Deutscher Memorial Prize a 'The Eye of the Master' di Matteo Pasquinelli

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Quest’anno il prestigioso Deutscher Memorial Prize, che premia il miglior libro di teoria critica in inglese, è stato vinto da The Eye of the Master: A Social History of Artificial Intelligence di Matteo Pasquinelli, professore associato in Filosofia della Scienza presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell'Università Ca' Foscari Venezia (dove coordina anche il progetto ERC ‘AI Models’’). Prima di lui, tra gli studiosi che hanno ottenuto lo stesso riconoscimento, si ricordano l’urbanista Mike Davis (1991), lo storico Eric Hobsbawm (1995) e il sociologo John Bellamy Foster (2020). L’unico italiano a ricevere il premio prima d’ora fu il filosofo Lucio Colletti nel 1973. 

The Eye of the Master è stato pubblicato per i tipi di Verso (Londra) nel 2023 e se ne attende la traduzione in undici lingue (in Italia uscirà per Carocci nel 2025). Recita la presentazione dell’editore: ‘The Eye of the Master sostiene che il codice interno dell'IA non imiti l'intelligenza biologica, ma l'intelligenza del lavoro e delle relazioni sociali, come si riscontra nelle macchine calcolatrici di Babbage dell'era industriale, così come nei recenti algoritmi per il riconoscimento delle immagini e la sorveglianza. Gli algoritmi imitano da sempre la forma dei rapporti sociali e l’organizzazione del lavoro, e la loro finalità resta quella di una cieca automazione.’ 

In questa ‘storia sociale’ dell’intelligenza artificiale, Pasquinelli analizza come la genealogia dell’IA sia profondamente legata al mondo del lavoro e alle forme della supervisione del lavoro, sia mentale che manuale, piuttosto che alla storia della matematica o delle neuroscienze come discipline astratte dalla vita sociale. Ad esempio, il libro mostra come il primo network neurale, il Perceptron, fu inventato per automatizzare il lavoro di supervisione nei compiti di ricognizione aerea del personale dell’aviazione statunitense. Ma l’automazione della supervisione ha una genealogia ben più antica, che risale appunto alla fabbrica industriale. Riprendendo la cosiddetta labour theory of automation, o ‘teoria dell’automazione basata sul lavoro’, introdotta da Adam Smith e ripresa dal pioniere della computazione Charles Babbage e pure da Karl Marx, l’autore recupera il nesso tra le forme sociali e lo sviluppo della tecnologia incluse le più recenti manifestazioni dell’Intelligenza Artificiale.

Ma quindi, “Potrà l’intelligenza artificiale sostituire il mio lavoro?”. Questa è la domanda che ci facciamo, sempre più spesso, soprattutto davanti allo sviluppo di sistemi di IA generativa sempre più complessi.

"Questi nuovi sistemi, i Large Language Models come ChatGPT solo in parte sostituiscono figure professionali nella loro interezza’ – spiega Pasquinelli in una intervista per la rivista MicroMega. “Fanno qualcosa di più sistematico, vale a dire rimpiazzano micro tasks che fanno parte delle operazioni dei vari gig workers o lavoratori di piattaforma ma anche della vita quotidiana di tutti noi. Ad esempio, in futuro credo che i vari datori di lavoro, le varie industrie culturali e agenzie creative, sapranno benissimo che, per adempiere al proprio ruolo, i loro lavoratori e collaboratori potranno contare sui modelli AI. Diventerà quindi scontato, per esempio, far uso di ChatGPT per operazioni essenziali di traduzione, così come per controllare e fare proofreading dei testi, o utilizzeranno sistemi informatici per produrre immagini nuove da usare nella comunicazione pubblicitaria e via dicendo. Questo circolo produce un paradosso tale per cui l’intelligenza artificiale, lungi dal liberarci dal lavoro, ci farà lavorare di più, ci sfrutterà di più… sembra chiaro che questi sistemi di intelligenza artificiale esercitino di già una forte pressione sui lavoratori e non perché rimpiazzino in maniera drastica, immediata, una forma specifica di lavoro ma perché riorganizzano e orchestrano in modo nuovo la nostra esperienza lavorativa."

L’intelligenza artificiale, quindi, scompagina il mercato del lavoro, ci rende più consapevoli dei nostri limiti e ci costringe a riflettere sul nostro valore attuale nel nostro ambito professionale. In un altro articolo per la rivista MicroMega intitolato La vita non è un test di Turing Pasquinelli insiste: "Laddove ci sembra che ingegneri informatici della Silicon Valley testino l’IA per capire se sia intelligente o meno, in un drammatico rovesciamento, è in realtà l’IA che si sta imponendo come test collettivo della nostra intelligenza, delle nostre abilità lavorative e norme di comportamento… L’IA, quindi, non serve solo come strumento per l’automazione del lavoro, ma anche come metro di paragone, come metrica della forza lavoro collettiva. [...] Il test di Turing viene trasfigurato in un imitation game perfetto per il mercato del lavoro, in cui un modello algoritmico impersonale giudica quali esseri umani siano qualificati e quali no, quali possono accedere a un lavoro e quali no."

Federica Scotellaro