Chiara Branchini sulla LIS, tra diritti e ricerca

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L'Italia non ha ancora riconosciuto il pieno diritto alla comunicazione per le persone sorde. Una delle conseguenze di questo grave ritardo rispetto alle direttive europee è che i bambini sordi non vengono esposti precocemente alla loro lingua naturale, quella dei segni, mettendo a rischio lo sviluppo cognitivo linguistico, e sociale. «Il 95% delle persone sorde nasce da genitori udenti – ricorda Chiara Branchini, docente e ricercatrice della Lingua dei Segni Italiana, la LIS.

«Genitori e figli - aggiunge - non possiedono una lingua in comune. Questo dato, sommato a diagnosi tardive e all'assenza di input linguistico in una lingua che possa arrivare loro in maniera completa, compromette lo sviluppo armonioso del bambino». A Ca' Foscari si insegna la LIS dal 2001, sono nati un master, uno spinoff, iniziative di ricerca e culturali, come la prima traduzione LIS di Pinocchio. I linguisti cafoscarini si uniscono dunque ai ricercatori e linguisti che studiano le lingue dei segni di tutto il mondo nell'affermare che «la LIS è una vera lingua naturale al pari delle lingue vocali».

Chiara Branchini si è avvicinata alla LIS proprio durante l'università. Studiava lingue straniere e la lingua segnata era un’ulteriore lingua straniera che incuriosiva. «In seguito – racconta – l'incontro con persone interessate alla lingua dei segni ha trasformato la curiosità in passione». Con il gruppo di ricerca del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati, la studiosa è coinvolta in numerosi progetti di ricerca, tra i quali un progetto di interesse nazionale (PRIN), finanziato dal Ministero dell'Università e della Ricerca, che vede Ca' Foscari collaborare insieme all’Università di Siena, di Milano Bicocca, di Roma La Sapienza, di Verona e di Firenze per l’analisi di forme di diversità linguistica in Italia, tra cui la LIS e il progetto di ricerca Spread the Sign.

 

Chiara Branchini

Ricercatrice Universitario e docente di Lingua dei segni italiana e Linguistica LIS presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati.

Contatto:  chiara.branchini@unive.it


«L'esistenza delle lingue dei segni è attestata da sempre, forse precedono addirittura le lingue vocali. Il fatto che il linguaggio sia indipendente dalla modalità impiegato per veicolarlo, ovvero sia indipendente dalla produzione di suoni, suggerisce che sia una capacità più astratta, più interna alla mente. Se pensiamo all’apparato fonatorio dei primati possiamo supporre che il linguaggio si sia sviluppato prima in segni che in suoni. Esistono delle famiglie di lingue anche nelle lingue dei segni, contatti tra le popolazioni hanno portato a scambi e influenze. Fu un abate parigino il primo ad utilizzare la lingua dei segni come metodo per insegnare a leggere e scrivere in francese ai sordi nel 1760. I suoi metodi educativi furono esportati in molti paesi insieme alla lingua dei segni francese usata per realizzarli. E’ per questo, ad esempio, che molte lingue dei segni sono state ‘contaminate’ dalla lingua dei segni francese.
Se consideriamo le lingue dei segni al pari delle lingue vocali, non deve stupirci che esse siano diverse di paese in paese, esattamente come per le lingue vocali, ogni comunità linguistica sviluppa la lingua che deve assolvere alle esigenze comunicative di quel gruppo linguistico. Allo stesso modo, come per le lingue vocali, anche le lingue dei segni sono caratterizzate da variazioni regionali, spesso anche all’interno dello stesso territorio regionale in base all’istituto scolastico residenziale frequentato. In generale, le varianti che osserviamo sul territorio sono dovute a diversi fattori sociolinguistici».
Durante gli anni che seguirono il Congresso di Milano le direttive oraliste vennero perseguite in maniera rigida fino ad arrivare a legare le mani degli studenti sordi nella convinzione che l'uso dei segni potesse uccidere la parola. A partire dal 1880, la direttiva oralista ha pesantemente influito sullo sviluppo delle lingue dei segni e sui diritti delle persone sorde. Poiché esprimevano un’esigenza comunicativa insopprimibile nei sordi segnanti, le lingue dei segni sono tuttavia sopravvissute in clandestinità nei dormitori degli istituti residenziali che i bambini sordi frequentavano».

L'Italia, unica in Europa con Malta e Lussemburgo, nega il pieno riconoscimento alla LIS. Perché la comunità dei linguisti sostiene invece la necessità di diffonderla e promuoverla?

«Grazie alla ricerca, oggi sappiamo che i bambini sordi esposti precocemente a una lingua dei segni in seguito apprendono la lingua vocale molto più facilmente e con una competenza maggiore, proprio perché hanno alle spalle un modello linguistico proveniente dall'unica lingua per loro naturale e che può essere acquisita dalla nascita perché viaggia sul canale integro visivo-gestuale. Il rischio invece è che questi bambini non vengano esposti a nessun input linguistico negli anni più fertili per l'acquisizione. Significa violare un diritto umano».

