In un discorso tenuto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2020, il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato che la Cina avrebbe raggiunto il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e la neutralità del carbonio entro il 2060. Questa promessa svolta sostenibile ha richiesto e richiederà una serie di investimenti considerevoli da parte della Repubblica Popolare, portando quindi ad un’espansione del settore della “finanza sostenibile”.
Con il suo progetto CHINGREEN, la Marie Curie Fellow Giulia Dal Maso si propone di studiare le operazioni della finanza verde cinese lungo la Nuova Via della Seta (BRI-Belt & Road Initiative), esaminando la crescente espansione di tutto il complesso della “green finance” cinese e come essa influisce nel processo di finanziarizzazione della natura.
Nel primo biennio, Dal Maso opererà presso l’Asia Research Institute, della National University of Singapore e nel terzo anno presso il Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea di Ca' Foscari, sotto la supervisione del prof. Daniele Brombal.
Cosa si intende per finanziarizzazione della natura?
La finanziarizzazione, argomento di cui mi occupo da anni, è un processo che non solo si riferisce alla trasformazione della sfera economica in senso finanziario, ma indica anche la penetrazione di logiche finanziarie in campi oltre la sfera economica, come la società, il quotidiano, l’educazione, la salute, l’ambiente.
Attraverso il suo potere di astrazione, il capitale finanziario è riuscito a comandare e governare aspetti sociali e ambientali molto complessi, ed allo stesso li ha depoliticizzati. Così facendo rischia di svuotarli dal loro significato e valore politico, inglobandoli in una “gestione” del mercato che opera prevalentemente attraverso la proiezione di rischio ed incertezza futura. Questo, di fatto, è una violenza.
Negli ultimi anni si è assistito a un forte sviluppo del settore della finanza verde come risposta del mercato all’emergenza climatica. Come viene applicata la “green finance” in Cina?
Paradossalmente, ci si trova di fronte ad una situazione in cui si delega al mercato la ricerca della soluzione per affrontare le crisi provocate dal capitalismo stesso, sia a livello sociale che ambientale. In particolare, per rispondere all’emergenza climatica, il settore finanziario – di fatto ampiamente aiutato da istituzioni finanziarie pubbliche come banche centrali e governi – sta producendo una pletora di prodotti che vanno dal mercato del carbonio, ai bond verdi, a meccanismi di cartolarizzazione verde. Si rendono “verdi” meccanismi e strumenti finanziari che hanno formalmente (e sottolineo formalmente) come fine quello di diminuire le emissioni di CO2 o preservare la biodiversità attraverso il finanziamento di infrastrutture rinnovabili o la protezione di foreste. Ma ci sono anche strumenti come i "catastrophe bonds", che guadagnano profitti sulla base di scommesse su disastri ambientali e catastrofi naturali in un determinato luogo.
La Cina è diventata un grande attore nello scenario della finanza verde globale ed è uno dei paesi che ha emesso più bond verdi. Tuttavia, visto che non si sono ancora creati degli standard globali e un linguaggio comune in materia di finanza verde, la gestione e l’implementazione della stessa meritano un’attenzione particolare. Va interrogata la logica della finanza verde, ma con occhio critico anche quella che è la genealogia della ‘green finance’ Cinese.
Tanto per cominciare, in Cina non c’è mai stata una dicotomia stato e mercato, e quindi il ruolo della finanza e dell’assetto finanziario in generale (si pensi alle banche) è sempre stato guidato dallo stato. Questo ovviamente riguarda anche l’implementazione della finanza verde.
Vale la pena interrogarsi anche sull’origine e il significato che hanno in Cina concetti come “ambiente” “sostenibilità” o “verde” dal punto di vista sia storico che culturale. Per esempio, il concetto di ambiente in Cina presenta una forte valenza antropocentrica. Ma non solo, fino a pochi mesi fa la tassonomia cinese, a differenza di quella europea, annoverava negli investimenti verdi anche alcune attività ibride o a leggera produzione di carbonio, arrivando a parlare di clean coal, carbone “pulito.” Nel mio progetto studierò appunto come il concetto di finanza “verde” o “investimento sostenibile” in senso ampio si traduce in Cina e come poi Pechino cerchi di esportare la sua versione di finanza verde lungo la via della seta.
La Cina ha messo in atto una serie di operazioni dedicate alla transizione ecologica in diversi territori della Via della Seta. Quali zone verranno analizzate nello studio e con quale metodologia?
La mia ricerca inizierà a Singapore, dove svolgerò interviste qualitative con attori del mercato finanziario per capire come gli strumenti finanziari cinesi verdi vengono creati ed emessi nel mercato finanziario e come circolano a livello globale per creare valore. Singapore, specialmente ora vista la situazione ad Hong Kong, è uno dei principali centri finanziari al mondo e centro d’intermediazione finanziaria tra la Cina e il resto del mondo.
La chiave analitica e la novità della mia ricerca sta nel combinare la sfera astratta, come appunto quella relativa alla finanza e alla creazione del valore, con aspetti materiali e pratici. Questo significa andare a vedere qual è l’impatto materiale che hanno le infrastrutture che si promettono di finanziare questi strumenti. Non siamo infatti abituati a studiare gli strumenti finanziari attraverso una ricerca qualitativa e etnografica, spesso questi rimangono confinati nel campo dell’economia che di rado si interroga sui loro effetti.
Mi recherò quindi nel Sudest Asiatico e in Asia Centrale, due delle zone a più alta biodiversità lungo la BRI, per accertare come le infrastrutture e i prodotti finanziari definiti e capitalizzati come verdi “atterrano” sul tessuto sociale e le popolazioni locale. Una delle principali domande della mia ricerca è chiedersi se le infrastrutture definite come verdi o sostenibili dall’alto della sfera finanziaria corrispondono poi all’idea di verde e sostenibile a livello locale.
Che effetti può produrre a livello globale questa promessa svolta green della Repubblica Popolare?
Attualmente la Cina rimane uno dei più grandi produttori mondiali di CO2. Se il Paese riuscisse a ridurre sostanzialmente le sue attività a intensa produzione di carbonio potrebbe avere un ruolo importante anche per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi sul clima.
Per quanto riguarda gli investimenti “verdi” lungo la Via della Seta, sarà interessante vedere come la finanza verde e quindi i bond o i prestiti “verdi” delle banche cinesi abbiano un ruolo o meno del processo di internazionalizzazione del Renminbi. Questo al momento è un tema particolarmente caldo vista la congiuntura geopolitica e visto che si parla di crescente de-dollarizzazione. Vedremo inoltre come la Cina sceglierà di emettere i suoi prestiti, se in Renminbi o in dollari, e come vorrà essere ripagata (e se vorrà essere ripagata). Molto spesso, infatti, questi strumenti verdi sono anche usati come collaterali, garanzie sul debito, e quindi il loro utilizzo non ha nulla a che fare con le loro presunte caratteristiche “verdi.”
This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation
programme under the Marie Sklodowska-Curie grant agreement No 101024555