Il Premio Nobel per le scienze economiche 2024, premio della Banca di Svezia in memoria di Alfred Nobel, è stato assegnato a Daron Acemoglu e Simon Johnson del Massachusetts Institute of Technology e James A. Robinson dell'Università di Chicago, per i loro studi sulla formazione delle istituzioni e la loro influenza sulla prosperità delle nazioni, ricerca che ha anche contribuito a dimostrare l'importanza delle istituzioni sociali nel determinare le enormi e persistenti differenze di reddito tra i vari Paesi del mondo. Abbiamo chiesto un commento a Valerio Dotti, docente di Economia politica a Ca' Foscari.
"Nonostante la crescita economica goduta da molti Paesi in via di sviluppo durante gli ultimi decenni, le differenze di reddito pro-capite fra Paesi ricchi e poveri rimangono ampie e faticano a ridursi nel tempo. Ad esempio, il 20% di nazioni più ricche detiene un reddito pro-capite circa 30 volte maggiore rispetto al 20% di nazioni più povere. In un epoca caratterizzata da rapidi e relativamente poco costosi flussi di informazioni, capitali e tecnologie da un lato all’altro del globo, questa persistenza sembrerebbe difficile da spiegare. I lavori di Acemoglu, Johnson and Robinson pubblicati dal 2000 al 2020 dimostrano l’importanza cruciale di un specifico fattore per spiegare tale persistenza: le differenze nelle istituzioni che regolano la vita sociale nei vari Paesi.
La teoria economica a cui hanno contribuito, fra gli altri, anche i vincitori del premio, ci suggerisce vari meccanismi attraverso i quali la qualità delle istituzioni può influenzare la crescita economica ed il benessere di una società. Tuttavia, il contributo più importante di Acemoglu, Johnson and Robinson consiste nell’aver fornito ampia e convincente evidenza empirica riguardo al ruolo fondamentale delle istituzioni nel generare prosperità, e alle ragioni per le quali alcuni Paesi adottano istituzioni favorevoli alla crescita e altri no.
Fornire tale evidenza è tutt’altro che immediato, in quanto non è facile identificare le cause ultime di fenomeni sociali ed economici tanto complessi. Ad esempio, le nazioni ricche e quelle povere differiscono in molti aspetti, quali cultura, norme sociali ed esperienze storiche, che potrebbero condizionare sia i loro risultati economici che le rispettive istituzioni. Inoltre, la ricchezza e la prosperità di una comunità potrebbero esse stesse ad influenzare il tipo di istituzioni che regolano la società. Pertanto, per fornire un supporto empirico convincente alle loro teorie, Acemoglu, Johnson and Robinson hanno sviluppato un approccio empirico specifico ed innovativo.
Uno degli esempi più noti di tale approccio si trova nel lavoro 'The Colonial Origins of Comparative Development: An Empirical Investigation', pubblicato nel 2001 sull’American Economic Review, nel quale Acemoglu, Johnson e Robinson utilizzano le differenze nei tassi di mortalità dei colonizzatori europei fra i vari Paesi colonizzati per quantificare l’effetto delle istituzioni sulla performance economica corrente di tali paesi. L’idea di fondo è che i colonizzatori abbiano adottato politiche differenti nelle varie colonie, che hanno portato a sviluppare istituzioni differenti. In particolare, nelle regioni in cui gli europei hanno patito alti tassi di mortalità – ad esempio a causa di malattie infettive - non hanno potuto insediarsi in numero cospicuo. Per i pochi europei residenti in un territorio ampio e ricco di risorse, una strategia predatoria si rivelava la più profittevole. Pertanto i colonizzatori di queste regioni hanno tipicamente sviluppato istituzioni economiche e politiche 'estrattive', volte solamente a sottrarre quante più risorse possibili ai territori colonizzati. Al contrario, laddove i tassi di mortalità erano bassi, gli europei si sono stanziati in grande numero rispetto alle risorse presenti, rendendo la mera estrazione di ricchezze locali non sufficiente per i colonizzatori. Questo scenario ha propiziato la nascita di istituzioni 'inclusive', che permangono ancora oggi, per favorire l’attività economica ed il benessere dei colonizzatori nel lungo periodo. Sfruttando le differenze nei tassi di mortalità dei colonizzatori, Acemoglu, Johnson e Robinson hanno isolato una fonte di variazione nelle istituzioni correnti dei Paesi colonizzati che è indipendente da altri fattori che potrebbero influenzare la crescita economica odierna di tali Paesi. Hanno poi utilizzato tale variazione per quantificare l’effetto della qualità delle istituzioni di una società sul reddito pro-capite della stessa.
