Nuovo metodo per seguire le correnti negli abissi oceanici

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Studiando campioni d’acqua prelevati a 4000 metri di profondità nel Mar Ionio, gli scienziati hanno individuato un nuovo metodo per seguire il percorso delle masse d’acqua negli abissi marini e oceanici e accedere così a nuove informazioni per comprendere la variabilità climatica: per non “confondere le acque” occorre osservare anche batteri, mercurio e isotopi dell’ossigeno.

Il risultato è stato raggiunto da un gruppo di oceanografi fisici, biogeochimici e genetisti guidato dal professor Angelo Rubino dell’Università Ca’ Foscari Venezia ed è stato pubblicato oggi sulla rivista scientifica PLOS ONE. Ogni corrente marina, spiegano gli autori, ha una sua “impronta digitale” biogeochimica.

“Conoscere l’origine e l’evoluzione delle acque profonde dell’oceano – spiega Angelo Rubino, professore associato di Oceanografia al Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari - è di importanza fondamentale per la comprensione delle lente dinamiche degli abissi, che contribuiscono a determinare il clima del pianeta e le sue variazioni”.

L’approccio proposto prospetta la possibilità di identificare le correnti degli abissi marini anche quando alcuni metodi di misura tradizionali, come quelli basati su temperatura e salinità delle masse d’acqua, potrebbero non essere sufficienti. Nel Mediterraneo Orientale, infatti, le differenze di temperatura e salinità esistenti tra le acque profonde di origine adriatica e di origine egea sono divenute molto piccole nel corso degli ultimi anni. Le correnti adriatiche ed egee, propagandosi tramite impulsi irregolari lungo il fondo dai loro luoghi di generazione, giungono nella regione abissale ionica e ne occupano gli strati più profondi. Per riconoscerle, gli studiosi hanno analizzato proprietà biogeochimiche dell’acqua, come contenuto di mercurio, distribuzione degli isotopi di ossigeno e diversità batterica.

Cellule del batterio Halomonas cupida isolato a chilometri di profondità
da un sito abissale del mar Mediterraneo Orientale

Mediterraneo come un oceano in miniatura? I risultati della ricerca, affermano gli scienziati, se applicati anche in altre aree abissali oceaniche, potrebbero aiutare a rivelare la presenza di specifiche masse d’acqua anche quando queste derivano da fonti attive solo ad intervalli irregolari o sono difficilmente distinguibili perché simili ad altre masse d’acqua presenti negli abissi locali. L’approccio utilizzato nel Mare Nostrum, concludono, potrebbe essere utilizzato con successo nell’analisi di campioni provenienti dagli abissi di altre regioni della Terra.

Lo studio, dal titolo “Biogeochemical, isotopic and bacterial distributions trace oceanic abyssal circulation”, è stato realizzato da un gruppo di ricerca internazionale formato da Angelo Rubino (Ca’ Foscari, Venezia), Manuel Bensi (OGS, Trieste), Dagmar Hainbucher (IfM, Amburgo), Davide Zanchettin (Ca’ Foscari, Venezia), Francesca Mapelli (Università di Milano), Nives Ogrinc (“Jožef Stefan” Institut, Lubiana), Davide Marchetto (Ca’ Foscari, Venezia), Sara Borin (Università di Milano), Vanessa Cardin (OGS, Trieste), Vesna Fajon (“Jožef Stefan” Institut, Lubiana), Milena Horvat (“Jožef Stefan” Institut, Lubiana), Carla Taricco (Università di Torino) e Franco Baldi (Ca’ Foscari, Venezia).

Enrico Costa