Qualità, sicurezza e sostenibilità dei processi produttivi dell’industria agroalimentare incontrano la “chimica green” in un processo di economia circolare che mira a recuperare e dare nuovo valore agli scarti. In quest’ottica, un gruppo di ricerca cafoscarino composto dai chimici Valentina Beghetto, Stefano Peganelli, Flavio Rizzolio e dagli assegnisti Roberto Sole e Chiara Buranello del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi (DSMN), e dai proff. Antonio Marcomini ed Elena Semenzin insieme agli assegnisti Mattia Damiani e Tiziana Pastorello del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica (DAIS) ha preso parte al progetto “3S_4H Cibo intelligente per un Futuro Sostenibile”, co-finanziato dai fondi europei POR-Fesr (Programma Operativo Regionali - Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), su sostenibilità e tracciabilità dei processi produttivi, sicurezza alimentare e salute dei consumatori
Il futuro della produzione del cibo può essere più sostenibile e “zero waste” grazie all’aiuto della chimica verde o “green”, ovvero quel filone di ricerca che, in ottica ecologica, tenta di costruire percorsi più sostenibili per l’industria chimica. Questo può avvenire, ad esempio, tramite il reimpiego e la valorizzazione di materiali di scarto: i residui naturali, infatti, possono essere riutilizzati all’interno del ciclo di lavorazione, sostituendo prodotti di sintesi. Si tratta di una soluzione che non solo riduce gli sprechi, ma che ha anche di mira la qualità del prodotto finale e la salute del consumatore. La riduzione degli impatti ambientali (cambiamento climatico, acidificazione, tossicità per la salute dell’uomo e dell’ambiente, ecc.) viene verificata mediante l’impiego di strumenti di valutazione della sostenibilità ambientale quali l’Analisi del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment, LCA).
Il progetto 3S_4H, che è iniziato nel 2017 e si è concluso a luglio 2021, si è svolto nell’ambito della rete innovativa regionale (RIR) RibesNest - Rete innovativa per l'ecosistema salute e l'alimentazione, che si occupa di migliorare la qualità dell’alimentazione per la salute dei consumatori attraverso l’individuazione di soluzioni innovative e l’applicazione di nuove tecnologie. La rete coinvolge 46 aziende e 9 istituzioni di ricerca.
L’obiettivo principale del progetto è consistito nel recupero di materiale di scarto lungo la filiera di produzione agroalimentare, per migliorare la sostenibilità del processo industriale e la qualità dei prodotti. Insieme all’Università Ca’ Foscari Venezia, all’Università di Padova, di Verona e di Trieste, hanno collaborato 14 aziende venete in ambito cerealicolo, lattiero-caseario, vegetale e delle piante officinali, tra cui Cereal Docks (che produce mangimi per animali), Agripharma (che produce oli essenziali), ILSA SpA (che produce concimi naturali) e l’Industria casearia Belladelli. Il gruppo di ricerca di Ca’ Foscari, si è occupato di identificare e valutare alcuni scarti agroalimentari e individuare per essi diversi tipi di valorizzazione.
Ad esempio, è stato condotto uno studio LCA nell’ambito del settore lattiero-caseario: “Lo studio LCA ha riguardato un’analisi comparativa tra due impianti industriali adibiti al trattamento del siero di latte per ottenere proteine ad alto valore aggiunto, indicate con l’acronimo WPC – Whey Protein Concentrate” spiega Elena Semenzin, prof.ssa di chimica dell’ambiente. “L’LCA è stata svolta “gate to gate”, fissando i confini del sistema dal momento in cui il siero di latte viene consegnato allo stabilimento per il trattamento fino a quando il prodotto finito viene stoccato. I risultati di questo studio preliminare hanno messo in evidenza come il processo innovativo realizzato dall’azienda partner presenti delle prestazioni ambientali migliori rispetto al processo tradizionale considerato”.
Inoltre, in particolare per quanto riguarda i prodotti cerealicoli: “Il nostro compito è stato quello di identificare e caratterizzare, attraverso estrazioni e analisi chimiche, gli scarti della produzione agroalimentare per comprendere quali sostanze nutritive al loro interno, una volta trattate opportunamente, potessero essere reinnestate in altri alimenti o in prodotti cosmetici”. - spiega Valentina Beghetto, ricercatrice in chimica industriale. “Ad esempio, gli scarti lignocellulosici ottenuti dalla lavorazione di prodotti cerealicoli come il mangime per animali, le farine, il riso, la soia o anche del timo sono ricchi di sostanze nutritive che possono essere recuperate mediante l’utilizzo di solventi ‘green’, tra cui, ad esempio, l’anidride carbonica supercritica, e valorizzati in nuovi processi produttivi dell'industria alimentare, cosmetica o farmaceutica. Gli scarti della lavorazione della soia, ad esempio, sono ricchi di sostanze antiossidanti naturali che possono essere utilizzate per migliorare la qualità degli alimenti in modo naturale, sostituendo prodotti di sintesi più dannosi per la salute. I materiali estratti vengono poi testati per verificare quali benefici possono apportare al nostro benessere”.
Il processo è illustrato nell'infografica qui sotto