Analogamente, nel lavoro 'Reversal of Fortune: Geography and Institutions in the Making of the Modern World Income Distribution', pubblicato nel 2002 sul Quarterly Journal of Economics, Acemoglu, Johnson e Robinson sfruttano una strategia empirica innovativa per documentare come le differenze nelle istituzioni coloniali del passato siano fondamentali per comprendere le grandi differenze in prosperità che osserviamo oggi fra i Paesi. A tal fine, si servono di dati relativi all’urbanizzazione e alla densità di popolazione, che utilizzano come misure di prosperità economica. Da questi dati emerge una regolarità paradossale: tra i Paesi colonizzati dagli europei durante gli ultimi 500 anni, quelli che erano relativamente ricchi nel 1500 sono oggi relativamente poveri. La spiegazione fornita per questa 'inversione nella prosperità' sta in una corrispondente 'inversione nelle istituzioni'. Nello specifico, nelle regioni inizialmente ricche e densamente popolate i colonizzatori hanno trovato risorse da estrarre e una numerosa popolazione indigena da sfruttare come manodopera a basso costo, fattore quest’ultimo che ha scoraggiato l’insediamento degli europei. Per i pochi europei la strategia più profittevole è ancora una volta quella predatoria, che introduce alla creazione di istituzioni 'estrattive' e danneggia le prospettive di crescita economica. Al contrario, nelle regioni inizialmente povere e poco popolate la carenza di manodopera locale ha causato l’insediamento di un gran numero di europei a fronte di limitate ricchezze da estrarre. Sono pertanto prevalse istituzioni 'inclusive' che hanno favorito gli investimenti produttivi e l’avvento dell’industrializzazione, generando prosperità e benessere nei secoli successivi.
Infine, come anticipato, il contributo di Acemoglu, Johnson e Robinson non si limita alla mera documentazione del nesso causale fra qualità delle istituzioni e benessere economico, ma include una altrettanto importante analisi teorica ed empirica delle cause della straordinaria persistenza nel tempo di istituzioni create per sfruttare le masse nell’immediato, ma che risultano svantaggiose per tutti nel lungo periodo. Perché le élites non riformano tali istituzioni inefficienti? Dare una risposta credibile a questa domanda può avere enormi implicazioni per le prospettive di sviluppo economico dei Paesi poveri, al di là del mero valore scientifico di un tale risultato.
Nel lavoro 'A Theory of Political Transitions', pubblicato nel 2001 sull’American Economic Review, Acemoglu e Robinson propongono un modello teorico che mostra come la persistenza di istituzioni inefficienti possa essere causata da un problema di credibilità degli impegni presi dalle varie fazioni in una situazione di conflitto politico per il potere. L’idea di fondo è che in un sistema politico illiberale e basato su istituzioni estrattive, la popolazione vessata avrà occasionalmente l’opportunità di sfruttare le debolezze del regime per chiedere una democratizzazione che si traduca in istituzioni più efficienti. Tuttavia, le classi popolari non possono garantire che, una volta ottenuta la democrazia, non penalizzeranno -ad esempio promuovendo politiche fortemente redistributive- le classi abbienti che detengono il potere. Pertanto, queste ultime hanno interesse a mantenere (o ristabilire non appena possibile) le tradizionali ed inefficienti istituzioni estrattive, con grave danno per la collettività. Poiché questo problema di credibilità è particolarmente grave in società caratterizzate da elevate diseguaglianze di reddito, lo studio in questione stabilisce un possibile nesso causale fra diseguaglianza economica e persistenza di istituzioni inefficienti, suggerendo che politiche volte alla riduzione della prima possano essere anche funzionali al superamento della seconda. Questo risultato rappresenta un contributo innovativo al tradizionale dibattito scientifico riguardo alla relazione fra diseguaglianze di reddito e crescita economica.
Gli studi empirici di Acemoglu, Johnson and Robinson hanno contribuito in modo determinante a dimostrare l’esistenza di una relazione causale fra qualità delle istituzioni e benessere economico nel lungo periodo. Nello specifico, hanno mostrato come istituzioni illiberali create per sfruttare le masse tendano a inibire la crescita, mentre quelle basate sulla libertà economica e lo stato di diritto la promuovano. Al contempo, i loro studi teorici hanno fatto luce sulle possibili cause della sorprendente persistenza delle istituzioni estrattive a dispetto della loro inefficienza, e sulle condizioni che ne favoriscono il superamento in favore di istituzioni più partecipative ed efficienti. Nel complesso, il loro lavoro ha avuto un’influenza decisiva nel progresso della ricerca sia in Economia che nelle Scienze Politiche, e ha altresì fornito un contributo decisivo alla promozione della democrazia e dell’inclusività delle istituzioni quale mezzo per favorire il benessere e lo sviluppo economico."