Il Covid-19 ha trovato terreno fertile anche in Medio Oriente, epicentro della Pandemia subito dopo Cina ed Europa . Il virus è partito, a quanto pare, dalla città santa di Qom in Iran – Paese che al momento conta quasi il 90% dei casi nella zona - e si è diffuso velocemente nell’intera regione del Golfo, dove incide pesantemente anche su già tesi equilibri religiosi e politici interni e nei rapporti internazionali.
Massima allerta in Arabia Saudita, dove per la prima volta nella storia moderna è a rischio lo Hajj, il pellegrinaggio tradizionale alla Sacra Moschea della Mecca.
Abbiamo fatto il punto della situazione con il dott. Toby Matthiesen. Il dott. Matthiesen è attualmente Senior Research Fellow in Relazioni Internazionali del Medio Oriente al St. Antony’s College della University of Oxford e vincitore di una borsa di ricerca Marie Curie Global Fellowship al Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari, sotto la supervisione del professor Matteo Legrenzi. Il dott. Matthiesen trascorrerà i primi due anni della sua Marie Curie all’Università di Stanford.
Photo credit: Matteo Legrenzi
Quali sono stati gli effetti della pandemia sull’Arabia Saudita? E’ possibile che la situazione attuale vada ad esacerbare le tensioni tra Sunniti e Sciiti nel Medio Oriente?
Dopo che i primi casi di COVID-19 in Arabia Saudita sono stati ricondotti alla regione orientale di Qatif, una zona prevalentemente Sciita, l’intera area è stata sottoposta a quarantena, e il Ministero della Salute saudita ha lanciato un appello a chiunque si fosse recato in Iran di autodichiararsi alle autorità.
Dozzine di Sciiti Sauditi hanno ammesso di essersi recati nel paese; con l’aumento dei casi di coronavirus nel regno, centinaia di loro connazionali hanno pubblicato Tweet etichettandoli come traditori.
Il Bahrein ha iniziato a usare l’emergenza Coronavirus come un pretesto per tracciare gli spostamenti dei cittadini Sciiti, chiedendo a coloro che avevano viaggiato verso l’Iran di identificarsi chiamando una hotline dedicata (nonostante recarsi in Iran non sia considerato un crimine come invece accade in Arabia Saudita, gli Sciiti del Bahrein hanno comunque ragione di temere ripercussioni) .
La crisi sta quindi ulteriormente contribuendo all’odio verso le comunità Sciite nel Golfo.
Un’altra situazione preoccupante si sta evolvendo dall’altro lato dello stato, in Hijaz, la regione dove sorgono La Mecca e Medina, due delle città sante più importanti per l’ Islam ed entrambe note mete di pellegrinaggio. Le autorità saudite hanno perciò sospeso il pellegrinaggio minore che si sarebbe dovuto tenere verso la fine di Febbraio.
Per la prima volta nella storia moderna potrebbe venire cancellato l’Hajj, il pellegrinaggio annuale verso La Mecca. Che impatto avrà questo sullo stato Saudita?
L’Arabia Saudita ha già annullato l’Umrah, il pellegrinaggio minore, ed ha chiesto ai pellegrini di posporre le prenotazioni per l’Hajj. Se quest’ultimo dovesse essere ufficialmente cancellato, si tratterebbe di una decisione unica nella storia moderna. Dal punto di vista della salute pubblica sarebbe una scelta saggia, ma allo stesso tempo si tratterebbe di una perdita economica rilevante per l’economia Saudita, che sta già soffrendo gli effetti del ribassamento dei prezzi del petrolio, nonostante quest’ultimo si sia abbassato proprio perché l’Arabia Saudita ha deciso di aumentare la produzione di greggio per acquisire quote di mercato. Rimane ancora da vedere se il tentativo di vincere questa battaglia sui prezzi del petrolio avrà successo, ma nel frattempo l’Arabia Saudita e altri importanti produttori petroliferi stanno seriamente danneggiando le loro finanze.
Riesce ad immaginare uno scenario post-pandemico nella regione?
Il Medio Oriente è stato uno dei primi epicentri dell’epidemia, dopo Cina e Europa. Qui il virus sta mettendo a dura prova i fragili servizi sanitari pubblici, alcuni già sottoposti a sanzioni da lungo tempo, e sta inoltre esacerbando tensioni politiche preesistenti, sia all’interno degli stati che tra rivali regionali.
Rivalità e tensioni preesistenti si stanno risvegliando anche a causa dei vari regimi autoritari, che tentano di incolparsi a vicenda per la diffusione del contagio.
L’epidemia ha inoltre peggiorato le tensioni settarie, a causa della diffusione del virus attraverso le reti di pellegrinaggio Sciite, contribuendo quindi a demonizzare ulteriormente la comunità Sciita e i rapporti con l’Iran.
Considerata la situazione politica, economica e sanitaria a dir poco tragica in alcuni stati della regione, e l’assenza di un organo statale efficiente in altri, l’impatto del virus potrebbe essere devastante, acuendo le spaccature politiche preesistenti, nonostante questo dimostri principalmente l’interconnessione della regione con il resto del mondo.
Dopo anni di guerra, la diffusione del Coronavirus in Siria o in Libia, nei campi di accoglienza per rifugiati siriani in Giordania, Turchia e Libano, o ancora in stati poveri e sovrappopolati come l’Egitto, sarebbe con tutta probabilità un’eventualità disastrosa.
Un’epidemia si dimostrerebbe particolarmente devastante per lo Yemen, uno stato distrutto dalla guerra, dove la parte controllata dagli Houthi mantiene relazioni con la Cina e con l’Iran. Malnutrizione, scarsità di acqua potabile, epidemie precedenti di colera che hanno indebolito le difese immunitarie della popolazione per anni, uniti ad un sistema sanitario ormai defunto sono la ricetta per l’ennesimo disastro yemenita.
