Donald Trump ha vinto e sarà il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Ha battuto di milioni di voti la candidata Democratica e vicepresidente uscente Kamala Harris. I Repubblicani hanno la maggioranza anche al Senato, e tra i nomi che faranno parte della futura amministrazione circola già quello di Elon Musk, anche se non è chiaro in quale ruolo. Ma cosa ha convinto gli elettori e (in numero minore) le elettrici degli Stati Uniti a votare un ex Presidente, due volte sotto impeachment e con migliaia di procedimenti giudiziari alle spalle? Ne abbiamo parlato con Luiza Bialasiewicz, docente di Geografia economica e politica al dipartimento di Economia di Ca’ Foscari, cittadina americana dal curriculum accademico internazionale ed ex direttrice del Centro per gli Studi Europei dell’Università di Amsterdam.
Inflazione, immigrazione, campagna elettorale tardiva o inefficace. Cosa ha penalizzato di più Kamala Harris nella sua corsa alla presidenza USA e cosa invece ha favorito Donald Trump?
Credo che dobbiamo chiederci piuttosto perché gli appelli di Harris alla questione dei diritti riproduttivi, e più ampiamente alla questione della protezione delle libertà fondamentali e della democrazia, che verrebbero minate da una amministrazione Trump non ha avuto presa con l’elettorato. Molte delle ultime previsioni si focalizzavano molto sul ruolo delle donne che avrebbero portato Harris alla Casa Bianca. Non è stato così. Anche in stati dove il diritto all’aborto è già compromesso. O meglio, non abbastanza.
Piuttosto, la vera questione era quella economica: chiaramente per la maggior parte degli elettori la questione della precarietà economica era molto più importante. Lungo la ‘campaign trail’, Trump ripeteva che gli Americani non possono permettersi più il bacon, la pancetta, come emblema del declino della società americana ‘autentica’. Ma guardando l’inflazione galoppante, molti Americani non si possono più permettere nemmeno le uova. La precarietà economica e la povertà alimentare toccano fette sempre più cospicue della società americana. Le affermazioni ottimistiche di Biden prima e Harris dopo - entrambi affermavano che l’economia andava a gonfie vele - hanno solo infierito sulla questione: si, il mercato finanziario ha visto un boom strepitoso, ma riguarda, di nuovo, una fetta in continua diminuzione della popolazione. Per una grande – e ripeto, crescente – parte dei cittadini statunitensi, i debiti che sono lievitati: il debito delle carte di credito è più alto che mai, ed è triplicato negli ultimi anni.
Chiaro, questa precarietà non è il diretto risultato delle politiche economiche dell’amministrazione Biden, ma la percezione comune è che l’ amministrazione di Biden-Harris abbia fatto ben poco per la ‘gente normale’ e soprattutto, se ne sia interessata ben poco.
Possiamo dire che l’America è ‘spaccata in due’?
Sì, assolutamente – ma le geografie elettorali divise riflettono, come accennavo sopra, anche delle geografie economiche profondamente divise. La stragrande parte degli elettori che hanno votato per Trump sono convinti che la loro vita sarà migliore con lui al comando. Possiamo criticare questa percezione, perchè è difficile pensare come le politiche economiche proposte da Trump possano aiutare veramente le fette meno abbienti della società USA, ma il problema dei Democratici troppo distanti dall’elettorato, rimane: è stato portato avanti un discorso moralizzante che ha da tempo dipinto gli elettori di Trump come ignoranti e delusi, che non capiscono i propri interessi di classe. Questo li ha spinti ancora di più nel il movimento Make America Great Again. Con le prime analisi del voto, un commentatore della CNN l’ha spiegato perfettamente: ‘i democratici si rivolgono alla classe operaia come dei missionari. Votateci, e vi aiutiamo a diventare come noi’. Ecco – lì sta il successo di Trump.
Quanto hanno influito invece i richiami sull’immigrazione ‘selvaggia’ e la demonizzazione degli immigrati?
La retorica della campagna Trump sull’immigrazione è stata violentissima e al centro del messaggio elettorale. Anche nel suo comizio dopo la vittoria ha annunciato che ‘sigilleremo i confini’, come parte della promessa ‘ripresa del controllo’ da parte degli Stati Uniti.
Non voglio – per nulla – minimizzare la violenza e il razzismo profondo della retorica anti-immigrati e anti-stranieri di Trump, ma credo che dobbiamo mettere la ‘questione immigrazione’ in un contesto più ampio di precarietà. Per un elettorato che si sente emarginato - economicamente, politicamente, socialmente, geograficamente – lo straniero offre un facile capro espiatorio. Non è una particolarità di queste elezioni USA, perché abbiamo assistito a simili dinamiche nel contesto europeo. In un mondo precario, in rapido mutamento, la promessa del controllo – controllo del territorio nazionale, di chi ci entra (o soprattutto non entra), di chi ha il diritto ai diritti (politici ma anche economici) diventa un messaggio chiave. E’ difficile pensare che un personaggio politico come Trump possa essere visto come ‘rassicurante’, ma lo è, almeno nelle sue promesse.
Cita similitudini con contesti europei: Salvini e Orban sono stati tra i primi a congratularsi con il vincitore attraverso i social. Giorgia Meloni ha salutato con favore un asse più forte Italia-Usa. Come saranno i rapporti tra gli USA di Trump e l’Europa?
