E' stato presentato mercoledì 10 giugno il Rapporto “Nidi e servizi educativi per l’infanzia, stato dell’arte, criticità e sviluppi del sistema educativo integrato”, frutto dell’accordo di collaborazione triennale stipulato a fine 2018 tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche della Famiglia - l’Istat e il Dipartimento di Economia di Ca' Foscari.
L'incontro, che si è svolto via web, ha visto gli interventi Elena Bonetti, Ministra per le pari opportunità e la famiglia e Presidente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, di Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat, di Ilaria Antonini, Capo Dipartimento per le Politiche della Famiglia e del Rettore Michele Bugliesi. Ha coordinato il webinar Stefano Campostrini, Dipartimento di Economia dell’Università Ca’Foscari e responsabile scientifico del progetto.
"L'elaborazione di un piano di sviluppo per i servizi educativi della prima infanzia rappresenta un tema di enorme rilievo per il Paese, cui l’Università Ca' Foscari partecipa con la piena consapevolezza del ruolo sempre più attivo che l'università deve saper assumere a favore di un'azione in cui coesistano l'eccellenza scientifica e la capacità di incidere con efficacia nel contesto sociale e a sostegno delle scelte dei decisori politici- aggiunge il Rettore, Michele Bugliesi - L'accordo inter-istituzionale che ci vede impegnati è uno degli elementi qualificanti di un percorso intrapreso da tempo e nel quale intendiamo investire con impegno e convinzione. Il mio ringraziamento, a nome di Ca' Foscari, va a tutti gli interpreti dell'eccellente lavoro di cui dà conto il Rapporto del primo anno di attività."
Il Rapporto propone per la prima volta una lettura integrata di diverse fonti informative di natura amministrativa e statistica per restituire un quadro conoscitivo-analitico, riferito all'anno scolastico 2017- 2018, sul tema dei servizi per la prima infanzia e, più in generale, sul sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni.
"La ricchezza dei dati raccolti da ISTAT - sottolinea Stefano Campostrini, responsabile scientifico del team dell'Università Ca' Foscari Venezia - pone immediatamente quesiti rilevanti e suggerisce numerose domande che il composito team di ricerca di Ca' Foscari e ISTAT ha solo iniziato ad esaminare. Ad esempio, il livello medio di copertura dei servizi educativi per l'infanzia a livello italiano, ben al di sotto sia agli obiettivi europei e alla performance di numerosi Paesi (soprattutto del Nord Europa), evidenzia inequivocabilmente la necessità di investimenti ed attenzioni. Ma, le diversità riscontrate tra regioni, ed anche all'interno delle regioni, vanno studiate per sostenere politiche nazionali e locali ben mirate".
ALCUNI DATI IN SINTESI
Le analisi mettono in luce una carenza strutturale nella disponibilità di servizi educativi per la prima infanzia rispetto al potenziale bacino di utenza (bambini di età inferiore a 3 anni) e una distribuzione profondamente disomogenea sul territorio nazionale.
I posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi pubblici e privati corrispondono mediamente al 12,3% del bacino potenziale di utenza al Sud e al 13,5% di quello delle Isole, contro una media nazionale del 24,7% (anno scolastico 2017/2018). Una dotazione ben al di sotto dell’obiettivo del 33% fissato per il 2010 dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002 per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Il Nord-est e il Centro Italia hanno tassi di copertura decisamente più alti, 32,5% e 32,4% rispettivamente, segue il Nord-ovest con il 29,2%.
Le strutture per la prima infanzia risultano concentrate nei territori più sviluppati dal punto di vista economico e nei Comuni più grandi, mentre le aree più povere e i piccoli centri soffrono spesso di una carenza di servizi. Ad esempio, l’insieme dei comuni capoluogo di provincia ha una dotazione media di 32,8 posti per 100 bambini di 0-2 anni, valore nettamente superiore rispetto a quello dell’insieme dei comuni non capoluogo (21,4%).
È pubblica il 51% della dotazione complessiva di posti per i servizi rivolti alla prima infanzia. I comuni spendono circa 1 miliardo e 461 milioni di euro l’anno per i nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia, di cui il 19,6% rimborsato dalle famiglie sotto forma di compartecipazione degli utenti.
Al Centro-nord la spesa media dei Comuni per un bambino residente passa da poco meno di 2.000 euro l’anno nei comuni altamente urbanizzati a poco meno di 700 euro nei comuni con grado di urbanizzazione medio e basso. Nel Mezzogiorno si ha una media di 389 euro per bambino nei Comuni più urbanizzati e di circa 300 euro l’anno nei Comuni a media e bassa urbanizzazione.
Sulla possibilità di fruizione dei servizi educativi per la prima infanzia pesa anche un vincolo di natura economica, poiché il costo dei servizi non è esiguo e può essere non sostenibile per le famiglie a basso reddito e a rischio di povertà. La spesa media a carico delle famiglie che si avvalgono degli asili nido pubblici o privati è di circa 2.000 euro l’anno.
I costi degli asili nido contribuiscono a selezionare i bambini che accedono al servizio dal punto di vista del reddito familiare. Infatti, il reddito netto delle famiglie che usufruiscono del nido risulta mediamente più alto di quello delle famiglie con figli di età compresa fra 0 e 2 anni che non frequentano il nido: 40.092 euro annui contro 34.572 euro.
Le percentuali di utilizzo del nido risultano decisamente sotto la media in corrispondenza delle principali condizioni di disagio, come la grave deprivazione materiale (13,7%), il rischio di povertà (14,2%) e la bassa intensità lavorativa (15,5%) mentre nelle famiglie che non presentano alcuna condizione di disagio la quota è del 26,2%.
Altri fattori tendono a ridurre l’utilizzo dei servizi educativi per la prima infanzia tra le famiglie con minori disponibilità economiche. Il ricorso al nido d’infanzia riguarda ad esempio i bimbi di genitori che lavorano in sette casi su 10 nel triennio 2017-2019, anche per i criteri di priorità definiti dai Comuni. Criteri spesso orientati soprattutto alla funzione di conciliazione: danno la precedenza a coppie in cui entrambi i genitori lavorano escludendo presumibilmente nuclei familiari che, invece, potrebbero trarne grandi benefici anche per l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro.
L’introduzione dei “bonus nido” ha dato un impulso positivo allo sviluppo del sistema, contribuendo probabilmente all’aumento della domanda e dei tassi di utilizzo dei servizi registrato negli anni più recenti. Un impulso ulteriore da questo punto di vista è atteso, anche se non ancora osservabile, dai successivi potenziamenti di tale misura che elevano l’importo erogabile sulla base della situazione economica delle famiglie.
Un altro aspetto è quello degli anticipi nella scuola d’infanzia: una parte non esigua della domanda si rivolge a forme educative non appropriate alla delicata fascia di età dei bambini sotto i 3 anni. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle regioni meridionali, in stretta correlazione con la scarsa diffusione di asili nido e altri servizi specifici per la prima infanzia.
La recente emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 ha sollevato alcune preoccupazioni, principalmente per le possibili ripercussioni sulla gestione dei nidi da parte dei Comuni, i quali già risentono delle mancate entrate e dei rimborsi dovuti alle famiglie per le rette afferenti al periodo di chiusura delle strutture educative. Analoghe preoccupazioni riguardano il settore privato, anche per le inevitabili ripercussioni economiche che la crisi avrà sulle famiglie, riducendo la loro capacità di spesa e condizionando la scelta di frequenza dei bambini ai servizi educativi per l’infanzia.