Dal punto di vista umanitario e della sicurezza, l’emergenza del coronavirus nel Medio Oriente si sta evolvendo in una crisi di proporzioni epiche. Dovrebbe essere un monito, a ricordare che non c’è sicurezza senza sicurezza umana, e che gli stati devono collaborare per superare le sfide. Sfortunatamente sembra che l’epidemia stia intensificando le spaccature invece di guarirle.
I Paesi più ricchi della regione, in particolare gli Stati del Golfo, si trovano teoricamente in una posizione migliore per superare la crisi. Ma soffriranno comunque la ricaduta economica di questa epidemia, e gli stati più piccoli, che mettono molto impegno nell’ospitare importanti eventi internazionali, potrebbero davvero rimetterci molto.
Come ha risposto all’emergenza il governo di Rouhani e come stanno affrontando questa nuova emergenza medica gli iraniani?
In questa regione, la maggior parte dei primi casi di COVID-19, la malattia causata dal nuovo virus, è stata ricondotta alla città santa di Qom in Iran, sede di rinomati seminari Sciiti e del mausoleo di Sayyida Fatimah al-Masumah, luoghi che attraggono aspiranti chierici e pellegrini devoti da tutto il mondo Sciita.
Le autorità iraniane hanno fornito resoconti contrastanti su come il virus sia arrivato a Qom, dando la colpa prima agli studenti cinesi musulmani nei seminari religiosi della città e poi ai lavoratori cinesi impegnati nella costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità nella zona.
Ciò che è ormai chiaro è che una volta arrivato a Qom, una città che conta 1,2 milioni di abitanti, il virus si è diffuso velocemente.
Il 19 febbraio, il governo iraniano ha riportato due morti da COVID-19, la prima ammissione ufficiale della presenza del virus nel paese.
Mentre la maggior parte delle compagnie aeree iraniane ha interrotto i collegamenti con la Cina, la Mahan Air, spesso utilizzata dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) ha continuato a volare tra Iran e Cina, evacuando gli studenti iraniani da Wuhan e portando kit per i test e altri materiali sanitari in patria.
Nonostante la risposta dell’Iran sia stata inizialmente blanda e ci siano volute settimane perchè il governo comprendesse la serietà della situazione, le pesanti sanzioni imposte al paese dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti d’America hanno sottolineato e aumentato l’importanza dell’ancora di salvezza economica rappresentata dai legami con la Cina (il Ministro degli Esteri iraniano Zarif ha chiesto alle Nazioni Unite di abbandonare le sanzioni alla luce della crisi attuale; allo stesso tempo vi sono stati diversi appelli da parte di politici statunitensi e stati europei per la sospensione delle sanzioni all’Iran imposte dagli Stati Uniti.)
I santuari di Qom sono rimasti inizialmente aperti, e ci sono volute alcune settimane prima che la preghiera congregativa del venerdì e gli spostamenti tra città venissero vietati.
Una volta arrivato in Iran, è probabile che il virus si sia diffuso attraverso i visitatori dei luoghi sacri della città e altri turisti. Da lì ha velocemente infettato i funzionari e deputati Iraniani più anziani, alcuni dei quali sono morti.
Il 17 febbraio, 24 province iraniane su 31 riportavano casi di coronavirus, e al 22 marzo il virus aveva infettato più di 21.000 persone in Iran, uccidendone 1.685, incluse dozzine di funzionari del governo.
Dato che, come in altre parti del mondo, il test per il coronavirus è riservato ai casi più gravi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il vero numero dei contagiati in Iran potrebbe essere fino a 5 volte superiore rispetto a quello ufficialmente dichiarato.
Il governo del presidente iraniano Hassan Rouhani è stato lento nella risposta all’epidemia, opponendo resistenza alle richieste di misure di quarantena e alle restrizioni sugli spostamenti, sminuendo la gravità della crisi. Dopo settimane di esitazione, il 16 marzo, Rouhani ha imposto la chiusura di molti dei luoghi di culto più importanti del paese, ordinando agli iraniani di limitare il contatto durante le festività primaverili. La decisione - senza precedenti in Iran, dove i luoghi di culto sono tipicamente aperti 24 ore al giorno - è stata criticata aspramente dal clero, e ha dato vita a feroci proteste da parte degli iraniani più conservativi.
Qual è il ruolo degli Stati Uniti d’America (ma anche della Cina) nella situazione iraniana?
Nel complesso, la crisi non è riuscita a migliorare i rapporti tra Iran e USA, anzi, fino ad ora le tensioni tra i due stati si sono solamente inasprite.
Al contrario, il rapporto tra Iran e Cina sembra essersi rinsaldato, grazie agli aiuti che la Cina sta inviando all’Iran in questo momento difficile.
Funzionari del governo iraniano hanno inoltre iniziato a sostenere che il virus abbia avuto origine negli Stati Uniti. Il comandante in capo dell’IRGC, il Generale Maggiore Hossein Salami, ha avanzato l’ipotesi che la diffusione globale del Coronavirus potrebbe essere a tutti gli effetti una manovra di guerra biologica degli USA contro la Cina e l’Iran, dichiarando che “Ad oggi il paese è coinvolto in una battaglia batteriologica” (questa narrativa si sta facendo strada anche in Cina). D’altra parte, anche i media iraniani sostengono che gli Stati Uniti stiano approfittando di questa crisi.
Tristemente, sembra che la possibilità di migliorare le relazioni tra i due stati stia andando sprecata. Le tensioni tra USA e Iran si stanno ripercuotendo anche sull’Iraq, con attacchi di rappresaglia nonostante l’attuale crisi sanitaria.