Dall’annuncio (o anzi, già dalla dalla possibilità) di una vittoria di Trump, vari leader europei si sono spesi in grandi slogan sulla necessità di una ‘Europa unita’.
A parte la vaghezza di questi richiami che sono, appunto, slogan, più che disegni di politiche specifiche – sarà la presidenza Trump che magicamente spingerà i leader europei a dimenticare le loro differenze? Credo (purtroppo) che è più probabile che la vittoria di Trump spezzi l’UE ulteriormente facendo leva - e accentuando spaccature esistenti – sulla continuazione degli aiuti militari all’Ucraina, sul ruolo della NATO, sulla continuazione delle sanzioni/dazi alla Russia.
Le spaccature, temo, si vedranno anche nelle politiche economiche. E’ facile richiamare una sovranità europea ma gli stati membri già hanno faticato a fare fronte comune sulle politiche del Green Deal, e sui legami economici con la Cina. Il rischio è che l’amministrazione Trump cercherà di spezzare qualsiasi consenso anche nel campo delle politiche economiche: creando/proponendo accordi bilaterali, ‘deals’ individuali con paesi europei in diversi settori – dalle risorse energetiche, al settore automobilistico. Spero di sbagliarmi.
Ci sono altri ‘pericoli’ per l’Europa?
Purtroppo, sì. A parte possibili spaccature fra gli stati membri dell’UE su posizioni geopolitiche e geoeconomiche che un’amministrazione Trump cercherà di fomentare, c’è non solo il rischio, ma la quasi certezza, di un rafforzamento delle forze illiberali in Europa. La vittoria di Trump darà una spinta ulteriore a forze politiche della destra e estrema destra anche da noi, normalizzando e legittimizzando politiche anti-immigrazione, sfavorevoli verso le donne, anti-Green Deal. I legami fra la ‘galassia Trump’ e questi movimenti/forze politiche esistono da tempo, e sono ben consolidati: il suo ritorno alla Casa Bianca gli darà una spinta ulteriore.
Infatti Trump è amico dichiarato di alcuni dei leader mondiali più nazionalisti e ‘illiberali’, come per esempio Putin e Netanyahu. Quale scenario si apre, a livello globale, con la nuova politica estera USA?
Credo uno scenario molto instabile. Sia Trump che il suo Vice JD Vance hanno dichiarato numerose volte la loro intenzione di ritirare gli Stati Uniti dai loro impegni militari in Europa come altrove. Sempre nel suo comizio di vittoria, Trump ha affermato che ‘dobbiamo terminare le guerre. Vogliamo mantenere un esercito forte, ma senza il bisogno di utilizzarlo’. Facendo fede alla promessa elettorale di ‘America First’, i problemi e i bisogni degli americani dovrebbero venire prima di tutto: sprecare risorse in avventure militari non ha nessun beneficio per l’americano medio. E chiaramente gli elettori gli hanno dato ragione.
Credo che le uscite di Trump sulla possibilità di porre fine alla guerra in Ucraina ‘con un accordo in meno di 24ore’ siano caricaturali, ma rivelano l’atteggiamento transazionale che ha caratterizzato anche la prima amministrazione Trump: la domanda è solo una, ‘what does the US get out of this’? E perché il cittadino americano medio dovrebbe avere a cuore quello che succede a Kherson?
E sulla questione Ucraina di nuovo gli appelli morali e moralistici dei Democratici hanno fallito completamente, senza convincere la gran parte del pubblico americano: dipingere il sostegno militare all’Ucraina come una battaglia per il futuro dell’Occidente, per il futuro della democrazia, non ha affatto convinto l’americano medio, nanche quello che credeva (almeno prima) nel ruolo ‘indispensabile’ degli Stati Uniti nel mondo. Starà all’UE e agli stati europei di decidere cosa succede adesso alla coalizione di sostegno all’Ucraina.
Allora hanno influito sul voto anche questioni geopolitiche?
Forse in maniera indiretta e non immediatamente evidente, ma assolutamente sì. Le preoccupazioni economiche che hanno determinato il voto in maniera decisiva erano legate a tutta una serie di 'immaginari geografici' – non solo della diseguaglianza territoriale interna agli USA, ma anche immaginari geografici sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. L’immaginario dei luoghi abbandonati, dove le condizioni di vita dei cittadini sono solo peggiorate negli ultimi anni, è stato un messaggio chiave nel sostegno per Trump. Il suo slogan ‘America First’ promette una ‘redenzione’ (e uso questa parola volutamente perché il linguaggio evangelico ha fatto parte chiave della campagna Trump) individuale ma anche territoriale . Ma lo slogan ‘America First’ è direttamente legato anche ad un altro immaginario geografico, quello globale: dai flussi migratori incontrollabili che minacciano gli USA ai confini, alle pratiche inique messe in atto dai competitors economici come la Cina che minano l’industria americana, allo spreco di risorse militari nel ‘risolvere i problemi degli altri’. Questi due immaginari sono direttamente collegati. In queste mappe mentali, per tornare all’esempio di prima, il prezzo triplicato del bacon nel supermercato locale è legato alle importazioni ‘sleali’ cinesi, ma anche ai soldi mandati all’Ucraina. Così geografie lontane e quotidiane si intersecano, e la precarietà crescente viene legata direttamente alle scelte geopolitiche e geoeconomiche degli USA – per le quali l’amministrazione uscente è stata punita.