Nobel Letteratura a Han Kang. Nel 2023 ospite di un seminario di coreano

condividi
Han Kang - Ill.: Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach

La scrittrice sudcoreana Han Kang (Kwangju, 27 novembre 1970) vince il Premio Nobel 2024 per la Letteratura. Han Kang è stata ospite 'virtuale' di Ca' Foscari nel 2023, durante un seminario di letteratura coreana. Abbiamo chiesto alla prof.ssa Vincenza D'Urso di raccontare stile e temi della scrittura di Han Kang.

"In un mondo, quello che viviamo oggi, in cui i rapporti tra le persone, i popoli e i Paesi sembra essere dominato da odio e violenza, la scelta dell’Accademia di Svezia sembra aver voluto premiare e segnalare la necessità di nutrire speranza: le millenarie radici umanistiche della letteratura coreana vivono e resistono nella prosa poetica di Han Kang - ha spiegato la professoressa. Che continua: la scrittrice sudcoreana Han Kang (Kwangju, 27 novembre 1970) vince il Premio Nobel 2024 per la Letteratura "per la sua intensa prosa poetica che mette a confronto i traumi storici con la fragilità della vita umana". Questo, in breve, l’annuncio dell’Accademia di Svezia, che apre finalmente le porte a un’autrice sudcoreana, la prima a ricevere il prestigiosissimo riconoscimento per la Letteratura, e la seconda insignita con un premio Nobel, dopo quello per la pace assegnato nel 2000 al compianto presidente Kim Dae Jung.

Il 10 ottobre del 2024 Han Kang diventa anche la prima scrittrice asiatica a essere premiata dall’accademia svedese: in un’intervista a caldo, subito dopo l’annuncio di Stoccolma, la scrittrice afferma di essere ‘sorpresa e onorata’ e dedica il premio a tutti gli autori e le autrici che l’hanno preceduta, che con le loro grandi opere l’hanno influenzata e ispirata fin da bambina. Han Kang trasforma così il premio Nobel in un premio corale, un riconoscimento prestigioso e per lungo tempo atteso e sognato da tutti i coreani.

Del resto Han Kang non è nuova all’atto della coralità e della condivisione: nel 2016 si rivela al mondo vincendo il Man Booker International Prize con The Vegetarian (Seoul, 2007 – La Vegetariana, Milano, Adelphi, 2016), e la notizia fa scalpore non solo perchè il prestigioso riconoscimento va per la prima volta a una scrittrice sudcoreana, bensì anche perchè l’autrice decide di condividere equamente con la sua traduttrice (Deborah Smith) il sostanzioso premio in denaro ricevuto.

Han Kang è figlia, sorella e moglie d’arte: suo padre è il grande scrittore Han Sŭngwon - autore di famosissimi romanzi tra cui Purŭi ttal (Figlia del fuoco), 1983 e Aje, aje, para aje, del 1985 - e anche il fratello Han Tongnim (1968), e il marito, Hong Yonghŭi, sono apprezzati autori di romanzi e racconti. Della sua prosa il padre, gigantesca figura letteraria della Corea contemporanea, ha detto: “a volte, leggendo [quello che mia figlia scrive], mi sorprendo talmente della bellezza da provare quasi un senso di gelosia nei suoi confronti.”

Nel 2017 Han riceve in Italia anche il Premio Malaparte per Atti Umani (uscito sempre per i tipi di Adelphi nello stesso anno) seguito da Convalescenza nel 2019 e L’ora di greco (2023). Inoltre è di prossima uscita (novembre 2024) l’ultima fatica letteraria della scrittrice, Non dico addio, pubblicato nel 2021 da un’importante casa editrice sudcoreana, la Munhakdongne Publishing Group, e subito nominato ‘Libro dell’anno’.

Non dico addio è una ‘storia di un amore estremo’, come afferma la scrittrice durante un’intervista in occasione della presentazione del libro, che esce a cinque anni di distanza dal “Canto del colore bianco” del 2016. “A chi mi chiedeva cosa stessi scrivendo rispondevo a volte: ‘Il racconto di un amore estremo’, altre ‘il racconto del passaggio dalla morte alla vita’, altre ancora ‘il racconto dei fatti del 3 aprile a Cheju’, ma la definizione che più amo è la prima”.

