Pubblicato il Report sui servizi educativi per l'infanzia

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Foto di congerdesign da Pixabay

Il 20 novembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale per l’infanzia, istituita dall’Unicef. Proprio in concomitanza con questa data non casuale esce il report annuale sui servizi educativi per l’infanzia risultato dell’Accordo di collaborazione tra il Dipartimento per le Politiche della Famiglia – Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Istat e l’Università Ca’ Foscari Venezia.

Il documento offre una panoramica completa delle strutture dedicate ai bambini sotto i tre anni a livello nazionale, delineando le principali sfide che il settore si trova ad affrontare. 

L'offerta dei servizi educativi per la fascia 0-3 anni rappresenta un supporto fondamentale di fronte alla crisi della natalità e alle necessità di conciliazione vita-lavoro. In Veneto, come nel resto del paese, la natalità continua a calare in modo preoccupante: secondo gli ultimi dati Istat, nel 2023 sono nati 30.409 bambini, un calo del 9,4% rispetto al 2019 (prima della pandemia) e del 37,4% rispetto al 2008, quando i nuovi nati in Veneto erano 48.806, un numero che oggi appare lontanissimo.

Un aspetto positivo emerso dai dati recenti è che il Veneto ha finalmente raggiunto il livello minimo di copertura dei posti autorizzati nei servizi educativi per l’infanzia, fissato dall'Unione Europea a 33 posti ogni 100 bambini già nel 2002 (obiettivo raggiunto da tempo in molti paesi tanto che l’obiettivo 2030 era fissato a 45 posti ogni 100 bambini e si sta proponendo di alzarlo a 50). Tuttavia fanno notare i ricercatori, l’incremento percentuale dei posti negli ultimi anni in Veneto e in Italia è stato più frutto del calo della popolazione infantile, dovuto alla denatalità, che di un reale aumento dell'offerta di asili nido. Resta ancora lontano il target europeo per il 2030, un obiettivo finora raggiunto in Italia solo dalla Regione Umbria. Il Veneto con il 33,8 % di copertura si colloca al decimo posto tra le regioni italiane, superato dalle principali regioni del Centro e da alcune del Nord. L’analisi provinciale riporta tuttavia alcune significative differenze: il tasso di copertura più elevato risulta essere a Rovigo (41%), segue Padova (37,5%), Verona (36,2%); mentre sono sotto all’obiettivo europeo ancora Vicenza (32,2%), Treviso (31,9%), Venezia (30,1%) e ultima Belluno con 27,2%. L'offerta regionale è caratterizzata da una prevalenza di servizi a titolarità privata rispetto a quelli pubblici: ogni cento bambini residenti in Veneto, 21,5 trova posto in un servizio a titolarità privata e solo il 12,3 in un servizio a titolarità pubblica.  Servizi a titolarità privata risultano prevalenti in tutte le province venete ma in particolar modo nella provincia di Treviso, mentre nella provincia di Venezia e Rovigo l’offerta tra pubblico e privato risulta più in equilibrio.

Tabella 1 Posti autorizzati ogni 100 bambini di 0-2 anni, Confronto province venete, Fonte: Istat, dati al 31/12/2022

Lo studio fa notare che gli investimenti del PNRR contribuiranno notevolmente a rafforzare l’offerta pubblica per la fascia 0-3 anni anche in Veneto nei prossimi anni. Secondo i dati più recenti, sono 128 i progetti per il Veneto inseriti nella banca dati di Open Italia, sei dei quali sono già stati completati, mentre gli altri sono in fase di esecuzione dei lavori e si prevede verranno conclusi tra il 2025 e il 2026. Anche relativamente alla realizzazione dei progetti PNRR alcune differenze provinciali risultano evidenti, appena 6 progetti verranno realizzati nella provincia di Belluno, 7 a Rovigo e 14 a Venezia. Il maggior numero dei progetti verrà realizzato nella provincia di Verona (29), segue Vicenza (27), Padova (25) e Treviso (20). La distruzione dei finanziamenti potrebbe pertanto ulteriormente approfondire le attuali differenze di offerta sul territorio regionale.

Gli autori del report sottolineano la necessità di garantire la sostenibilità di questi servizi anche dopo la realizzazione dei lavori, che offrendo nuovi posti comporteranno notevoli incrementi nei costi di gestione a carico dei bilanci comunali e/o delle famiglie. Per rendere sostenibile l’incremento di offerta si dovrà anche assicurare un’adeguata disponibilità di personale educativo. Lo studio stima infatti che, per rispondere alle nuove esigenze create dal PNRR, saranno necessari a livello nazionale ulteriori 24.000 educatori a tempo pieno, pari a circa uno ogni 5,4 nuovi posti autorizzati. Per quanto riguarda il personale, i dati indicano che il lavoro nei nidi e nelle sezioni primavera è quasi interamente femminile (oltre il 99% di educatrici), con un’età media inferiore rispetto alla forza lavoro italiana (oltre il 50% ha meno di 40 anni) e un’alta percentuale di contratti a tempo indeterminato (68,9%).

