Con la sentenza Dobbs la Corte Suprema degli Stati Uniti, con sei voti a favore, tre contro, il 24 giugno 2022 ha operato il temuto overruling della precedente sentenza Roe v. Wade del 1973, la quale garantiva l’accesso all’aborto quale diritto garantito costituzionalmente.
Ne abbiamo parlato con Sara De Vido, docente di diritto internazionale ed esperta in diritti delle donne, autrice di un volume sul diritto alla salute riproduttiva, che commenta: “ciò che colpisce amaramente nella sentenza Dobbs è la totale assenza di argomentazione sui diritti delle donne; diritti che si perdono tra le pieghe del ragionamento giuridico, tra citazioni di autori (uomini) che scrissero trattati nel XIII° secolo contro l'aborto. Certo i tre giudici dissenzienti hanno scritto un'eccellente opinione, ricordando il diritto all'autodeterminazione delle donne, ma la maggioranza schiacciante ha dato via libera a leggi sempre più restrittive degli Stati federati”.
Professoressa, cosa comporta la ‘sentenza Dobbs’?
In Dobbs, State Health Officer of the Mississippi Department of Health et al. v. Jackson Women’s Health Organization et al., la Corte Suprema, che al momento presenta una composizione particolarmente conservatrice, ha negato che la Costituzione garantisca il diritto delle donne di avere accesso all'interruzione di gravidanza, un diritto che è già pericolosamente osteggiato in molti Stati federati. L’essenza della sentenza la si trova in queste parole dei giudici di maggioranza: “l’aborto presenta una profonda questione morale. La Costituzione non proibisce i cittadini di ogni Stato di regolare o proibire l’aborto. Roe e Casey si sono arrogati questa autorità. La Corte revoca queste decisioni e restituisce l’autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”.
L’America ha quindi negato l'autodeterminazione riproduttiva delle donne. Un passo indietro in materia di diritti umani?
Questa sentenza incide sul diritto all'autodeterminazione delle donne in modo significativo. Ricordiamo che dal punto di vista del diritto internazionale dei diritti umani, non è possibile ricostruire un diritto all'aborto come diritto fondamentale, ma decisioni di corti regionali e organismi delle Nazioni unite hanno ricostruito che il diniego di aborto, in particolare la criminalizzazione dell'aborto e ogni misura restrittiva all'accesso che causi angoscia e intenso stigma, è una violazione dei diritti della donna, incluso il divieto di trattamento inumano o degradante.
Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel General Comment n. 36 sul diritto alla vita, ricostruisce chiaramente ‘un dovere per gli Stati di assicurare che le donne e le ragazze non debbano sottoporsi ad aborti non sicuri’.
È chiaro che sia necessario operare un bilanciamento, tra diritto all'autodeterminazione della donne e potenziale interesse del feto alla vita, ma questo bilanciamento non deve dimenticare che il diniego all'aborto, soprattutto un divieto assoluto, causa gravissime violazioni dei diritti della donna, incluso il suo diritto alla vita, un diritto che viene sempre dimenticato, perché persistono gli stereotipi sulla donna quale oggetto riproduttivo.
Quali ricadute sulla società americana e in particolare sulla vita delle donne?
Molti stati federati hanno adottato già leggi estremamente restrittive, ed altri seguiranno. L’aborto a fine giugno era gravemente limitato o proibito in 9 stati - su 50 - e il numero sembra possa aumentare fino ad almeno 26 stati americani. L’American Medical Association ha parlato di violazione dei diritti della paziente a servizi di salute riproduttiva e l’American Medical Colleges ha sostenuto che la decisione metterà alla fine in pericolo la vita delle donne. In Texas abbiamo già un esempio di quello che succederà in molti stati: qualche giorno fa, la Corte suprema del Texas ha consentito l’applicazione di una legge del 1925 che vietava l’aborto punendo coloro che lo eseguivano (e lo eseguiranno) con il carcere. Questa legge era rimasta sulla carta, ma bloccata dopo Roe da una corte di prima istanza. Le interruzioni di gravidanza continueranno e le donne saranno costrette a spostarsi in Stati vicini, ma questo determinerà delle forti discriminazioni tra chi ha i mezzi economici per farlo e chi no. Una Jane Doe che vive in una condizione economica difficile, con un lavoro precario che non può lasciare neanche per un giorno, con altri figli da accudire, difficilmente potrebbe sostenere la spesa per un viaggio verso un altro Stato americano.
Non solo, gli Stati potrebbero applicare le proprie leggi anche ad aborti che non avvengono all'interno dei propri confini. Così, ad esempio, un atto del Missouri applica le restrizioni all’accesso all’aborto anche al di fuori dei confini dello stato, quando l’aborto è praticato su una cittadina del Missouri o quando “l’unborn child” è residente in Missouri al momento del concepimento o l’individuo ha avuto un rapporto sessuale in Missouri che “può” aver condotto alla gravidanza. I confini degli Stati diventeranno barriere e creeranno decine di ricorsi interstatali.
Ricordiamo che in paesi dove la normativa è estremamente restrittiva, come El Salvador, le donne rischiano anche trent'anni di carcere, anche in casi di aborto spontaneo.
Le nuove tecnologie possono avere un ruolo in questo scenario?
La tecnologia qui avrà un doppio effetto. Da un lato il rischio è che si "spiino" i comportamenti delle donne per individuare e denunciare coloro che cercano di avere un aborto. Purtroppo non sono fantasie da romanzo distopico, sta già accadendo. Alcune app potrebbero essere usate in tal senso.
Dall'altro la tecnologia, in particolare la telemedicina, dà una speranza alle donne. L’aborto farmacologico – praticabile solo nelle prime settimane di gestazione - oggi è più semplice negli Stati Uniti, grazie alla decisione dell'autorità sanitaria federale che ha rimosso a dicembre 2021 la necessità di ritirare il mifepristone in clinica di persona. Il ruolo della telemedicina è fondamentale: una donna può incontrare il provider online e poi ricevere per posta il farmaco. La telemedicina potrà bypassare alcuni ma non tutti i divieti di cui dicevamo prima. Esempio: 19 stati hanno delle leggi che proibiscono la telemedicina per i casi di aborto. Ovviamente esistono sistemi per circuire il divieto, ad esempio, con VPN o falsi indirizzi IP. Sono attive associazioni che forniscono questo tipo di servizi, anche europee, che spediscono il farmaco e spiegano alle donne come fare. Tra queste vi è Aid Access, una ONG europea, fondata da una medica olandese, che aveva già fondato anni fa Women on Waves.
Dobbiamo aspettarci delle ricadute anche in Europa?
In Europa è chiaro che l'"esempio" americano potrebbe indurre alcuni Stati a procedere allo stesso modo, adottando leggi sempre più rigide sull’interruzione di gravidanza. Abbiamo già visto le restrizioni operate in Polonia lo scorso anno, che si aggiungono a quelle già esistenti in Stati come il Liechtenstein e Malta. Nell'Unione europea, vi è però un grande punto di forza ed è quella libertà di circolazione delle persone che consente di spostarsi con grande facilità da uno Stato membro ad un altro. Molte donne polacche, godendo di questa libertà, si sono rivolte all'Olanda per avere accesso all'aborto. Vi è poi un ostacolo in Europa (anche in Italia), al di là delle leggi restrittive di alcuni paesi, ovvero l’accesso di fatto ai servizi di salute riproduttiva, incluso l’aborto, che è legale nei termini previsti dalla legge ma limitato nella pratica di tutti i giorni.