Con il suo linguaggio che spesso sembra dipanarsi in dimensioni d’introspezione quasi oniriche, Han Kang esplora ‘amori estremi’, riflette sull’amore e sulle sue infinite sfaccettature, sull’amore infinito, quello universale, tra esseri umani, indicato dall'autrice come “unica via di uscita dagli orrori della guerra e dell'odio”. Han Kang è anche la scrittrice della catarsi: la sua riflessione sui traumi storici subiti dai coreani inizia con Atti umani, racconto della sanguinosa repressione della rivolta di Kwangju (1980), e continua negli anni successivi con Non dico addio, dedicato alla strage di ‘filocomunisti’ avvenuta sull’isola di Cheju tra il 3 aprile del 1948 e il mese di maggio del 1949. Siamo in una Corea che ha appena ritrovato l’indipendenza dopo trentacinque lunghi anni di dominio coloniale ma sul cui territorio si prepara l’anticamera di una tragedia ancora più grave: la guerra di Corea e la divisione del Paese al trentottesimo parallelo.

Secondo alcuni studiosi, i fatti di Cheju che vanno dall’aprile del 1948 al maggio del 1949 – descritti come ‘haksal’ (massacro) in coreano - sono l’anticipazione di quanto sarebbe successo di lì a poco, con lo scoppio della fratricida Guerra di Corea del 1950-53; la lotta tra due ideologie, due schieramenti opposti, le prime tangibili conseguenze della Guerra Fredda sulla penisola coreana.

Tra le quaranta e le sessantamila persone vengono barbaramente uccise nell’arco di quell’anno, perché simpatizzanti comuniste o solo presunte tali. Non dico addio racconta la loro storia, la storia del loro massacro, e della loro redenzione. Storia proibita in Corea fino a tempi recenti, quando ben due presidenti della repubblica, il defunto Roh Moo-hyun (2003-2008) e Moon Jae-in (2017-2022) chiedono pubblicamente perdono alla gente di Cheju per il ‘massacro del 3 aprile’. Un’altra storia, come quella di Atti umani, con cui la Corea lentamente si avvia a fare pace. Una storia che, come sostiene Han Kang, “ha bisogno di perdono e amore per essere superata”.

Han Kang è degnissima rappresentante della letteratura del trauma, di traumi collettivi, si fa voce di alcuni tra i più dolorosi episodi della storia coreana contemporanea, celebrando la potenza catartica della parola scritta, e lo fa con un linguaggio da sogno, intriso di delicatezza, di elegante poesia.

Han Kang affronta la pesante e difficile tematica del dolore e dell'odio tra umani, e di ciò che resta quando la violenza finisce. La sua letteratura, come afferma la stessa autrice, è “il ricordo di un amore estremo che si manifesta in forma di sogno, è, in definitiva, un discorso di speranza, la vittoria dell'amore sulla violenza e sul dolore".

In un mondo, quello che viviamo oggi, in cui i rapporti tra le persone, i popoli e i Paesi sono dominati da odio e violenza, la scelta dell’Accademia di Svezia sembra aver voluto premiare e segnalare la necessita’ di nutrire speranza: le millenarie radici umanistiche della letteratura coreana vivono e resistono nella prosa poetica di Han Kang."

Han Kang e Ca’ Foscari

Han Kang ha partecipato nel maggio del 2023 alla seconda edizione dello Overseas Workshop on Korean Literature Translation intitolato Translating Contemporary Korean Poetry, organizzato nell’ambito del corso seminariale di Letteratura coreana 3, tenuto dalla prof.ssa Vincenza D'Urso e dedicato a due figure di altissimo rilievo della letteratura coreana contemporanea: la poetessa Moon Chung Hee, tradotta per la prima volta in italiano in una ampia selezione antologica del 2022 (Il mare che cuce, Tab Edizioni) e Han Kang, famosa in tutto il mondo per i suoi pluripremiati romanzi, ma molto meno nota per la sua produzione poetica di nicchia con una silloge uscita nel 2013, ancora inedita in Italia, intitolata Ho chiuso la notte in un cassetto.

Il seminario sulla traduzione poetica prevedeva anche un momento creativo per i frequentanti, chiamati non solo a tradurre poesia dal coreano all’italiano, ma anche a comporre versi, su libera ispirazione, in coreano.

Federica Scotellaro