Cosa cambierebbe grazie a un impegno dello Stato a favore della LIS e l'approvazione del disegno di legge presentato in parlamento dall'Ente Nazionale Sordi?

«In altri paesi dell’Unione Europea il riconoscimento linguistico delle lingue dei segni ha portato a politiche di inclusione, diffusione e promozione della lingua dei segni, al riconoscimento degli stessi diritti accordati alle minoranze linguistiche come il diritto all’accessibilità a scuole e strutture sanitarie attraverso la presenza di interpreti professionisti, nonché alla promozione di un’identità linguistica e culturale delle persone sorde. Il riconoscimento non è in conflitto, come alcuni sostengono, con il rispetto della libertà individuale a intraprendere percorsi più oralisti legati all’impianto cocleare, alle protesi acustiche, alla logopedia precoce, ad un’educazione oralista. Anzi, oggi sappiamo che l’acquisizione di più lingue facilita e sostiene l’apprendimento successivo di altre lingue, allo stesso modo i bambini sordi esposti precocemente ad una lingua dei segni apprendono successivamente la lingua vocale molto più facilmente grazie ai principi linguistici acquisiti attraverso l’esposizione alla lingua dei segni».

Ogni nazione, forse persino ogni città, ha la propria lingua dei segni. Come nascono queste lingue e tali differenze?

Quali furono le ragioni per mettere al bando i segni?

«La storia delle lingue dei segni è tortuosa, ma c'è una data che segna un brusco arresto al loro sviluppo in tutto il mondo: il 1880 è l’anno in cui il Congresso di Milano votò contro l’uso dei segni e a favore dell’educazione oralista per i sordi. Fino a metà Settecento i sordi erano ritenuti incapaci di intendere e di volere. Il non parlare la lingua vocale era sinonimo di ritardo cognitivo. A questo senso di superiorità si aggiunsero altri interessi, tra cui forse quello della Chiesa di voler esercitare un'influenza e un controllo sui sordi attraverso l'imposizione della propria lingua. La lingua dei segni era infatti considerata uno strumento in grado di emancipare i sordi rendendoli autonomi.

Quanto dura questa segregazione linguistica?

«E’ solo a partire dal 1960 che la ricerca linguistica negli Stati Uniti dimostra la complessità delle lingue dei segni e la presenza di un’organizzazione linguistica equivalente alle lingue vocali nei domini della fonologia, della morfologia e della sintassi. Da questo momento le lingue dei segni non vengono più emarginate, ma considerate vere lingue naturali. In Italia la ricerca linguistica sulla LIS è molto recente, inizia intorno agli anni '70 ad opera del CNR di Roma, grazie al gruppo di ricerca diretto da Virginia Volterra. Oggi, oltre all’attività di ricerca svolta dal CNR di Roma, i centri più attivi in Italia per la ricerca linguistica formale sulla LIS sono Ca’ Foscari, Milano-Bicocca e La Sapienza».

Che ruolo ha la ricerca sulle lingue dei segni nel panorama degli studi linguistici?

«Le lingue dei segni sono innanzitutto un materiale linguistico su cui testare la validità delle ipotesi della teoria linguistica: perché un modello teorico sia valido deve riuscire a spiegare anche i fenomeni linguistici esibiti dalle lingue dei segni. Inoltre, le lingue dei segni sono importanti per capire come si sviluppa il linguaggio e quali sono le sue potenzialità. Vi sono infatti caratteristiche linguistiche che solo le lingue dei segni possiedono. Basti pensare che il movimento delle mani è solo una parte del messaggio linguistico, accanto ad esso il movimento del busto, delle spalle, del capo, dello sguardo e una serie di espressioni facciali svolgono un ruolo grammaticale indispensabile perché la frase sia ben formata».

Tra i progetti che coinvolgono gli studiosi cafoscarini c'è la ricerca finanziata dall’Unione Europea COST Action (Cooperation in Science and Technology) dal titolo ‘Unraveling the grammars of European sign languages: pathways to full citizenship of deaf signers and to the protection of their linguistic heritage’. Di cosa si tratta?

«Il progetto vede la collaborazione di 16 paesi europei e di altrettante lingue dei segni. Obiettivo del progetto è creare un blueprint, un modello teorico che consenta ai ricercatori di vari paesi di redigere grammatiche delle lingue dei segni facilitando una migliore preparazione agli studenti udenti che imparano la lingua dei segni, contribuendo a formare adeguatamente gli interpreti e consentendo alle persone sorde di approfondire e imparare la grammatica di altre lingue dei segni. Altrettanto importante è la visibilità e l’impulso alla ricerca sulle lingue dei segni e alla loro promozione e diffusione che il progetto si propone. Il progetto intende anche agevolare l’apprendimento e l’identità linguistica della comunità sorda. Dal 9 all’11 giugno 2014 il nostro dipartimento ospiterà una conferenza internazionale in ‘Formal and Experimental Advances in Sign language Theory’ (FEAST) nella quale ricercatori e linguisti internazionali presenteranno le recenti ricerche condotte sulle lingue dei segni di diversi paesi. Si tratta di un appuntamento molto importante per lo sviluppo della ricerca sulle lingue dei segni che siamo orgogliosi di ospitare».