“Sono trascorsi 50 anni dal giorno in cui una gondola solitaria, coperta di fiori, attraversava il bacino di San Marco, venendo dall’isola di San Giorgio e diretta verso l’isola di San Michele, il cimitero, dove Ezra Pound fu sepolto nella parte acattolica, insieme con grandi del passato, quali Strawinsky, di cui il poeta aveva molto amato la musica”.
Così la professoressa Rosella Mamoli Zorzi, docente emerita di Lingua e Letteratura angloamericana a Ca’ Foscari, ricorda uno dei poeti più controversi e influenti del '900. A cinquant’anni dalla morte di Pound, avvenuta a Venezia il 1 novembre 1972, Ca’ Foscari organizza un convegno in Aula Baratto dal titolo “La poesia di Ezra Pound” (23 novembre, ore 10). Parteciperanno il massimo studioso italiano, ma anche uno dei maggiori studiosi a livello internazionale di Pound, Massimo Bacigalupo, dell’Università di Genova, e Patrizia Valduga, poetessa autrice di molte raccolte assai note, che ha di recente tradotto, magistralmente, i Canti I-VII dei Cantos. Seguirà una tavola rotonda sulle traduzioni di Pound, che è stato tradotto dallo stesso Bagicalupo, da Mary de Rachewiltz, poetessa e figlia di Pound, ma anche da Carlo Izzo, da Alfredo Rizzardi, da Emanuel Carnevali, e da altri, e last but not least, come ricordato, da Valduga.
La Prof.ssa Mamoli Zorzi, tra gli studiosi che interverranno all’appuntamento cafoscarino, così scrive:
“Ci si chiede sempre se di questo grande poeta, che insieme a T. S. Eliot ha scardinato e rinnovato il modo di fare poesia nel Novecento, e in seguito, sia il caso di dimenticare le trasmissioni per Radio Roma, o radiodiscorsi (1941-1943), in cui compare sicuramente l’appoggio del poeta a Mussolini e un antisemitismo rivolto soprattutto ai banchieri ebrei, colpevoli di “usura”. No, non vanno dimenticati, ma va ricordato anche che Pound espiò duramente queste trasmissioni, con la reclusione per “alto tradimento” nel manicomio criminale di St. Elizabeth, a Washington, per dodici anni, fino al 1958.
Dopo la reclusione al St. Elizabeth’s, ritornò in Europa, dopo un periodo a Brunnenburg, dove abitava la figlia Mary de Rachewiltz, e a Rapallo, e scelse Venezia come sua ultima dimora: molti veneziani ricordano la figura del vecchio poeta, silenzioso, con il volto scavato, i capelli e la barba bianchi, che passeggiava lentamente sulle Zattere, con Olga Rudge, la violinista, madre di Mary de Rachewiltz, che aveva un “nido”, un piccolo appartamento, a Dorsoduro. Un silenzio che venne interrotto durante una seduta con la pittrice di Praga, ma veneziana da molti anni, Lotte Frumi, che stava dipingendo il suo ritratto, con osservazioni che mostravano come il poeta, malgrado il suo silenzio, fosse assolutamente consapevole di quel che gli stava attorno.
Venezia rappresentò per Pound in questi anni un rifugio, dove anche Allen Ginsberg gli rese omaggio. Ma Venezia fu anche la città dove, “in fuga da Wabash, Indiana”, il giovane Pound (1885-1972) giunse nel 1908, non per la prima volta, e dove ritrovò “antichi poteri” (“Old powers rise and do return to me”) che gli restituirono la possibilità di essere poeta: una città di vita e di rinascita, opposta alla rappresentazione prevalente di una città di morte, quella di Henry James, di Rilke, di D’Annunzio e di Thomas Mann.
Fu a Venezia che Pound pubblicò il suo primo libro di poesie, dal titolo dantesco, A lume spento, e non importa che poi nei Cantos si chiedesse “shld / I chuck the lot into the tide-water? Le bozze ‘A Lume Spento’ ”, pienamente consapevole del fatto che queste poesie, nella forma, non erano innovative.
Da Venezia passò poi a Londra, dove, oltre a pubblicare il suo secondo libro, A Quinzaine for this Yule (1908), elaborò i principi dell’Imagismo (1910 A few Don’ts by an Imagiste e l’antologia Des Imagistes), partecipò al Vorticismo di Wyndham Lewis, rifiutando l’estetismo della fine secolo, e nel 1917 iniziò a pubblicare i primi Cantos, il suo opus magnum che continuò fino alla morte: un poema basato sull’ associazione, sulla simultaneità, sulla attualizzazione della storia; poesia di frammenti e di grandi passi lirici, fondata sul ritmo, non su schemi ritmici e forme chiuse, in rima (che peraltro Pound conosceva benissimo), lontana mille anni luce dalla continuità narrativa della poesia vittoriana.
Da Londra si trasferì nel 1920 nella Parigi di Joyce, di Picasso, di Gertrude Stein, di Fitzgerald, di Hemingway. Fu il “miglior fabbro” per The Waste Land (1922) di T.S. Eliot, come recita la dedica di Eliot, che riconosceva il lavoro di editing fatto da Pound sul suo poema. A Parigi fondò con Bill McAlmon una casa editrice che pubblicò tra l’altro The Great American Novel di William Carlos Williams, con un programma di edizioni che doveva continuare l’iter culturale dal punto in cui lo aveva lasciato Henry James.
Da Parigi passò a Rapallo, che divenne un polo di attrazione per molti poeti e scrittori americani e dove il medico curante di Pound fu quel dott. Bagicalupo il cui figlio Massimo conobbe, ragazzino, il poeta, e dedicò la sua vita a studiarlo. A Rapallo cominciò a raccogliere materiale su Sigimondo Malatesta, che doveva diventare protagonista dei Canti Malatestiani.
Si interessò di musica, di George Antheil (Antheil and the Treatise of Harmony, 1924), scrisse un’opera The Testament of François Villon (1931), pubblicò due numeri della rivista The Exile (1927), si occupò di Confucio, di Cavalcanti (Guido Cavalcanti, Rime, 1932).
Impossibile seguire le molte e diverse attività di Pound, che si occupa soprattutto di poesia, ma anche di musica, di economia, di cultura e di ideogrammi cinesi: tutta questa straordinaria erudizione trova una sua forma nei Cantos, che continua a pubblicare fino a Drafts & Fragments of Cantos CX-CXVII (1969)”.