Smontare il prodotto per capire l'impresa

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Nei prodotti modulari, scomponibili in più componenti prodotti da fornitori diversi, si assiste alla “mirroring hypothesis”: esiste un'analogia tra architettura di prodotto e architettura delle relazioni di fornitura delle singole componenti. In altre parole, i prodotti disegnano le relazioni tra imprese coinvolte. Questa ipotesi, valida nel 70% dei casi, non si verifica quando tra le componenti del prodotto ve ne sono alcune ad elevato dinamismo tecnologico.

Questo il risultato dello studio di Anna Cabigiosu, ricercatrice del dipartimento di Management di Ca’ Foscari. L’articolo, realizzato con Andrea Furlan e Arnaldo Camuffo e pubblicato su Strategic Management Journal, riceverà una Menzione alla ricerca da parte del dipartimento di Management, che ogni anno premia tre pubblicazioni dei propri docenti durante il Research Day (il prossimo si terrà il 22 ottobre 2015).

La ricerca si inserisce all’interno della letteratura sulla modularità di prodotto, che ha visto un boom alla fine degli anni ’90. Da quel momento, in alcuni settori, hanno iniziato ad emergere il design di prodotti modulari, scomponibili in parti chiaramente identificabili, fisicamente separabili tra di loro e realizzati da imprese di fornitura specializzate nella produzione delle singole componenti.

La letteratura sulla modularità studia il design, le proprietà, le implicazioni e i loro vantaggi, e contiene un'ipotesi importante, alla base dello studio della Cabigiosu: la “mirroring hypothesis”, l’ipotesi dello specchio. Questa ipotesi suggerisce che non solo le organizzazioni possano disegnare i prodotti ma, una volta stabilito un design di prodotto, che magari diventa anche dominante a livello di industria del settore, siano i prodotti stessi a disegnare le organizzazioni. L’influsso del design di prodotto sulle scelte delle imprese è talmente forte che arriva a determinare come le imprese stesse si relazionino tra di loro e organizzino il proprio lavoro.

Questa ipotesi arriva a suggerire che prodotti modulari, fatti da parti scomponibili e lascamente connesse, siano realizzati da organizzazioni a loro volta lascamente connesse. Se si produce un bene formato da sottosistemi distinti tra loro, quindi, anche le relazioni con i fornitori delle singole componenti seguiranno lo stesso andamento e saranno semplici, agili ed economicamente vantaggiose.

Cabigiosu illustra così il contributo innovativo del proprio lavoro all’interno della mirroring hypothesis: “Nel nostro paper ci siamo chiesti anzitutto se anche nell’industria che noi studiamo (sistemi di condizionamento che devono mantenere temperature precise e stabili nel tempo) c’è questa relazione tra modularità del prodotto e modularità delle relazioni di fornitura, e se ci siano delle variabili, che riguardano l’ambiente competitivo in cui operano le imprese, che influenzano queste relazioni: le imprese sono dei sistemi complessi”.

Organizzazione, strategia e ambiente sono in continua evoluzione. Il valore aggiunto del paper, che riceverà la Menzione alla ricerca, è la domanda che si sono posti i ricercatori:  “Questo è sempre vero?  O ci sono dei fenomeni che rendono contingente il risultato?” Domanda importante, secondo Cabigiosu, perché le imprese non lavorano in camere iperbariche, isolate dall’esterno, ma sono fatte di persone, hanno un'organizzazione, elaborano una strategia e operano in un ambiente.

I ricercatori hanno scomposto tre tipi di condizionatori diversi e studiato il livello di modularità e di dinamismo tecnologico di ogni singolo componente. Hanno poi verificato che in contesti molto dinamici dal punto di vista delle tecnologie non si osserva più questa relazione tra architettura di prodotto e architettura delle relazioni di fornitura. La turbolenza tecnologica va ad annullare l’effetto del determinismo tecnologico contenuto in una scelta di architettura di prodotto, in questo caso nella modularità di prodotto.

Questo è un risultato importante perché uno dei vantaggi della modularità sta nel fatto che il prodotto si possa scomporre in sottosistemi, prodotti da fornitori specializzati, con l’idea che si possano scambiare poche conoscenze perché fintanto che l’architettura resta modulare non c’è la necessità di avere competenze specialistiche sulla tecnologia del singolo prodotto. È l’architettura stessa che assicura che quel componente, una volta inserito nel prodotto finito, sarà ben funzionante.

Teoricamente, quindi, un'architettura modulare dovrebbe semplificare e razionalizzare molto il lavoro delle imprese che acquistano i componenti da fornitori esterni, li assemblano e vendono il prodotto finito. In realtà, quando le imprese OEM (Original Equipment Manufacturer) comprano e assemblano componenti tecnologicamente dinamici, bisogna investire per comprendere la nuova tecnologia che si sta acquistando, capirne i vincoli e come andrà ad impattare sulle altre tecnologie del prodotto. Serve quindi rivedere i flussi informativi con i fornitori e le relazioni con essi richiedono un investimento maggiore.