opera emiratino, già attivo da un paio d’anni, manderà in scena almeno un centinaio di musicisti e artisti con un programma in arabo e in inglese dedicato a studenti e docenti delle scuole primarie.
Una considerazione: gli Emirati sono un Paese islamico, che persegue la propria legittimazione e proiezione internazionale proprio attraverso l’Islam, e quindi l’apertura alle culture straniere può suonare strana. Eppure non lo è affatto: tutti gli Emiri promuovono un Islam mediano, anti-estremista, pacifico e tollerante (esiste in effetti un “Ministero della Tolleranza” , e anche un “Forum per la Promozione della Pace”, entrambi con sede ad Abu Dhabi) rappresentato da una figura molto interessante, lo shaykh mauritano Abdallah Bin Bayyah, noto per aver confutato l’Isis sul suo primo terreno, quello dottrinale, con una lettera intitolata ‘La strada per il paradiso non è questa'. E contro la discriminazione delle comunità non islamiche, tipico della giurisprudenza islamica classica, “i Saggi” degli Emirati insistono volentieri sul concetto di cittadinanza. Proprio ad Abu Dhabi, durante la prima visita di un pontefice nella penisola arabica, papa Francesco e l’imam di al-Azhar hanno siglato un documento comune sulla fratellanza umana. Questa apertura alla cultura europea e italiana in particolare è d’altra parte molto ben rappresentata nelle varie dichiarazioni del nuovo ambasciatore emiratino in Italia, Omar al-Shamsi.
Gli IIC promuovono all’estero l’immagine dell’Italia e la sua cultura, classica ma anche e soprattutto contemporanea. Quale sarà la sua impronta come direttrice? Quali i primi progetti?
Vorrei mettere in luce la produzione attuale, letteraria e artistica in senso lato, ma soprattutto la capacità di fare, magari focalizzando l’attenzione su alcune città. Gli italiani sono bravissimi a produrre bellezza, e quel che è altrettanto importante è che sanno insegnare come farlo, quindi pensavo a scuole, corsi di formazione, workshop, sempre in collaborazione con le istituzioni locali. A lungo termine penserei, sempre insieme alle autorità emiratine, alla fondazione di un consorzio di università italiane, come ha auspicato appunto l’ambasciatore al-Shamsi.
Negli Emirati Arabi Uniti - come in gran parte dei Paesi musulmani - la parità di genere appare ancora una strada in salita. Come si comporterà, a riguardo, nella veste di direttrice dell’IIC?
A parte il fatto che gli Emirati promuovono una parità di genere difficilmente riscontrabile in altri Paesi – vedi ad esempio la recente approvazione di una normativa sulla rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione pubblici necessaria almeno al 50% - vorrei mettere in luce il talento delle donne, italiane e altre, nei diversi campi della produzione culturale.
Ha in progetto partnership con l’Università Ca’ Foscari?
Assolutamente sì! Ca’ Foscari ha molto da offrire in un contesto internazionale; penso alla forza delle sue competenze nella conservazione dei beni culturali, competenze ricercate negli Emirati; e anche al campo delle scienze ambientali, nel quale gli stessi Emirati sono all’avanguardia.