maqām beyond Nation: alla ricerca della radice unica delle musiche d'arte

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Maqām en plein air. Da sinistra a destra: Ahmet Altınkaynak (ney), Cağlar Fidan (voce), Erhan Bayram (kemençe), Nikos Papageorgiou (tanbûr)

Il progetto 'maqām beyond Nation', vincitore di un ERC Horizon divenuto poi -post Brexit- UKRI (UK Research and Innovation) International, è partito lo scorso aprile e vuole esplorare l’insieme di pratiche creative delle musiche d’arte dette maqām, che nella storia sono sempre state fluide, mutevoli e interconnesse ma che sono state, poi, fissate e irrigidite per effetto di nazionalismi tipici del XX secolo. Il progetto cerca di comprendere i principali cambiamenti che stanno iniziando ad indebolire, in questo preciso momento storico, quei rigidi modelli formatisi agli inizi del ‘900. 

Il progetto vede coinvolto un gruppo di lavoro internazionale composto da: Rachel Harris, Principal Investigator, dell’University of London, SOAS; Giovanni De Zorzi professore di Etnomusicologia presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali di Ca’ Foscari; Polina Dessiatnitchenko della Waseda University di Tokyo; Saeid Kordmafi dell’University of London, SOAS; Mukaddas Mijit dell’Université Libre de Bruxelles con Aziz Isa Elkun, Independent scholar e Rosa Vercoe

“Il termine arabo maqām - mugham nell’accezione persiana, azera e armena; makam nel turco moderno; maqom in area centroasiatica; muqam nell’attuale Xinjiang- definisce le “musiche d’arte” del vasto mondo islamico, racconta De Zorzi. A prescindere dalle sue pronunce locali, il maqām viene definito dai musicologi come un sistema modale, uno dei tanti sorti sul pianeta (come quello bizantino, gregoriano-medioevale, gregoriano-rinascimentale, cinese, indiano, giavanese, eccetera) che si basano tutti sul criterio comune della modalità, assolutamente diverso da quello, più recente, della tonalità, divenuto di riferimento nel mondo europeo agli inizi del XVIII e ora imperante sul pianeta." 

Il gruppo di ricerca di maqām beyond Nation sta studiando i materiali musicali giunti sino a noi, prendendo in esame il loro potenziale per lo sviluppo di una nuova creatività, analizzandone gli aspetti sociali. I casi studio affrontati si trovano spesso su delle linee di faglia (come l’ex confine sovietico-cinese o quello tra Iran e Azerbaijan), in cui le tradizioni condivise del fare musica sono state rigidamente divise dalla formazione di nuovi stati nazionali. Per fare questo si adottano diversi metodi di indagine, come la ricerca d’archivio, analitica ed etnografica, oltre alla collaborazione creativa tra chi fa musica e chi ricerca basata sulla pratica musicale condivisa.

Il maqām

“Complessivamente le tradizioni del maqām risuonano in uno spazio molto ampio che va dall’Andalusia sino alla Cina occidentale"- continua De Zorzi - "e condividono caratteristiche comuni, come la storia, le teorie, le forme, i generi, gli strumenti, i nomi dei modi o dei cicli ritmici: tutto questo fa supporre una radice unica, però ogni tradizione presenta poi caratteri specifici che la distinguono dalle altre. Per comprendere questa vasta spazializzazione, va ricordato che l’Islam ebbe una rapidissima diffusione che dal VII secolo lo portò a espandersi su di un’area vastissima che, nel tempo, venne poi uniformandosi seguendo analoghi principi amministrativi, politici, burocratici, religiosi e culturali in centri anche molto distanti tra loro quali furono, per la musica d’arte, Damasco, Baghdad, Cordoba, Granada, Herat, Costantinopoli, Bukhara, Samarcanda, le sei città oasi (altıshahr) sui bordi del deserto Taklamakan, Aleppo e il Cairo, nei quali era attivo il circolo di un determinato maestro o la corte dove era patrocinata una data attività. Si formò, così, una rete di centri culturali distribuiti su di un’area molto vasta. Se i centri erano distanti tra loro, il retroterra culturale di riferimento era però condiviso e accomunava artisti, scienziati e letterati che si esprimevano in arabo e in persiano riferendosi, anche in musica, a testi e maestri comuni.

