Questa intervista è la prima della serie #ricercaèdonna, ideata per dare voce alle studiose di Ca' Foscari e valorizzare il loro ruolo e il loro lavoro. Commenta, condividi sui social e segui l'hashtag #ricercaèdonna
Caterina Cruciani, classe 1981, assegnista di ricerca al Dipartimento di Management a Ca’ Foscari, direttrice operativa e membro del Centro per la ricerca sperimentale in Management e Economia (CERME).
Ricercatrice, donna e mamma, focalizza la sua ricerca sulla behavioural finance e, con il suo nuovo libro Investor Decision-Making and the Role of the Financial Advisor, studia il modo in cui empatia, emozioni, fiducia e rapporti interpersonali daranno una nuova forma alla consulenza finanziaria.
Insomma, il business è diventato… “very personal”.
Com’è nata la sua passione per l’economia e qual è stato il percorso accademico che l’ ha portata dove è ora?
Io mi sono formata come economista; ho completato entrambi i miei percorsi di laurea qui a Ca’ Foscari, nel dipartimento di economia e, sempre all’interno di questo dipartimento, ho conseguito il dottorato. Subito dopo la laurea magistrale ho lavorato per qualche anno alla Fondazione ENI Enrico Mattei qui a Venezia, che mi ha mostrato in cosa potesse consistere il lavoro di ricerca ed è stata un’utile palestra per il lavoro che avrei potuto fare in futuro. È stato questo a spingermi a ritornare studentessa. Durante il dottorato ho sviluppato un interesse per quella parte dell’economia non tradizionale, tutti quei nuovi modelli che non considerano le persone come macchine, ma ammettono che gli uomini possano avere delle difficoltà a valutare le informazioni e delle preferenze non perfettamente prevedibili o stabili nel tempo. Ho iniziato a occuparmi del tema della fiducia già all’interno della tesi di dottorato; la fiducia è sicuramente un tema ampissimo, che si presta a essere letto in molti ambiti e che l’economia condivide con altre scienze sociali, come la psicologia, la sociologia e la filosofia.
In cosa consiste il suo progetto di ricerca e qual è il focus del suo libro?
La tempistica del libro coincide con l’entrata in vigore della direttiva europea MiFID 2, la risposta strutturata alla crisi da parte dell’Unione Europea, che rivede il ruolo di tutti gli intermediari finanziari. Ho colto lo spunto della necessità di capire questa nuova normativa e l’ho analizzata sotto la lente della finanza comportamentale, prendendo in esame i limiti cognitivi, le emozioni e il possibile ruolo della fiducia. La figura del consulente finanziario emerge infatti non solo come un gestore del denaro, ma anche come gestore del cliente. In Italia, la consulenza finanziaria non è un fenomeno pervasivo come può essere in altri paesi; è però uno strumento molto utile, secondo la mia ricerca, per aumentare e migliorare la partecipazione al mercato, facilitandola sotto molti punti di vista. La chiave di lettura è che la fiducia sia uno dei driver fondamentali del rapporto consulente – cliente, e che possa essere utilizzata per coinvolgere più persone e farle lavorare meglio. Ho dedicato un intero capitolo alle emozioni e alle personalità che, secondo me, sono un campo molto importante e necessario in tutti gli studi che riguardano i rapporti interpersonali e di delega . Mi sono poi concentrata sugli aspetti più tecnici: i possibili ruoli del consulente e la revisione della normativa.
Fiducia, emotività e empatia, per un non esperto del settore, sono apparentemente molto distanti dall’idea di finanza. In che modo cambia la figura del consulente dopo la crisi e con questa nuova normativa?
La trasparenza richiesta dalla direttiva comporta per esempio che vengano esplicitati i costi della consulenza finanziaria, mentre prima questo processo era meno trasparente e assorbito attraverso un sistema di commissioni. Il mio libro vuole dimostrare quali siano le dimensioni in cui il consulente possa contestualizzare la propria professione, gli strumenti, le qualità e i vantaggi che questi propone. Per esempio, un problema molto rilevante e molto caro anche agli organi di regolamentazione del mercato, è il tema dell’educazione finanziaria. Il consulente viene ad assumere un ruolo educativo: non è più solo un “money doctor”, un dottore dei soldi, ma, attraverso la relazione e la fiducia, trasferisce competenze e facilita il processo di delega. Il nuovo ruolo educativo svolto dal consulente lo porta a costruire una relazione all’interno della quale è più facile che il cliente chieda spiegazioni, o costruisca quelle competenze che gli siano utili in futuro e che portino a rendimenti migliori.
Quali saranno i risvolti futuri di questo progetto?
È stato molto interessante e illuminante lavorare con i consulenti finanziari insieme ai miei colleghi Gloria Gardenal e Ugo Rigoni, che hanno condotto con me la parte empirica della ricerca. Attraverso questo progetto di ricerca abbiamo stretto legami molto forti con i nostri partner, e sono certa che questo progetto continuerà, anche perché il libro segna il punto su tutta una prima fase della ricerca, fornendo delle suggestioni che speriamo di corroborare con una seconda che, invece che sui consulenti, si concentrerà sulla clientela, permettendoci così di chiudere il circuito della fiducia.
Donne e ricerca: secondo lei, in Italia Ricercatori e Ricercatrici hanno le stesse possibilità? Il trattamento e le prospettive di carriera sono le stesse?
Secondo me, l’ambiente italiano è un ambiente in cui le donne e gli uomini spesso ricevono trattamenti diversi nel mondo del lavoro. Sono convinta che il gender gap che viene mostrato dalle statistiche, relativamente agli stipendi e alle posizioni di rilievo, sia vero e sia espressione di una cultura esistente e di modelli ormai superati da riformare. Io ho due bambini e, sicuramente, la maternità ha influenzato la mia carriera perché, al di là dei mesi di assenza, cambiano sia la tua vita, che, soprattutto, la percezione che gli altri hanno di te.
Penso che, sia nell’ambiente accademico in generale che in ambienti professionali come quello della consulenza, ci sia ancora strada da fare per quello che riguarda una vera parità di genere. Dico questo senza tristezza, né cinismo, ma prendendolo come un punto di partenza: il mondo dell’accademia secondo me è il luogo ideale dove provare a ripensare ai ruoli di uomini e donne, perché è un ambiente naturalmente flessibile e alla frontiera sia nei contenuti che nei metodi.
I numeri fanno anche i contenuti: quando le donne sono più presenti, anche in termini proporzionali, è più facile portare avanti istanze che considerino le esigenze di tutti. Per questo quando mi guardo intorno e vedo tante capaci giovani colleghe non posso che essere ottimista perché l’ambiente sta diventando sempre più equilibrato anche in termini di numeri.
Sogni nel cassetto e progetti per il futuro?
Amo il mio lavoro e faccio del mio meglio per continuare a farlo. Questo è uno dei lavori più belli del mondo perché è uno dei pochi in cui sia possibile passare il tempo ad approfondire i propri interessi. Sicuramente spero di continuare a far parte anche nei prossimi anni del gruppo che porta avanti la ricerca sperimentale in campo comportamentale di questo dipartimento e di questa Università, ambienti che trovo particolarmente dinamici e stimolanti. Al momento sono assegnista, quindi il mio futuro è ancora tutto aperto a quelle che potranno essere le possibilità di carriera che emergeranno.
A cura di Valeria Sforzini