Quando si passa dall’analisi dell’offerta di posti alle caratteristiche dei bambini effettivamente presenti in nidi e sezioni primavera, dallo studio emergono significative disuguaglianze socio-economiche nell’accesso ai servizi, che si sommano a quelle territoriali. Per le famiglie con redditi più alti, l’Italia ha già raggiunto l’obiettivo europeo del 45% di frequenza, previsto per il 2030. Dall’altro lato, per le famiglie economicamente svantaggiate, quelle in cui un genitore è disoccupato e per i bambini con cittadinanza straniera, i tassi di frequenza sono molto più bassi, specialmente in situazioni di povertà o esclusione sociale. La natura giuridica dell’offerta potrebbe influire sui livelli di accessibilità dei servizi. Lo studio nota infatti che i bambini di cittadinanza straniera riportano una scarsa partecipazione al sistema educativo per la prima infanzia, anche se nelle strutture pubbliche si registra una presenza di iscritti stranieri decisamente maggiore rispetto ai servizi privati. La maggiore o minor diffusione dell’offerta pubblica sui territori di residenza, pertanto, contribuisce a diversificare i livelli di accessibilità,

Approfondendo ulteriormente il dato sulle disuguaglianze sociali nell’accesso ai servizi, l’analisi dei ricercatori cafoscarini e di Istat evidenzia che queste potrebbero essere influenzate anche dalle priorità stabilite dai Comuni nelle graduatorie di accesso. I criteri più diffusi per la selezione delle domande privilegiano infatti la condizione lavorativa dei genitori, favorendo l’accesso ai bambini di nuclei familiari in cui entrambi i genitori sono occupati. Altre condizioni, come il disagio economico, risultano invece meno rilevanti e applicate da una minoranza di comuni. Prevale dunque una visione dei servizi educativi per l’infanzia come strumenti di conciliazione vita-lavoro, incentrati sulla cura dei bambini in assenza dei genitori, mettendo così in secondo piano la funzione educativa di questi servizi, ormai riconosciuta da tempo e che vorrebbe invece maggiore priorità per quei bambini cresciuti in contesti famigliari difficili, per ridurne le disuguaglianze di partenza all’ingresso nelle scuole dell’obbligo.

Un capitolo specifico è dedicato alla domanda effettiva dei servizi educativi da parte delle famiglie e alla preoccupazione diffusa che il calo delle nascite possa portare a un sottoutilizzo delle strutture finanziate dal PNRR. Ancora una volta i dati raccolti e rielaborati nella recente pubblicazione aiutano ad orientare le valutazioni e, almeno per il momento, sgombrare il campo da questi timori. Nonostante la diminuzione del numero complessivo di bambini, la pressione delle famiglie per accedere a questi servizi è infatti in forte aumento. In Veneto, ad esempio, il 51% delle 148 strutture intervistate nella fase di raccolta dei dati ha dichiarato di non poter accogliere tutte le richieste di iscrizione a causa del limite di posti, e il 55% dei referenti dei servizi ha registrato un aumento delle iscrizioni per l’anno educativo 2023/2024 rispetto all'anno precedente.

In una società che si trasforma rapidamente e che deve cercare oggi di porre le condizioni per una difficile inversione di tendenza dei tassi di fecondità nel paese, i ricercatori coordinati dal Professor Stefano Campostrini, Direttore del Centro cafoscarino Governance & Social Innovation, riportano tra le direttrici di sviluppo del settore educativo per la prima infanzia la necessità di una sua maturazione complessiva. Questo settore appare oggi infatti oggetto di una fortissima variabilità territoriale non solo nello sviluppo di un’offerta congrua, ma anche nelle scelte di gestione, nelle modalità di formulazione delle graduatorie e nella definizione delle rette, elementi da cui scaturisce un’ampia gamma di livelli di accessibilità. Una delle priorità più rilevanti indicate nelle conclusioni del Rapporto per questo è la necessità di formulare politiche multilivello che riguardino sia il sostegno ai Comuni e agli Ambiti Territoriali Sociali (che hanno il compito di coordinare l’offerta pubblica sul territorio), sia piani regionali e nazionali di sviluppo del sistema, al fine di garantire qualità e accessibilità uniformi su tutto il territorio nazionale e ridurre le disuguaglianze.

Federica Ferrarin