Dopo la caduta degli imperi e la nascita delle moderne “nazioni”, un singolo poeta, un singolo compositore oppure un singolo genere musicale diveniva “iraniano”, oppure “turco”, oppure “azero”, oppure “uzbeco” senza tener conto che quando quell’autore operava, o quando quel genere musicale si formava, non esistevano affatto le nazioni.”

Bisanzio/Costantinopoli/Istanbul

Il lavoro su campo

“Dal 29 maggio al 30 luglio ho fatto ricerca sul campo ad Istanbul” - racconta De Zorzi – “dove ho incontrato e registrato, in audio e video (quando mi è stato permesso) giovani musicisti e dervisci. La ricerca ha usato soprattutto quella che gli antropologi chiamano osservazione partecipante: suonare e studiare strumenti e arti tradizionali, praticare canto, danza, poesia sono considerati mezzi per avvicinarsi più direttamente a una data cultura e ai suoi esponenti. In questo senso mi è stato utile conoscere il retroterra culturale e musicale del maqām ottomano-turco, che frequento dalla fine degli anni 1990, e suonare uno degli strumenti principali di questa tradizione, il flauto ney. Tornato da pochi giorni, mi guardo indietro e noto come io sia stato piuttosto fortunato e abbia raccolto parecchio materiale. Ringrazio tutti quelli che ho incontrato per la loro calorosa accoglienza e disponibilità e, a posteriori, noto che sono stati soprattutto musicisti, dervisci, maestri e studiosi, spesso docenti in università e Conservatori della capitale. Ma ringrazio anche i tanti incontri fuggevoli e casuali, per le strade, nella metro o altrove, capaci di rivelare d’un tratto il sapere di un passato millenario nell’attimo presente. D’altronde, come cantava Jalāl-ud Dīn Rūmī (1207-1273): 'È dal frutto che nasce l’albero'."

I concerti

La disseminazione dei risultati avverrà tramite un programma di workshop e conferenze, pubblicazioni e film, performance e composizioni collaborative tra cui la realizzazione di diversi concerti che si terranno già da fine settembre e per i prossimi anni tra Venezia e Londra. 

Il 25 settembre 2024 si terrà a Venezia, all’Auditorium Santa Margherita Emanuele Severino, il primo  concerto della serie, affidato all’ensemble persiano/iraniano Nasim-e Tarab diretto da Saeid Kordmafi, al santūr, con Mehdi Emami alla voce e al tamburo a cornice dāyereh, Siamak Jahangiri al flauto ney, Saeid Nayebmohammadi al liuto ‘ūd, Hamid Ghanbari al tamburo a calice tombak, che proporrà un programma di brani tradizionali e composti ex-novo dallo stesso Kordmafi. 

Il 20 Novembre 2024, in Fondazione Giorgio Cini, si terrà un secondo concerto, affidato questa volta all’Ensemble Bezmârâ diretto da Fikret Karakaya, all’arpa çeng, con Ihsan Özer, cetra percossa santūr, Kemal Caba, viella ad arco rebab, Serap Cağlayan, cetra pizzicata kanūn, Furkan Resuloğlu, liuto a manico lungo kopuz, Ahmed Şahin, flauto ney, Bekir Şahin Baloğlu, liuti ‘ūd e şahrūd, Kamil Bilgin, tamburo a cornice zilli def.

"Il programma, che ho definito a Istanbul con il maestro Karakaya," - dice De Zorzi- "è dedicato alle composizioni dei musicisti persiani (acemler, acemī, acemiyūn) documentate da vari autori ottomani (Bobowski, Cantemir e Kevserī) tra XVII e XVIII secolo. Nel febbraio 2026 è previsto un terzo concerto dedicato alla musica d’arte centroasiatica (shash maqom), sviluppatasi tra Bukhara, Samarcanda, Khiva e Andijan, che si terrà a Venezia in Fondazione Cini, mentre a maggio 2027 è previsto un quarto concerto di musica d’arte d’Azerbaijan (mugham) che si terrà sempre in Fondazione Cini." 

Il progetto prevede che nell’aprile 2025 De Zorzi riparta per una nuova ricerca sul campo, in Asia centrale, tra Uzbekistan, Kazakhstan meridionale e nella valle del Ferghana, una regione suddivisa tra Kyrgyzstan, Uzbekistan e Tajikistan che tocca i confini della Cina occidentale. 

Muhammed Ceylan (ney) e Hasan Kiriş (tanbûr)

Sara Moscatelli