Epigrafia e passione per la città: una lapide romana "salvata"

condividi
condividi
Raffaele Dedemo e il prof. Lorenzo Calvelli

Una lapide romana che orna l’angolo di un bel palazzo vicino a Campo Santa Maria Formosa, la passione per l’epigrafia e l’amore per la propria città sono gli elementi che legano insieme questa storia singolare.

Si tratta della "riscoperta" e valorizzazione di un monumento funebre di epoca romana, usato come testata d’angolo di un palazzo che ha attirato l’attenzione di Raffaele Dedemo, agente immobiliare, ma anche studente di Storia dell’Università Ca’ Foscari, e di Lorenzo Calvelli, docente di Storia romana ed Epigrafia latina nello stesso Ateneo, che ha assegnato una ricerca su questo argomento.

L’iscrizione funeraria è dedicata a Lucio Stazio Fausto, un liberto, cioè uno schiavo liberato, e fu realizzata da un altro liberto che si chiamava Lucio Stazio Prudente. Si tratta probabilmente del tributo a un caro amico defunto, con il quale il dedicante doveva aver condiviso le vicende di una vita. Il periodo è la seconda metà del I sec. d.C., all'epoca degli imperatori flavi, ovvero pochi anni dopo la morte di Cristo e diversi secoli prima che nascesse Venezia. La provenienza è presumibilmente una località romana dell’Alto Adriatico, forse Altino, Aquileia o una città della costa dalmata.

Ma l’iscrizione era poco leggibile e attraversata da un tirante ottocentesco. Con tanta passione e insieme al relatore della sua tesina, Dedemo si è dedicato a un'opera di salvaguardia e conservazione del manufatto, impegnandosi per far rimuovere la graffa e rendere leggibile l’iscrizione. Ha contattato i proprietari dell'immobile per avere la delega a procedere, ha fatto fare una perizia statica per capire se fosse possibile togliere parte della graffa e ha seguito i passaggi presso la Soprintendenza per vincolare il bene. In accordo con la Soprintendenza, si è inoltre deciso di procedere a un restauro conservativo dello splendido reperto romano.

"Mi piace pensare che questa testimonianza del passato, arrivata da quasi 2000 anni fa, non sia andata perduta - commenta Raffaele Dedemo - e, soprattutto, che porti un messaggio, come avrebbero voluto dedicato e dedicante, veri protagonisti di questa storia. E' stato un percorso molto lungo e complesso, durato trenta mesi, ma ne è valsa la pena".

Come sia arrivato questo altare funerario a Venezia e perchè sia finito a sostenere il palazzo di S.Maria Formosa non si sa, ma non è un caso isolato.

"Venezia è forse la principale città italiana che non sorga sopra un insediamento antico di epoca romana" - ricorda Calvelli -. Ciononostante, il tessuto urbano di Venezia è ricco di elementi che risalgono all'epoca antica: si tratta di colonne, capitelli e anche monumenti iscritti che furono reimpiegati, in parte a causa dell'atavica 'fame di pietra' dei Veneziani, ma anche perché erano esteticamente attraenti. Forse il messaggio veicolato dalle iscrizioni romane non era più compreso pienamente, ma la presenza di un testo su una pietra antica si poteva configurare come un valore aggiunto. È per questo motivo che diverse iscrizioni sono state riutilizzate ad altezza d'uomo, in modo che potessero viste e valorizzate, anche se forse non più lette". Monumenti funerari iscritti come quello di Santa Maria Formosa sono presenti anche ai piedi del campanile di San Vidal, vicino al ponte dell'Accademia, e in corte Testori, in una traversa di Strada Nuova. Attraverso tesi di laurea, articoli scientifici e grazie alle risorse digitali è in corso un censimento completo di questi manufatti, che, con linguaggio tecnico, sono chiamati spolia".

Il lavoro sulla lapide romana di S.Maria Formosa non è tuttavia terminato perchè dovrà essere messa in sicurezza la testa della graffa tagliata, dovrà essere pulita l'iscrizione e ricoperta con una pellicola trasparente che possa conservarla nel tempo. Il pezzo della trappa di tirante rimosso, rimarrà invece al “Laboratorio Epigrafico” di Ca' Foscari a ricordo di questo intervento.

L'altare funerario romano

Federica Ferrarin